Ostacoli burocratici, questure che prendono tempo, pratiche di rinnovo che si smarriscono o si perdono
ROMA. Novanta giorni di tempo al ministero dell’Interno per un intervento chiarificatore che faccia in modo che i tempi previsti dalla legge per l’ottenimento della cittadinanza italiana o dei ricongiungimenti familiari siano effettivamente rispettati. Sono i termini della diffida inviata dalla Cgil con il suo patronato Inca e Federconsumatori, al Viminale sotto forma di class action a tutela degli immigrati residenti in Italia.
L’obiettivo è quello di mutare la prassi attuale, con i cittadini stranieri costretti ad attendere oltre i termini previsti dalla legge per ottenere diritti che sulla carta sono sanciti ma nella pratica vengono ancora negati.
L'idea, presentata oggi in conferenza stampa, nasce dall’esperienza sul campo del sindacato e del patronato, entrati in contatto con decine di migliaia di immigrati che hanno avuto la necessità di assistenza e di tutela nei loro rapporti con la pubblica amministrazione, nelle pratiche di rinnovo o di rilascio del permesso di soggiorno, nelle procedure di regolarizzazione della posizione lavorativa, nelle richieste di ricongiungimento familiare. Già numerose azioni di tutela e vertenze individuali sono state svolte nel corso degli anni, ma ora viene messa in atto un’azione collettiva “per il ripristino della correttezza e dell’efficienza dei procedimenti amministrativi”. Il riferimento è soprattutto alla “sistematica e gravissima violazione dei termini massimi per la conclusione dei procedimenti amministrativi”: la legge prevede che le procedure di naturalizzazione debbano concludersi entro due anni dalla presentazione della domanda ma in concreto vi sono casi di attese di tre, quattro e più anni senza alcun cenno di riscontro da parte dell’Amministrazione.
Un disservizio, precisa la Cgil, ancor più grave alla luce del contributo di 200 euro che i richiedenti versano all’atto della domanda dal 2009, una vera e propria “tassa” senza alcun ritorno in termini di efficienza della procedura. La Cgil ha messo insieme 63 casi, fra i tanti segnalati, che costituiscono oggetto della class action insieme ad una decina di casi di rilascio del titolo di soggiorno permanente ai familiari. Si tratta, in questo caso, del diritto per i familiari (genitori e figli) di lungo soggiornanti, di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno a carattere permanente: “Molte questure – denuncia la Cgil – si ostinano a procrastinare la concessione del titolo fino a che ciascuno dei familiari non abbia autonomamente maturato il requisito della presenza ultraquinquennale sul territorio italiano”.
Di fronte a questa realtà, Cgil, Inca e Federconsumatori hanno inviato diffida al ministero dell’Interno che è tenuto a fornire risposta entro 90 giorni dal ricevimento. In assenza di risposta o con risposta insoddisfacente, può essere promossa entro un anno una vera e propria azione di classe in sede giurisdizionale innanzi al Tar del Lazio, alla quale possono partecipare tutti coloro che versano nella situazione analizzata. Il Tar emette una sentenza che può accertare la violazione con un ordine di rimozione del disservizio. E proprio questo, immediatamente dal Viminale o successivamente attraverso il Tar, è l’obiettivo della Cgil: fare in modo che i tempi che la legge indica siano effettivamente rispettati. In seguito alla delibera del Tar, peraltro, potrà eventualmente essere svolta un’ulteriore azione per il risarcimento dei danni subiti: un’intenzione per il momento non prioritaria e che – viene assicurato – se il principio sarà riconosciuto, a suo tempo verrà realizzata.
di Redattore Sociale
Fonte: Corriere Immigrazione