Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

giovedì 9 giugno 2005

Euromediterraneo


Intervista pubblicata su meltingpot a Renata Pepicelli, autrice del libro
2010: un nuovo ordine mediterraneo?


Lo spazio euromediterraneo tra esclusione dei corpi ed inclusione delle merci
Intervista con Renata Pepicelli*


Il Mediterraneo, un tempo crocevia di culture e scambi, in questi ultimi anni si è trasformato, per molti esseri umani, nel luogo da attraversare per cercare di realizzare il proprio progetto di vita o più semplicemente sfuggire alla miseria, alla guerra, alla fame.Un luogo che ha visto – e continua a vedere – naufragi e tragedie ripetersi nel tempo, dove si specchia la cattiva coscienza di un nord ricco nei confronti di un sud povero.Un Mediterraneo che è stato trasformato da crocevia delle culture a uno dei fronti critici di una guerra globale tra il privilegio e la necessità.
Ne abbiamo parlato con Renata Pepicelli, autrice del libro "2010. Un nuovo ordine mediterraneo?", pubblicato dalla casa editrice Mesogea nel 2004.
D: Il Mediterraneo è sempre più luogo di migrazioni. Qual è il tuo commento su quanto sta accadendo in questo spazio?
R: Si parla molto in questi ultimi anni e mesi di Mediterraneo, descrivendo quest’area come una nuova frontiera per l’Europa. Secondo il mio punto di vista il Mediterraneo va invece considerato come uno spazio a geometria variabile volto ora all’esclusione, ora all’inclusione.Per quanto riguarda i migranti il Mediterraneo rappresenta una frontiera escludente, ma non del tutto: continua infatti a essere un luogo di attraversamento di manodopera a basso costo di cui l’Europa si serve. Allo stesso tempo, il Mediterraneo, è volto anche all’inclusione come dimostra il partenariato euromediterraneo, e in particolar modo la zona di libero scambio che questo progetto intende istituire. Si tratta di un processo avviato nel 1995 a Barcellona, su iniziativa della UE e di 12 partner mediterranei, che prevede di costruire in questa area una grande zona di libero scambio, su modello del Nafta e dell’Alca , dove le merci e i capitali potranno liberamente circolare, contrariamente alle persone. Da una prospettiva di carattere economico noi possiamo vedere come in realtà - in linea con l’Uruguay Round e i principi dell’Organizzazione mondiale per il commercio - il Mediterraneo diventa, all’interno delle logiche globali liberiste, una zona che le politiche economiche europee intendono includere. Quando sarà attiva la zona di libero scambio euromediterranea, l’Unione potrà contare su un’area costituita da circa 40 Stati e 800 milioni di consumatori. Una regione economica dalle grandissime dimensioni che dovrà far fronte in primo luogo a quella che gli Stati Uniti stanno provando a realizzare attraverso gli accordi dell’Alca con tutti gli Stati delle due Americhe ad eccezione di Cuba. Quindi, quando si parla di Mediterraneo, bisogna sempre pensare a questo doppio progetto che esiste per l’area. Da una parte frontiera per rischi considerati estremamente minacciosi per l’Europa – pensiamo alla retorica delle immigrazioni in quanto minaccia o al discorso sul terrorismo islamico e lo scontro di civiltà – ma dall’altra un’area che si vorrebbe in qualche modo coinvolgere all’interno di un progetto liberista più ampio e collocato all’interno dei meccanismi mondiali di redistribuzione delle sfere di influenza economica nonché politica. Per quanto riguarda l’idea di un Mediterraneo di diritti, che è anche un tema forte del Forum Sociale del Mediterraneo, siamo ben lontani da una situazione di questo tipo, come dimostrano le continue morti nel tentativo di attraversare il bacino e gli accordi tra riva sud e riva nord del Mediterraneo per tentare di bloccare gli sbarchi. Ma soprattutto noi ci troviamo in questo momento in un Mediterraneo i cui paesi presentano uno stato di diritto e di libertà molto poco garantito. E’ significativo a tal proposito leggersi l’ultimo rapporto di Amnesty International che dimostra tra le altre cose come in tutta l’area si stia avendo un restringimento dei diritti in nome della lotta al terrorismo islamico. E’ già da qualche tempo che Amnesty, come altre organizzazioni di difesa dei diritti umani a livello internazionale e locale, evidenzia come le leggi dell’antiterrorismo islamico stanno venendo a minacciare quelli che sono i diritti individuali e collettivi dei paesi del Mediterraneo, non solo della riva sud ma anche della riva nord.
D: Alcuni paesi del nord Africa come Libia e Marocco, sono deputati a bloccare le persone che vogliono attraversare questo spazio per tentare di entrare in Europa. Devono svolgere quindi un ruolo particolare.
R: Sì e non è un fatto nuovo. L’Unione Europea sin dagli anni novanta ha cercato di raggiungere degli accordi di natura commerciale e sicuritaria con i paesi terzi mediterranei, anche in vista di un maggiore controllo delle migrazioni e le frontiere. Il Marocco è uno dei principali partner europei in queste politiche. Non è assolutamente una cosa nuova per l’Unione Europea tentare di trovare delle convergenze con i governi dei paesi terzi mediterranei, nel tentativo di fronteggiare le migrazioni. Ora tutto questo si fa in maniera più eclatante, come dimostrano gli accordi con la Libia di cui solo adesso si conoscono parzialmente i contenuti. Ma si tratta di un processo che è in atto da almeno una decina di anni, in maniera più sotterranea, meno conosciuta, perché meno notizie filtravano e meno attenzione si poneva a questo dibattito. In realtà degli accordi bilaterali esistono da molti anni e su questo bisognerebbe riflettere. Queste politiche non sono nuove, non sono il frutto dell’11 settembre, come in molti casi si è voluto far credere. L’11 settembre non rappresenta uno spartiacque fra un prima e un dopo di un possibile scontro di civiltà, ma va considerato l’apice di un percorso che era iniziato molto prima. Pensiamo che il primo saggio di Samuel Huntington che prefigura lo scontro tra la civiltà occidentale e altre civiltà, in particolar modo quella islamica, risale al 1993. Bisogna perciò fare molta attenzione quando si cerca di fare delle analisi su quello che sta succedendo nell’area.
D: Lo scenario che hai dipinto è molto chiaro: le merci possono circolare liberamente, le persone no. Rispetto a questo parlavi di forza lavoro a basso costo. Le maglie di questa Fortezza Europa sono elastiche, lasciano passare “qualcosa”, quel qualcosa che poi ritorna molto utile all’economia europea.
R: Assolutamente sì. Non solo quando arrivano in Europa e in Italia ma anche per quel che riguarda le delocalizzazioni nell’area mediterranea, discorso importante ed interessante da seguire per capire come funziona. C’è un lavoro molto interessante di Salvatore Palidda per la fondazione Ismu nel quale è posto in evidenza come le delocalizzazioni italiane in paesi come la Tunisia possano rappresentare - contrariamente a quanto si dice - uno stimolo alle migrazioni. In una delle testimonianza, citate in questo documento, un lavoratore tunisino impiegato in una fabbrica italiana dislocata in Tunisia dice all’incirca: “Ho provato più volte a partire per l’Italia. Nella mia officina tutti, uomini e donne, vogliono andare a lavorare in Italia e far lì lo stesso lavoro. Dato che già lavoriamo per italiani, ci dovrebbero essere facili ambientarci. E potremmo così guadagnare più dei 120-180 euro al mese, che prendiamo in Tunisia”.
D: Forse vale la pena riprendere il commento sul ruolo della Libia in questo momento. Ricordiamo l’accordo, ormai non più totalmente segreto, stipulato con l’Italia sulla questione dei respingimenti e dei rimpatri.
R: Non è un argomento sul quale io mi sia particolarmente soffermata, quindi non mi sento di parlare di questo quando ho letto articoli ed analisi estremamente interessanti, pubblicati anche sul vostro sito. Mi viene da dire che queste scelte politiche non vanno considerate nuove. È già da diversi anni che si siglano accordi per il respingimento alle frontiere, per il controllo congiunto delle frontiere, per l’apertura di Centri di Permanenza Temporanea all’interno dei paesi terzi. Mi ricordo che nel 2001 fu pubblicata la notizia dell’esistenza già dal 2000 di un centro di trattenimento nel sud dell’Algeria. Un luogo che sembrava essere stato precedentemente utilizzato come prigione per militanti islamici, e nel quale sarebbero poi stati rinchiusi migranti che provenivano dall’area subsahariana. Questa notizia che fu ripresa da Courrier International, fu poco seguita, poco analizzata per capire la veridicità di questa informazione. Però indicava che già allora le cose si stavano muovendo in questo senso.




*** Renata Pedicelli è nata a Napoli il 28/3/1976, è dottoranda presso il dottorato di Geopolitica e culture del Mediterraneo della Scuola di Alta Formazione Federico II di Napoli consorziato con l’Istituto Italiano di Scienze Umane. Nel giugno del 2004 ha pubblicato con Mesogea il saggio "2010. Un nuovo ordine mediterraneo?", prefazione di Salvatore Palidda. Tra le sue pubblicazioni: Le relazioni tra riva nord e riva sud nel partenariato euromediterraneo in Grimaldi U., De Luca P. (a cura di), Mediterraneo: scuola e incontro tra culture. Atti del seminario internaziononale di studi del Consiglio d’Europa, Napoli, 2005; Il partenariato euromediterraneo e l’Italia in Afriche e orienti, n° 4/2002; Strade di donne: migrazione e prostituzione in Meridione, sud e nord del mondo, novembre-dicembre 2001. Tra i suoi lavori audio e video-documentari: Strade, tra prostituzione e immigrazione, un’inchiesta radiofonica sulla prostituzione, realizzata per Radio3 Rai (2002); Per non dimenticare. Agosto-settembre 2003, video-documentario sul campo profughi palestinese di Shatila realizzato con Anita Mosca, con un contributo della provincia di Napoli (2004); Ai confini della cittadinanza, video-documentario sulla condizione dei rom a Napoli (2001).

giovedì 9 giugno 2005