Tunisini in rivolta nei centri di espulsione.
Le foto esclusive del cie di Gradisca.
Le foto esclusive del cie di Gradisca.
Dopo due giorni di rivolte, giovedì e venerdì scorsi, il centro di identificazione e espulsione di Gradisca è letteralmente fuori uso. Resta una sola cella a disposizione per 100 reclusi, e molti sono costretti a mangiare e a dormire per terra e all’addiaccio, ammassati nei corridoi e nei locali della mensa, dove sono tenuti rinchiusi tutti il giorno, e con un unico bagno a disposizione. Oggi in esclusiva siamo in grado di mostrarvi le immagini di questo degrado. Sono fotografie scattate con un telefonino da qualcuno che si trovava nel posto giusto al momento giusto e che ha pensato bene di spedircele. Una prima fuga di notizie che conferma quanto grave sia la situazione. Le rivolte hanno devastato la struttura, ma gli altri centri di espulsione sono pieni e quindi ogni trasferimento è impossibile. La scelta più logica sarebbe di rilasciare i detenuti di Gradisca. E infatti domenica dovevano iniziare le partenze, ma poi deve essere arrivato un contrordine dai vertici perché hanno bloccato tutto all’ultimo minuto e alla fine ne sono usciti solo sei su 13 a cui era stato detto di prepararsi. E che non si respiri una buona aria tra forze di polizia e ministero lo dice il fatto che per il 3 marzo il sindacato Ugl polizia ha indetto un sit in sotto la questura di Gorizia proprio per discutere del cie di Gradisca. Ma in Friuli i problemi al centro espulsioni non sono cosa nuova. Ormai è almeno da un anno e mezzo che le cose vanno molto male. Per chi se l'è perso, riguardatevi il video del pestaggio della polizia contro i detenuti in rivolta. La data è del 21 settembre 2009. Ma ricordare fa bene. Soprattutto quando sono fatti così gravi. anche perché, come purtroppo possiamo immaginare, nessuno ha pagato per quelle violenze. Stavolta però le proteste dei tunisini sono uscite da Gradisca, e ormai le prime avvisaglie di rivolte sono scoppiate in tutta Italia, fino in Sicilia.
A Trapani ad esempio, dove il centro di espulsione sorge al secondo piano di un vecchio ospizio nel cuore della città. È forse una delle strutture più anguste del paese. Una serie di camerate che si affacciano su un ballatoio chiuso da una grata di ferro. E nient’altro. Nemmeno un cortile per l’ora d’aria. Qui la protesta è esplosa lo scorso 23 febbraio, quando i 40 tunisini di Lampedusa hanno iniziato a sfasciare tutto quello che avevano a portata di mano: mobili, suppellettili vari e vetrate delle finestre. Una settimana dopo, i vetri sono ancora rotti e nel centro soffia un vento freddo. Ma almeno non ci sono stati arresti ed è stato concesso ai reclusi di chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari vista la situazione in Tunisia.
A Modena invece la protesta è stata inscenata domenica scorsa, quando i 42 tunisini trasferiti a Modena da Lampedusa hanno buttato i materassi dalle camerate nel cortile per poi incendiarli al grido di “Libertà!”. Pochi giorni prima, un tunisino del centro espulsioni di Bologna si era cucito le labbra per protesta. Una protesta a cui non sono rimasti indifferenti i movimenti di Bologna, che lunedì primo marzo hanno occupato il centro espulsioni di via Mattei in solidarietà con i detenuti. Sempre domenica scorsa invece, i tunisini hanno appiccato il fuoco anche al cie di Torino, al punto che per spegnere le fiamme sono dovuti intervenire i vigili del fuoco. Mentre in Puglia si contano gli arresti per fuga e resistenza a pubblico ufficiale. A Brindisi si è aperto ieri il processo contro i tre tunisini arrestati per la rivolta con fuga di venerdì scorso. E un processo simile inizierà presto anche a Bari, dove giovedì scorso c'è stato un tentativo di fuga finito con uno scontro tra la polizia e due dei trattenuti, entrambi finiti in manette.
L’ultima volta che i reclusi nei centri di espulsione si erano mobilitati in blocco in tutta Italia era stata nell’agosto del 2009, all’indomani dell’entrata in vigore del pacchetto sicurezza, che aveva prolungato il tetto massimo della detenzione nei centri da due a sei mesi. Stavolta però alla base delle rivolte ci sono le rivendicazione dei tunisini sbarcati nelle settimane scorse a Lampedusa, che in questo momento rappresentano la comunità più numerosa nei centri di espulsione.
L’inizio delle rivolte, un paio di settimane fa, ha coinciso con la fine dei trasferimenti dall’isola. All’inizio infatti, le autorità italiane trasferivano i tunisini nei centri di espulsione, per un totale di poco più di 300 persone. Poi però, quando i posti nei cie si sono esauriti, hanno portato gli altri 4.000 nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Strutture aperte per definizione, da dove nel giro di pochi giorni in molti se ne sono andati e hanno potuto raggiungere senza problemi la Francia. Questa disparità di trattamento, tra chi viaggia liberamente senza documenti su un treno per Parigi e chi invece si ritrova sei mesi in gabbia senza aver commesso nessun reato, è stata la scintilla che ha acceso il fuoco della rivolta nei Cie.
Fonte: FortressEurope
Il viaggio dei tunisini continua.
Da Bari a Ventimiglia, inseguendo l'avventura
Da Bari a Ventimiglia, inseguendo l'avventura
Viaggiano senza valigie e con vestiti troppo leggeri per l'inverno del nord. Vanno via dall'Italia. Sono i tunisini sbarcati nelle settimane scorse a Lampedusa. In due settimane se ne sono andati almeno 1.400, senza dare troppo nell'occhio. Alla stazione di Bari è un continuo. Ogni treno è quello buono. La destinazione è una sola: la Francia. Alcuni preferiscono prendere gli eurostar, dicono che sui treni dei ricchi ci sono meno controlli. Altri aspettano i treni notturni dei pendolari. Io viaggio con loro. Carrozza 19. Non appena il treno si muove sui binari, mi sento chiamare per nome dal corridoio: “Gabriele!”. È Walid, uno dei ragazzi di Zarzis che ho conosciuto a Lampedusa. Mi invita a sedere nel loro scompartimento. Mi prensento a Ridha e a Ahmed, anche loro di Zarzis. Un quarto ragazzo dorme con la bocca spalancata e la faccia stampata al finestrino. Li aspetta un lungo viaggio. Arriveranno a Ventimiglia all'una del pomeriggio, dopo un cambio a Tortona. E da lì continueranno in automobile con un contrabbandiere tunisino fino a Toulon, da dove ognuno poi prenderà la sua strada. Il prezzo per il passaggio senza documenti della frontiera francese è di 400 euro a testa. Un po' caro, ma meglio non correre rischi visto che la polizia francese ha intensificato i controlli sui treni e nelle stazioni di Cannes e Nice. Le autorità italiane lasciano fare.
Sembra questa la politica decisa sottobanco dal governo. Chiudere un occhio e lasciare che i ragazzi continuino il viaggio visto che per la maggior parte di loro l'Italia è soltanto un corridoio d'ingresso verso la Francia. È la fuga dopo la fuga. Perché il viaggio non finisce a Lampedusa. Il cerchio si chiuderà soltanto a Parigi, Nantes o Marsiglia, dove ognuno di loro raggiungerà i propri cari. Fonti interne al circuito dell'accoglienza confermano l'andazzo. Metà dei tunisini ospitati nei centri di accoglienza se ne sono già andati. Si parla di almeno 1.400 persone, a fronte di un migliaio di richieste di asilo presentate. E anche tra i circa 200 minori censiti, una quarantina ha fatto perdere le proprie tracce.
Ridha è uno di loro. Ha 17 anni e per legge gli spetterebbe una casa e un progetto di formazione. Ma lui ai progetti preferisce l'avventura. Il suo sogno è di vedere la Francia. Un sogno ingenuo e eccitante, come lo sono i sogni di ogni adolescente. Talmente eccitante che ha lasciato la scuola per questo. Il 10 febbraio, quando l'hanno chiamato per partire, era ancora in classe. Lezione di fisica, seconda ora. Ha risposto al cellulare sotto i rimproveri del professore, ma era troppo importante. Poi ha chiesto scusa e senza dare troppe spiegazioni ha fatto lo zaino ed è uscito di classe, correndo verso il mare. Ormai indietro non si torna, dice scherzando. Troppi giorni di assenza, ha perso l'anno scolastico. E dire che era il penultimo anno del liceo. Ma là davanti c'è la Francia. Un posto che ha sempre sognato, pur non conoscendo nessuno a Parigi, a parte le due fidanzatine incontrate su facebook con cui da più di un anno si vedono in webcam.
Walid invece la fidanzata l'ha lasciata a Zarzis. È una cosa seria, hanno in progetto di sposarsi e comprare casa nel giro di due anni al massimo. E a Zarzis ha lasciato pure un buon lavoro. Guidava un taxi, ma con la rivoluzione e la crisi del turismo, gli affari sono andati in crisi. E allora ha approfittato della presenza del fratello a Parigi per salire in Europa a guadagnarsi da vivere. Gli chiedo se non gli sembra di avere tradito la rivoluzione avendo lasciato il paese, dopotutto i ragazzi delle regioni più povere, che tradizionalmente sbarcavano a Lampedusa negli anni scorsi, da Gafsa e Metlaoui, quest'anno non si sono ancora visti, proprio perché ancora coinvolti nelle manifestazioni per la democrazia. Walid mi ferma subito. Guai a toccargli la rivoluzione. Era in piazza a Zarzis durante le manifestazioni, nella sua città ci sono stati due martiri uccisi dalla polizia, e a un suo carissimo amico hanno sparato in una gamba. E poi hanno tutti partecipato ai comitati di quartiere, dopo il ritiro della polizia dai commissariati, quando gli squadristi di Ben Ali seminavano il terrore. È stata un'esperienza fondante. Sanno di essere stati l'avanguardia del movimento in Egitto e in Libia. Ma il punto è un altro. Ed è che adesso hanno voglia di vivere e di vivere bene. L'economia del turismo non ripartirà prima di un anno o due, e loro non hanno voglia di aspettare.
Anche se poi non c'è solo il lavoro. Ridha ad esempio dice che se lo dovessero rimpatriare non sarebbe un problema. Che voleva soltanto vedere la Francia. E che ne ha approfittato perché per un mese non ci sono stati pattugliamenti in mare e non era più come ai tempi di Ben Ali che se ti beccavano in mare diretto a Lampedusa ti facevi sei mesi di galera. Walid sorride: c'è stato un momento a Zarzis che dovevi partire e basta, senza avere per forza un progetto di vita, quasi soltanto per dimostrare agli amici che eri un uomo.
Ad ogni modo a Ridha e Walid andrà bene. Ma non tutti i ragazzi di Zarzis potranno lasciare l'Italia. Almeno 300 infatti sono finiti dietro le sbarre dei centri di identificazione e espulsione di mezza Italia. Li aspettano sei mesi di detenzione e il rischio del rimpatrio forzato. Non cercate una logica per capire perché alcuni sono detenuti e altri viaggiano senza documenti sui treni diretti al confine. Perché una logica non c'è. Semplicemente hanno riempito i centri di espulsione, e quando non c'era più posto hanno lasciato andare tutti gli altri verso la Francia. Qualche domanda però se la sono iniziati a fare anche dentro i centri. E la risposta è stata la rivolta. Quasi per tutti è la prima volta che sono detenuti e davvero non riescono a capire come mai. Il centro di espulsione di Gradisca è stato devastato da un incendio. Scontri con le forze dell'ordine, incendi e tentate evasioni sono state registrate anche a Trapani, Brindisi, Torino e Bari. L'ultimo centro a scoppiare è stato quello di Modena, dove domenica i 42 tunisini trasferiti da Lampedusa hanno incendiato materassi al grido di “Libertà!”. Che abbiano portato con sé di qua dal mare un po' del vento della rivoluzione?
Fonte: FortressEurope