La Fondazione Roma Mediterraneo del potente cavaliere-avvocato-professor Emmanuele Emanuele, sorta nel 2008 come costola della più nota Fondazione Roma
(ex Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, importante azionista
Unicredit), dopo le sedi di rappresentanza a Palermo e Rabat e le nuove
di Valencia e Istanbul, sembra essere intenzionata a mettere radici a
Taormina. La fondazione ha istituito quest’anno il Premio Award allo sviluppo del dialogo interculturale ed all’affermazione di una specifica identità mediterranea
che sarà consegnato a un cineasta nella serata finale del festival di
Taormina. In ringraziamento, con un ignoto atto amministrativo, le è
stata intitolata la principale sala conferenze del palazzaccio dei
Congressi, cuore operativo della rassegna cinematografica. Palcoscenico e
riflettori invece per il banchiere-finanziere Emanuele, ospite d’onore
dell’incontro “L’arte e la cultura in una società senza valori”
all’interno del Campus formativo del festival destinato a centinaia di
studenti liceali e universitari siciliani e non, grazie al contributo
del Ministero della Gioventù. Un incontro in cui si è discusso assai
poco d’arte e di cultura e nulla di Mediterraneo ma invece tanto e male
di mafia e antimafia, causa la contestuale partecipazione del
critico-polemista e sindaco di Salemi (Trapani), Vittorio Sgarbi.
Un’amicizia
quella tra Emanuele e Sgarbi coronata dalla collaborazione della
Fondazione Roma ad alcuni “progetti culturali” avviati a Salemi
dall’attuale sindaco e che oggi si alimenta della mutua collaborazione
alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia, dove l’avvocato-professore è
presidente del Comitato degli intellettuali del Padiglione Italia su
nomina del ministro per i beni culturali, mentre il critico Sgarbi è
curatore della sezione espositiva italiana. Il lungo sproloquio di
Vittorio Sgarbi ha lasciato attonita una parte del pubblico. Adirato
dall’ispezione avviata dalla Prefettura di Trapani per verificare
l’esistenza di possibili infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa
della città di Salemi, Sgarbi è andato pesante contro prefetti,
questori, giudici e professionisti anti-mafia. “Sono loro i veri mafiosi
perché la mafia in Sicilia non esiste ormai quasi più, è lo Stato la
vera mafia e l’antimafia, che è assai peggio della mafia, continua ad
alimentare la sua leggenda bloccando l’economia dell’isola…”. Il
cronista registra, spera inutilmente in uno stop di Emanuele o della
direttrice della rassegna e moderatrice dell’incontro, Deborah Young,
poi sbotta con un “vergogna, basta parlare così agli studenti” e viene
impietosamente tacciato da Sgarbi di “mafioso, mafioso, mafioso, gente
come te è la vera mafia in Sicilia” ma finalmente il
dibattito-sceneggiata viene dato per chiuso.
Non
era certamente andata meglio prima la tavola rotonda sulle “rivoluzioni
in nord Africa”. Per imprecisati “motivi tecnici”, gli organizzatori
avevano modificato in extremis il programma, dividendo l’incontro in due
diversi momenti. Il primo riservato ai giovani e brillanti cineasti
Ibrahim El Batout, Habib Attia, Mourad Ben Cheikh, Leila Kilani e Soufia
Issami, testimoni diretti del fermento sociale e culturale e dello
spirito rivoluzionario che anima le nuove generazioni in Algeria,
Tunisia, Marocco ed Egitto. Si è pensato bene però di concentrare
l’attesissimo dialogo con il pubblico in poco meno di un’ora, per giunta
dopo aver relegato la proiezione dei loro splendidi film (solo “tre e
mezzo” le produzioni arabe in programma come amaramente sottolineato dal
decano dei critici cinematografici siciliani, Citto Sajia) negli
insostenibili orari del dopo pranzo. Il secondo appuntamento, invece, è
stato di quasi due ore, una master class
del finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, socio di Silvio
Berlusconi ed ex delegato ai rapporti istituzionali della Presidenza del
consiglio con i capi di stato nordafricani (i “dittatori” Ben Ali e
Moumar Gheddafi, tra gli altri). Al festival, tra l’altro, Ben Ammar è
stato consegnato per la sua attività di produttore – caso più unico che
raro nella storia delle rassegne internazionali - uno dei tre Taormina Arte Award. Il
suo intervento autocelebrativo ha ammaliato il pubblico in sala. Parole
commoventi per i giovani nordafricani che sfidano il Mediterraneo per
“esercitare il diritto alla libertà e consocere la cultura europea ma
ingiustamente respinti dalle politiche migratorie dell’Unione”, lui che
il 24 marzo 2011 aveva accompagnato i ministri Maroni e Frattini per
stringere una nuova alleanza politico-militare con la Tunisia per ridare
il via ai respingimenti in Africa dei migranti. Un’ovazione ha
suscitato poi l’annuncio che presto prenderanno il via le riprese di un
film interamente dedicato alla storia del venditore ambulante Mohamed
Bouazizi che si è ucciso lo scorso dicembre dandosi fuoco e denunciare
con il suo sacrificio le violenti repressioni della polizia e
dell’esercito di Ben Ali. “Abbiamo il dovere che i nostri figli non
dimentichino quanto è accaduto in questi mesi in Tunisia e nel mondo
arabo e dello storico processo di affermazione dei valori di libertà e
democrazia”, ha dichiarato Ben Ammar.
Un’ora
prima i giovani registi nordafricani si erano detti però un po’ meno
ottimisti sulla linearità dei processi rivoluzionari in atto. “Il
padrone è andato via ma i cani del padrone sono rimasti, abbaiano forte
e cercano ancora di mordere”, ha spiegato il tunisino Mourad Ben
Cheikh, autore del documentario Plus jamais peur (Mai più paura)
su quanto accaduto in Tunisia nelle tragiche giornate del gennaio 2011.
Modi antitetici di intendere la storia, la libertà, la democrazia e il
cinema, che hanno costretto il FilmFestival ad evitare che si sedessero
allo stesso tavolo registi e produttori indipendenti arabi e il magnate
franco-tunisino. “Sì, è vero, ho lavorato per decenni in Tunisa sotto il
governo di Ben Alì, ma è stata una scelta di realpolitik tesa a
salvaguardare i miei affari e i salari delle maestranze, gli oltre
750.000 tunisini che in tutti questi anni ho impiegato per le produzioni
dei miei kolossal”, si è giustificato Ben Ammar. “La location n nord
Africa delle produzioni europee e nordamericane consente di ridurre le
spese e ridistribuire ricchezza”, spiega il finanziere, omettendo che
proprio le delocalizzazioni e le politiche neoliberiste imposte dalla
finanza transnazionale hanno spinto centinaia di migliaia di giovani
arabi a lottare per le “rivoluzioni democratiche”, come magistralmente
documentato dallo splendido film Sul la planche
della regista marocchina Leila Kilani presentato a Taormina, con al
centro la decomposizione del tessuto economico e sociale generata dalla
grande zona franza di Tangeri (una coproduzione Marocco-Francia-Germania).
Tarak
Ben Ammar, a differenza del socio e amico Silvio Berlusconi, respinge
l’idea di buttarsi nell’agone politico, scegliendo di governare il paese
in odo sommerso, attarverso il controllo dei canali finanziari,
dell’economia e soprattutto dei nuovi media “indipendenti”. “Sono un
uomo di cultura, non amo la politica e escludo categoricamente di
coinvolgere la mia persona e la mia vita nelle competizioni elettorali”,
ha dichiarato Ben Ammar, “onorato” di poter lanciare proprio da
Taormina il suo nuovo kolossal Black Gold (Oro Nero),
incentrato sulla “scoperta” del petrolio nel regno di Arabia ma
interamente girato in Tunisia dal regista Jean-Jacques Annaud e
dall’attore Antonio Banderas. “Il cinema deve produrre denaro”, spiega
Ben Ammar. “La Tv è la banca del cinema e sono le banche che finanziano
le Tv e ciò spiega perché ho scelto di fare ingresso nel sistema
bancario internazionale e divenire membo del consiglio di
amministrazione di Mediobanca”. Se poi c’è spazio, ma senza disturbare i
manovratori, può subentrare anche la “cultura”…
Si
annuncia ancora più cinico e lacerante l’epilogo del FilmFestival del
Mediterraneo negato, dimezzato e più volte mistificato da organizzatori e
certi ospiti “di peso” della kermesse taorminese. Stasera, nello
splendido scenario del teatro greco, la Fondazione Roma Mediterraneo
di Emmanuele Emanuele consegnerà il suo Award al dialogo interculturale
al regista palestinese Elia Suleiman, autore di importanti film di
denuncia sulla condizione di un popolo oppresso da ormai 64 anni di
occupazione israeliana. Riconoscimento meritato, peccato che tra i
membri “d’onore” del comitato scientifico della fondazione per “la
cooperazione culturale ed economica nel bacino mediterraneo” compaia
l’ex ambasciatore d’Israele in Italia, Avi Pazner, portavoce per decenni
dei più guerrafondai governi della storia nazionale e strenuo
oppositore delle risoluzioni ONU che invocano il ritiro militare dai
territori della Cisgiordania pre-1967. Le organizzazioni non governative
che compongono il coordinamento italiano per il boicottaggio d’Israele
hanno chiesto da Elia Suleiman di disertare il “tappeto rosso” di
Taormina esprimendo ancora una volta il proprio sostegno alla lotta
palestinese. Dall’area dello Stretto, con una lettera aperta, la Rete No
Ponte ha chiesto al regista di rifiutare un “premio maledetto”. Un mese
fa uno striscione in memoria del pacifista Vittorio Vik Arrigoni apriva
a Messina il corteo nazionale contro il progetto di realizzazione del
ponte sullo Stretto. “Restiamo umani”, si leggeva, come il titolo del
suo blog che per lungo tempo ha testimoniato i crimini israeliani a
Gaza. Come la recente operazione “Piombo fuso” o il sanguinoso assalto
alla Gaza Flottilla che l’ex
ambasciatore Avi Pazner ha rivendicato e giustificato di fronte alla
stampa e alla diplomazia mondiale. Elia Suleiman non ha ancora risposto.
A Taormina è atteso tra un paio di ore. Ma c’è ancora chi spera in un
doveroso atto di obiezione, in nome dei diritti e della dignità umana e
della pace giusta in Medio oriente.
Fonte: Antoniomazzeoblog