Incontro con Emanuele Crialese,
regista del film vincitore del premio della Giuria a Venezia: "Siamo di
fronte a un nuovo Olocausto"
Gli italiani hanno paura dello straniero forse perché si sentono protetti dalla propria identità
C'è stata grande festa a Lampedusa per la vittoria al Festival di Venezia del film di Emanuele Crialese "Terraferma",
pellicola che parla degli sbarchi di africani in Sicilia. Ma non solo.
La terra ferma è cercata sì dagli immigrati con le barche alla deriva,
ma anche dai pescatori travolti dalla modernità, dalle madri
che vorrebbero rifarsi una vita, dalle nuove generazioni indecise tra le
leggi del cuore e quelle dello stato.
Il film è stato girato a Linosa, anche se per scelta del
regista non è mai stata nominata, perché è una storia che potrebbe
accadere ovunque. E' la storia delle difficoltà di una famiglia
di pescatori - Ernesto (Mimmo Cuticchio), il figlio Nino (Beppe
Fiorello), la nuora Giulietta (Donatella Finocchiaro) e il nipote
Filippo (Filippo Pucillo) - e di tre migranti - la madre (Timniti, che
non è un'attrice ma la vera sopravvissuta di una traversata dall'Africa a
Lampedusa, in cui ha visto morire 72 compagni di viaggio) e i suoi due
bambini, miracolosamente scampati al naufragio in mare. Un incontro che
segnerà il destino di entrambi.
"Stiamo attraversando un momento di profonda confusione morale - commenta il regista romano, di origini siciliane -. La risposta dello stato al problema dell'immigrazione è totalmente inadeguata. Anche i media, che ci bombardano di notizie e imbrigliano la realtà nella rete del linguaggio, hanno gravi responsabilità.
Siamo tra i pochi Paesi europei ad avere adottato in materia
d'immigrazione una legislazione improntata alla paura e alla chiusura. Dovremmo aprirci alla contaminazione. E invece siamo vecchi".
"Gli italiani hanno paura dello straniero - ha spiegato il regista - forse perché si sentono protetti dalla propria identità.
L'Italia ha bisogno di contaminazione. Ci sono Paesi sviluppati grazie
alla contaminazione. Siamo davanti ad un nuovo Olocausto. Diamo
clandestinità a questo fenomeno: arrivano queste persone e li trattiamo
da fuorilegge, chiudendoli nei centri di accoglienza come criminali. Lasciar morire la gente in mezzo al mare è un segno di inciviltà ma responsabili sono anche i mass media che parlano di questo in modo falsato".
"La cronaca era solo il punto di partenza - racconta Crialese -.
Sapevamo di doverla rielaborare e di doverci affrancare dai canoni della
fiction televisiva". "Non faccio film a tesi, non mi verrebbero bene -
sottolinea il regista -. Racconto storie ponendomi delle domande.
Potessi scegliere il mio pubblico ideale, avrebbe sette anni. Ho cercato
di fare qualcosa di estremamente semplice, che potesse arrivare a
tutti".
"Conosco molti pescatori che si son visti sequestrare le barche con
l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - spiega
Crialese - Avevano solo soccorso della gente in mare". Amaro il suo
giudizio sugli italiani: "A volte non so chi sono, cosa pensano. Se
attorno alla famiglia di Ernesto ci fosse una comunità, la sua barca
saprebbe qual è la rotta per la terraferma".
Su Timniti dice:"La guardi e capisci che ha passato l'inferno.
Nello stesso tempo sa trasmettere una grande serenità. Ha una dignità
che sa nascondere il dolore. Non ha voluto parlare di quello che è
successo, così abbiamo deciso di reinventare insieme la sua storia. E
quando dicevo qualcosa di sbagliato, mi correggeva". "La sua foto l'ho
vista su un giornale. La cronaca di uno dei tanti barconi della
disperazione. Tre settimane alla deriva, 70 persone a bordo. Tutti morti, tranne cinque. Tra questi una sola donna. Lei.
Il suo volto mi si imprime dentro. Voglio vederla con i miei occhi
questa donna che ha traversato il mare, ha rischiato la vita per
riscrivere la sua storia"
di Francesco Bianco
Fonte: MixaMag