Nell'aderire il 25 luglio alla giornata nazionale
LasciateCI Entrare, indetta da: FNSI, ASGI, Articolo 21, rete Primo Marzo e da
numerose associazioni antirazziste, indiciamo ed invitiamo a partecipare Lunedì
25/7 alle ore 11 alla conferenza stampa ed all'incontro interetnico di fronte al
villaggio degli aranci di Mineo; a partire dall'assemblea nazionale delle
associazioni antirazziste e dei migranti il 19 luglio a Genova ( http://www.genova2011.org/ ) lanceremo
una campagna nazionale per la chiusura del megaCara di
Mineo.
Rete Antirazzista
Catanese
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S.O.S. Mineo
Il 15
febbraio scorso, il ministro Maroni, durante la conferenza stampa tenutasi alla
Prefettura di Catania, annunciava ai giornalisti l'idea del governo di ospitare
a Mineo i richiedenti asilo
distribuiti nei CARA - CDA di tutto il territorio nazionale, attribuendo la
paternità del Villaggio della Solidarietà di Mineo al presidente del
consiglio Silvio Berlusconi. Sin da allora era per noi chiara la natura
speculativa e razzista dell'operazione. Da una parte la deviazione di ingenti
risorse pubbliche su una struttura, il Residence degli Aranci di Mineo,
un complesso di 404 unità abitative di proprietà della Pizzarotti Parma, che,
dopo la revoca del contratto di locazione del Dipartimento della Marina Militare
USA, difficilmente avrebbe trovato un'altra destinazione d'uso, dall'altra la
sua conversione in “centro a cinque stelle” per
immigrati-clandestini- richiedenti asilo.
Il villaggio di Mineo, del tutto isolato, distante oltre
10
chilometri dal più vicino centro abitato, più che un
villaggio della solidarietà ci faceva pensare a un centro di segregazione, un
esperimento di nuove politiche di detenzione dei migranti. Quando l'abbiamo
visto, in occasione della manifestazione contro la presenza dei migranti
irregolari promossa da alcuni
sindaci del calatino, il villaggio aveva già assunto le caratteristiche di un
centro di detenzione: doppia recinzione, telecamere, presenza massiccia di
carabinieri, polizia, militari dell'esercito, ossessione securitaria mai
espressasi durante la permanenza dei militari Usa di Sigonella, per anni
protetti dai pericoli di attentati terroristici solo da una recinzione e da una
guardiola. Il villaggio dell'accoglienza d'eccellenza si era trasformato
in un carcere per i giovani tunisini provenienti da Lampedusa che andava
svuotata rapidamente. La loro rabbia si è tradotta subito in una fuga di massa
dal centro: a centinaia si sono avviati a piedi lungo la Catania - Gela in cerca di
quella libertà che li aveva indotti a lasciare il loro paese. Nei mesi il Cara
di Mineo, con funzione anche di centro d’accoglienza ha assunto la fisionomia
attuale, una mega struttura segregazionista dove sono ospitati circa 2000
richiedenti asilo, in buona parte sradicati da altri Cara di tutto il territorio
nazionale, liberi di uscire dal centro dalle otto di mattina alle otto di sera,
sottoposti a regole tanto rigide quanto inutili. Il loro tempo trascorre in modo
ripetitivo, in fila per entrare e uscire, in fila per mangiare, in fila per
telefonare, tre minuti al mese di telefonate e cinque minuti di connessione
internet; se va bene, otto minuti al mese è il tempo loro concesso per restare
in contatto col mondo. Nel centro regna la disorganizzazione: pochi mediatori
culturali, pochi corsi d'italiano, scarsa assistenza sanitaria, niente giornali
e televisione, nessuna attività ricreativa e culturale, nessun percorso
d'inserimento nel territorio. D'altra parte Mineo dista, andata e ritorno,
22
chilometri, da fare a piedi se non si posseggono i due
euro della navetta, concessa da poco. La quantità e la qualità del cibo non sono gradite ai migranti,
cucinare non è possibile, soprattutto i più giovani si sentono privati della
propria identità. L'angoscia più grande
riguarda però il futuro: la lentezza della commissione, lo scadente
servizio d'interpreti, i dinieghi che cominciano ad arrivare numerosi (più del
50% stando a quanto ci hanno
raccontato i migranti), le discriminazioni che colpiscono in particolare alcune
comunità, come i pakistani del Punjab, le cui richieste sono state rigettate in
blocco, e i migranti provenienti dall’Africa subsahariana.
Questa situazione ha portato a tre
manifestazioni di protesta, tre blocchi stradali (10/5, 6/6, 20/6) che hanno
sortito l'effetto di accelerare i lavori della commissione. Non tutti però hanno
l'energia per continuare a lottare per i loro diritti; molti sono rassegnati. La
disperazione si fa strada in tanti, come si evince dal rapporto di Medici senza frontiere
(Dall’inferno al limbo), presente nel centro per un progetto di salute
mentale della durata di tre mesi, che documenta sette tentati suicidi fra i
migranti rinchiusi nel CARA. Una denuncia forte che punta i riflettori sul
fallimento del centro modello dove le condizioni di vita sono tali
da mettere a rischio la salute mentale delle persone, soprattutto le più
vulnerabili, quali le vittime di violenza e di tortura, per le quali non è stato
predisposto alcun servizio. Le conclusioni del rapporto non ci sorprendono.
Abbiamo infatti nei mesi documentato tanti casi di inefficienza, a cominciare
dalle cure a dir poco tardive prestate ai feriti della Rivoluzione dei
gelsomini, tanti casi di negazione di diritti inalienabili, la reclusione
illegale da alcuni mesi di più di 40 minori, abusi delle forze
dell'ordine.
Nei mesi, l'atteggiamento
delle istituzioni locali si è modificato, passando dal rifiuto della presenza
dei migranti all'accettazione del centro quale possibile risorsa economica del
territorio. Una risorsa malata che mette in moto un'economia anch'essa malata,
basata sulla clientela e sullo spreco delle risorse pubbliche per progetti che
nulla hanno a che fare con i bisogni e i diritti dei migranti (alcuni servizi
del centro di Mineo, su suggerimento di Castiglione (da poco nominato
« soggetto attuatore »), stanno per essere affidati al potente
consorzio Sol.Co. Calatino e a Connecting People....
Siamo in direzione diametralmente opposta
ad un progetto reale di accoglienza, rispettoso dei diritti delle persone
migranti, capace di mettere in moto un'economia virtuosa, con ricadute positive
sull'economia e sull'occupazione, come è avvenuto nei comuni della Locride e in
molti altri comuni italiani con il cosiddetto sistema Sprar, grazie alle reti
solidali di enti ed associazioni.
In troppi blaterano di “bomba ad orologeria” per
giustificare il Pon sicurezza; visto il mega business potenti consorzi di
cooperative sociali si stanno facendo sotto per spartirsi il resto degli
appalti, rinunciando a criticare a monte la scellerata decisione di aprire un
Cara nel residence degli aranci.
Noi, contrariamente a chi ha cessato l’ostilità a questo dispendioso,
clientelare e disumano esperimento, abbiamo sempre proposto che con meno della
metà si sarebbe potuto fare reale accoglienza all’interno dei paesi limitrofi
con i progetti SPRAR, come ha dimostrato il sindaco di Riace nel convegno
sull’accoglienza tenutosi a Mineo il 19 marzo scorso.
In tanti mesi la Rete
Antirazzista ha portato avanti a Mineo iniziative di monitoraggio, di denuncia,
di solidarietà e di assistenza; continueremo a farlo ma ci rendiamo conto
che non è più rinviabile l'avvio di
una campagna nazionale per la chiusura del Cara di Mineo.
CHIUDERE IL VILLAGGIO DELLA « SOLIDARIETA' » IN TEMPI RAPIDI E' POSSIBILE
Intanto deve essere garantito a quanti desiderano farlo, e ne hanno la possibilità, di domiciliare la loro pratica di richiesta d'asilo presso un legale; facciamo poi appello alle amministrazioni locali, alle forze politiche e alle associazioni antirazziste e solidali per attivare e moltiplicare l'esperienza degli SPRAR nel territorio calatino e non solo.
E’ possibile attivare
percorsi virtuosi di accoglienza e di reale inserimento sociale persino
risparmiando: 20-23 euro al giorno per rifugiato a fronte del contributo
oscillante dai 40 ai 52 euro che il governo versa agli enti che gestiscono i
CARA (a Mineo, fino al 30 luglio, la Croce Rossa Italiana, ente individuato del governo
senza l'indizione di un bando pubblico; nulla fa pensare che andrà meglio con la
subentrante Protezione Civile).
Il modello di esclusione e
di emarginazione del CARA di Mineo non ha motivo di esistere se non per dipingere i richiedenti asilo,
costretti a fuggire dai loro paesi, come un'emergenza nazionale tale da
giustificare la militarizzazione del
territorio e la gestione clientelare delle risorse.
Rete Antirazzista Catanese (info-adesioni alfteresa@libero.it)