RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
La prossima volta, il fuoco
The Negroes of this country may never be able to rise to power,
but they are very well placed indeed to precipitate chaos
and ring down the curtain on the American dream
James Baldwin, The fire next time
L’anno scorso di questi tempi, nello scritto Rapsodia in giallo mi trovavo a rievocare lo scrittore afro americano Ralph Ellison che nel suo libro Invisible Man parlava della condizione dei discendenti della tratta degli africani strappati a viva forza dalla loro terra per lavorare nelle piantagioni americane. In quell’occasione facevo l’analogia con quello che succedeva qui in Italia ai lavoratori migranti che si erano ribellati a Rosarno. Quest’anno, grazie ai cambiamenti intercorsi nella situazione internazionale e l’acuirsi del razzismo e delle risposte istituzionali mi trovo invece a ricordare il lavoro di un grande scrittore afroamericano, James Baldwin, che nel 1963, scriveva un libro di grande successo intitolato The Fire Next Time (La prossima volta, il fuoco) il cui titolo era ispirato al canto spiritual nero "Mary Don't You Weep" che conteneva il verso, "God gave Noah the rainbow sign, no more water the fire next time." (Dio ha dato a Noè il segno, non più acqua, la prossima volta il fuoco)...
Quel libro fu molto importante per delineare alcune questioni riguardanti le relazioni tra bianchi e neri negli Stati Uniti, il ruolo delle religioni sia islamica che cristiana. Parte del libro aveva la forma di una lettera scritta al nipote quattordicenne. Io sono convinta che chi sinceramente desidera un cambiamento radicale, un nuovo ordine mondiale e personale dovrebbe forse cominciare a scrivere simili lettere, guardarsi attorno, riflettere e poi agire. Cerchiamo di ritrovare coraggio e sincerità scegliendo i giovani come nostri interlocutori, non per cadere nella solita retorica ma anche perché da loro saremo giudicati. Forse questo esercizio potrebbe anche aiutarci ad unirci ai grandi movimenti che stanno mettendo in crisi l’ordine mondiale senza aspettare il diktat di partiti, personaggi famosi, senza stare lì ad aspettare l’evolversi degli eventi con le mani in mano, temendo che scuotere l’equilibrio attuale possa portare a situazioni peggiori, come molti stanno facendo in questo momento, etc.
Pensando ai roghi di cui siamo stati testimoni nelle ultime settimane, e spinta anche dal dispiacere e dalla vergogna (una sana reazione psicologica che sembra essere andata in disuso in Italia) ho tentato di scrivere questa lettera, che non avrà sicuramente la profondità e l’impatto del lavoro di Baldwin, ma che spero possa aiutare a stimolare dibattito e azione.
Lettera ai giovani immolati di febbraio
Caro Nourredine,
che ora riposi in pace dopo tre giorni di atroci sofferenze
Cari Raul, Fernando Sebastian e Patrizia,
che siete morti più velocemente, tutti e quattro abbracciati sul materasso
(il grido che non ce la faceva ad uscire da Raul e Fernando, piccoli sordomuti, urlato dai fratelli più grandi che la voce ce l’avevano)
tutti e cinque ragazzi Noureddine (27 anni, padre di un bambino di 2) e bambini (Raul 3,Fernando 5, Sebastian 8, Patrizia 10 anni) dei roghi di febbraio,
vi scrivo una lettera rossa di vergogna per non aver fatto abbastanza perché questo paese non raggiungesse i livelli di abominio che ha toccato. Penso che anche le omissioni, le distrazioni e le piccole vigliaccherie della mia generazione abbiano contribuito al vostro rogo. Forse non sono stati la benzina o il fiammifero, ma hanno sicuramente fornito materiale di combustione.
In questa lettera non cercherò di consolarvi parlandovi delle piazze infiammate del Nord Africa e del Medio Oriente, che forse ora alleggeriti del corpo potete attraversare, godendovi quell’energia vitale che da noi si è spenta da qualche decennio. Voi quell’esilarante viaggio ve lo siete guadagnati, noi , chi respira ancora in Italia, dobbiamo fare i conti con un paese di morti-vivi, che sperano forse in un secondo Risorgimento preannunciato da un cavallo bianco sul palcoscenico di Sanremo, condotto da un Garibaldi meno solenne e più ridanciano. Un futuro che si decide in televisione, non nelle piazze. Con i faccioni impomatati di Maroni e di Fazio…. Nei salotti della notizia dal design ipertecnologico... Indubbiamente, essendo gli italiani un popolo post-moderno si devono prendere altre vie, non quelle delle piazze. Forse siamo un grande esperimento che dimostra come è possibile assicurarsi l’immobilismo dei popoli manipolandoli con i media. Forse non dobbiamo nemmeno osare di immaginare una possibile ricostituzione della società civile… concetto troppo antico… tutto deve essere deciso dagli scranni del potere, sia nazionale che internazionale (dopo tutto siamo o non siamo la portaerei americana nel mediterraneo? come ci è stato sottolineato dai più recenti wikileaks).
Poiché siete morti e a rigor di scienza con l’occhio fisico il mondo dei vivi non lo potete vedere, vi descrivo una parte del Paese delle Meraviglie, nel quale ignoravate forse di essere, e per cui forse dal vostro rogo non sono nate splendide ribellioni bensì sciatti scaricabarile, scritte inneggianti al nazismo, qualche fiaccolata di “quattro poveri illusi” che credono ancora nella solidarietà, e qualche colletta dai giornali. Forse credevi Nourredine di emulare Mohammed Bouazizi, che la tua disperazione qualche vigile avrebbe cercato di fermarla, che col tuo gesto avresti acceso le coscienze? Anche tu giovane ambulante, lui laureato con le sue quattro mele sequestrate dalla polizia corrotta, tu con il tuo carretto, ancora una volta indugiavi in una strada di Palermo, quella degli antichi splendori arabi e germanici, vicino all’università. Multato perché sostavi troppo a lungo cercando di mantenere con i quattro soldi guadagnati dalla vendita di umili aggeggi la moglie, il figlio e sei fratelli. Un piccolo esercito che un giorno avrebbe dovuto ricongiungersi a te in questa terra di false speranze. In questa fata Morgana dove la felicità a cui aneli ti sfugge sempre di mano?
E voi bambini, credevate che qualche lacrima l’avrebbero riservata ai vostri genitori? Un abbraccio, il riconoscimento di una perdita così atroce? Qualche parola spesa per l’abominio di costringere esseri umani a vivere nelle condizioni in cui un rogo non è risultato del castigo solenne di qualche padreterno ma il risultato di un banalissimo fiammifero? No, in un paese pieno di psicologi mobilitati al più piccolo sentore di trauma autoctono, per i vostri genitori nessuna comprensione, solo minacce di processi, il ricatto di togliergli i rimanenti figli, la gogna di essere giudicati genitori negligenti. ‘Che solo chi ha la casa di proprietà da dieci generazioni può ambire ad avere figli… Per gli altri, croci uncinate…
Non è facile spiegarvi perché la risposta umana che forse vi aspettavate non l’avete ricevuta che da pochi. E’ complicato, in questo mosaico di ragioni ci sono molti tasselli, ma cercherò di essere i vostri occhi e farvi vedere il territorio in cui vivo, e forse un pochino capirete. Certo non ci perdonerete, ma forse qualche spiegazione la potreste trovare.
Dopo aver appreso della tua morte, Nourredine, oggi sono uscita dirigendomi verso la piazza del tranquillo paesotto in cui vivo, dal roseo benessere che un tempo era diffuso ora molto meno. Un benessere che in genere elude i migranti come voi. In questo momento, il roseo potere starebbe per fondersi con il verde della Lega. In apparenza se ne stanno lontani, e si guardano in cagnesco, il Pd sotto il portico del Palazzo del Fascio e la Lega sotto il portico del comune, ma si tratta solo di settimane… Il rosso e il verde della fusione che si prospetta (secondo il machiavellismo da strapazzo di Bersani, efficace risposta all’attuale delirio istituzionale) risulteranno in un colore nauseante, forse ancora più nauseabondo dell’ipocrisia separata di entrambi i partiti.
In questo tour de force il primo monumento che si incontra è la farmacia, antica, di fine settecento, che ancora conserva i vasi originali che contenevano le erbe officinali e i minerali, ed è una delle mete dei pochi turisti che capitano da queste parti. Sotto il portico della farmacia ci sono 4 musicisti tzigani che suonano e hanno messo una giacca per terra a mo’ di cappello per raccogliere qualche soldino dai passanti distratti che vanno o ritornano dal mercato. Non hanno molto successo, ma c’è una sorta di dinamismo che li circonda, un’elettricità che trovo assente nei capannelli di imolesi che si fermano a chiacchierare sotto l’orologio, tradizionale luogo d’incontro nella loro beneamata isola pedonale. Hanno l’occhio vivo dell’outsider, che vede oltre la cortina fumogena dei rapporti che sembrano naturali ed eterni solo perché si svolgono con cadenza quotidiana. Dopo aver sorpassato i musicisti, a qualche passo di distanza ci si imbatte nel Palazzo del Fascio, gloria architettonica del 1936 con bassorilievo che inneggia alle gesta coloniali. Sotto questo edificio, che stona tremendamente con i palazzi antichi dalle facciate rifatte nel Settecento che lo circondano, c’é una sagoma a grandezza umana di Bersani che esorta a rimboccarsi le maniche. Ho il forte sospetto che questo manifesto ormai onnipresente da queste parti sia frutto di qualche esperto di public relations/comunicazione che ha preso alla lettera l’analisi del linguista/consulente politico statunitense George Lakoff che durante le ultime due campagne elettorali negli USA discettava del concetto di “framing”, e di come fosse necessario spostare il frame da quello di padre severo, castigatore rappresentato da Bush a quello di padre amorevole ma fermo, che, manco a dirlo, nel contesto italiano si trasforma in un Bersani seduto che si rimbocca le maniche ed esorta i figli a fare altrettanto… Sempre secondo questo sguardo abbacinato dalle magnifiche sorti e progressive, il “cambiamento” che tale strategia vincente ha inaugurato negli Stati Uniti sarà certamente emulato in Italia… Certo che a noi non devono venire gli americani ad insegnarlo, l’abbiamo nel sangue la nostra tradizione di gattopardi…
Proseguendo di altri quindici passi, eccoci al gazebo della Lega, con la loro inconfondibile foglia, frutto di novella mitologia. Cinque o se robusti ragazzotti autoctoni che guardano con lo sguardo sicuro di chi si sta finalmente imponendo in territorio ostile. Di fronte, nel portico dirimpetto vengo fermata da un ragazzo liberiano di nome George, da cui prendo sempre i fazzoletti di carta… Queste sottigliezze di partiti italiani lui non le capisce e non si pone neanche il problema. Gli chiedo della situazione politica del suo paese, è un po’ stupito, ancora non si capacita che una tranquilla signora della mia età possa interessarsi di politica, ma mi assicura che tra qualche mese in Liberia ci saranno le elezioni parlamentari… per il momento il suo paese non è stato contagiato dai fermenti del Nord Africa…Mentre parliamo mi passa accanto e mi saluta Jessica, ragazza afroamericana, sposata con un ex-jugoslavo cresciuto dalle nostre parti, che l’ha incontrata a Parigi dove entrambi si occupavano di moda…è un po’ stupita che io stia parlando in inglese con uno di quei ragazzi ambulanti africani che vendono i fazzoletti, ma per le sue bambine afroamericane-jugoslave-italiane la cosa sembra normale … A questo punto entro nel nuovo supermercato a prendere dei viveri e in coda, davanti a me, intravedo la firma Louis Vouitton sulla borsa di una mia coetanea, molto tirata, come si usa da queste parti, che compra l’acqua.
Lo so, queste scene forse non le avete viste a Palermo o nelle periferie romane e questo sicuramente non spiega molto, ma vi dicevo è solo un tassello, e se ci mettiamo ad analizzare tutti i tasselli che formano l’Italia, chissà che uno straccio di immagine del paese nel quale viviamo non riusciamo a formarcelo, al di fuori di lenti ideologiche forse un po’offuscate dai nuovi tempi. Chissà che un po’ di indignazione non riusciamo a recuperarla anche noi, solerti cultori della razionalità e del fair play. Liberati dalla piaga della delega a politici, preti, personaggi dello spettacolo e giornalisti invece di ancorarci a catarsi televisive chissà che anche noi non riusciamo a fare un primo passo per riprenderci un tantino di quella dignità di cui si stanno riappropriando i nostri cugini del mediterraneo del Sud.
Questo è il minimo che dobbiamo a voi ragazzi, arsi vivi, perché le vostre ceneri non rimangano sterili.
Pina Piccolo, 19 febbraio 2011
BIOGRAFIA DI PINA PICCOLO
Pina Piccolo è una traduttrice e insegnante italo-americana. Nata in California da immigrati calabresi, cresciuta in Italia, ritornata negli USA e vissuta lì per trent’anni per riapprodare nuovamente in Italia, si considera bilingue e "multicultural". Formatasi come italianista all'Università di Berkeley, ha svolto attività di promozione culturale in entrambi i paesi scrivendo saggi (negli Stati Uniti su Fo, Rame, Celati, di Ruscio) e organizzando iniziative (qui in Italia promuove l'opera della poetessa Shailja Patel). Negli ultimi anni ha pubblicato poesie e racconti che affrontano, tra altre cose, il tema del razzismo e della xenofobia, purtroppo di grande attualità a livello mondiale.