“Siamo uomini liberi, è una questione di onore, di dignità, non potete rinchiuderci come animali in questa prigione per sei mesi.
Anche in Tunisia stanno arrivando migliaia di stranieri dalla Libia, ma non li abbiamo arrestati!
Ridateci la nostra libertà.
Siamo diretti in Francia, lasceremo l’Italia, dateci soltanto cinque ore!”.
TORINO - Tensione alle stelle al centro di identificazione e espulsione di Torino. Dopo l’incendio che domenica scorsa ha devastato un’intera sessione rendendo inagibili 30 dei 180 posti della struttura, adesso è la volta di uno sciopero della fame a oltranza. Anche qui i protagonisti delle rivolte, come a Gradisca e a Modena, sono i tunisini trasferiti da Lampedusa. Si tratta di 104 persone, tutti uomini, su un totale di 144 trattenuti. Arrivano dalle città di Zarzis, Gabes, Ben Guerdane, Djerba, le zone più colpite dalla crisi del turismo seguita alla caduta di Ben Ali. Hanno iniziato a rifiutare il cibo tre giorni fa e oggi entrano nel quarto giorno di sciopero della fame. Alla protesta aderisce un’intera sezione del centro espulsioni, ovvero una trentina di ragazzi, pronti a portare avanti la protesta fino al giorno della loro liberazione.
Per quasi tutti è la prima volta in Europa. I parenti li aspettano in Francia. Sono comunità ben integrate e con forti legami di solidarietà. Lo si vede dai calli sulle mani che è brava gente, che ha attraversato il mare per rimboccarsi le maniche. Dall’Italia non chiedono documenti, ma soltanto la libertà e un foglio di via per continuare il loro viaggio verso la Francia, dove poter finalmente raggiungere i familiari già pronti a ospitarli e a farsene carico.
In carcere non ci sono mai stati e ritrovarsi dietro le sbarre, sorvegliati da polizia e militari come se fossero dei criminali, è un’umiliazione che non riescono a mandare giù. “Cos’è un canile? Cos’è questa gabbia? Non siamo mica dei pitbull! Fateci uscire!” Mi grida in arabo Saif da dietro la grata che ci separa. Gli occhi piantati dritti nei miei, la faccia rossa di rabbia, e le mani strette attorno ai ferri. Ha la mia stessa età, 29 anni. Ha appena telefonato agli amici in Tunisia, e gli ha detto di scrivere ad Al Jazeera per denunciare la loro situazione. In Francia l’aspetta Stéphanie, una ragazza francese conosciuta in vacanza a Zarzis. Mi mostra tutti gli sms sul cellulare. “Amore mi manchi, sii forte, verrò a trovati”.
“Siamo uomini liberi, è una questione di onore, di dignità, non potete rinchiuderci come animali in questa prigione per sei mesi. Anche in Tunisia stanno arrivando migliaia di stranieri dalla Libia, ma non li abbiamo arrestati! Ridateci la nostra libertà. Siamo diretti in Francia, lasceremo l’Italia, dateci soltanto cinque ore!”.
Tra di loro c’è anche un minorenne. Si chiama Basam e dice di essere nato il 31 luglio del 1994. Tra qualche mese compirà 17 anni. Per legge non può essere trattenuto in un centro di identificazione e espulsione. Il problema è che fino ad oggi non lo aveva dichiarato a nessuno. Dice che aveva paura che lo portassero via da solo, si sentiva più sicuro rinchiuso ma con gli amici. Il problema è che non ha documenti di identità, e non li ha per lui neanche il fratello che vive a Milano, sposato con la compagna italiana. E allora adesso non gli rimane che la radiografia del polso. Un test che si fa in questi casi per verificare la minore età.
Comunque anche se dovessero rilasciarlo, dice che tenterà di nuovo di raggiungere gli zii in Francia. E c’è da sperare che non lo rispediscano di nuovo in Italia. E sì perché alla frontiera di Ventimiglia ormai si gioca una partita di ping pong tra l’Italia e la Francia, e i tunisini di Lampedusa sono la pallina. Roma chiude un occhio per lasciarli passare oltralpe, e Parigi fa le retate per rispedirli al mittente. Al centro espulsioni di Torino, ne sono già ritornati 7 in pochi giorni. Ahmed l’hanno preso alla stazione di Nice, dove era arrivato in treno da Foggia. Con lui sono stati respinti in Italia anche Salim, Nizam e Basam, il diciassettenne. Loro tre li hanno presi che erano ancora in automobile con un tale che avevano pagato per portarli di là dalla frontiera.
I numeri per ora sono bassi, ma soltanto perché i cie sono pieni e non c’è posto dove mettere i respinti. Ma i controlli oltralpe si fanno sempre più serrati. Nella sola prefettura di Alpes Maritimes, la regione al confine con Ventimiglia, negli ultimi giorni sono stati identificati 301 tunisini. Vengono tutti da Lampedusa. E rischiano di tornarci se non si trova un accordo politico tra Italia e Francia.
Perché è chiaro a tutti, anche ai funzionari di polizia del cie di Torino, che difficilmente qualcuno dei seimila nuovi arrivati sarà mai rimpatriato in Tunisia. Il motivo è semplice: sono troppi per essere identificati in tempo utile. E il governo transitorio tunisino gode di un consenso popolare troppo debole - in Tunisia come in Italia e in Francia - per sobbarcarsi la responsabilità politica di un'espulsione di massa di centinaia o migliaia di suoi cittadini.
Fonte: FortressEurope