La Rosarno è tornata la calma. I rosarnesi hanno sfilato in piazza per rigettare l’accusa di razzismo. Un ritorno alla normalità da tutti auspicato che ci consente alcune riflessioni.
Per capire che cosa è avvenuto, occorre riportare alla nostra memoria lo scenario di vita da inferno dantesco che ha fatto esplodere la guerriglia tra i lavoratori immigrati e la popolazione locale.
Uno scenario brulicante di migliaia di persone che vivono ai margini della città, in un contesto al di sotto dei livelli della dignità umana, sia come alloggio, sia come condizioni igienico-sanitarie, con una retribuzione di assoluto sfruttamento, nelle mani di caporali mafiosi, agenti e subagenti del lavoro sommerso, con 25 euro per otto ore di lavoro meno 5 euro per il trasporto delle camionette. Come bestie. Senza protezione sindacale, legislativa e amministrativa. Sia locale che nazionale. Come schiavi. Senza diritti.
Isolati dalla società rosarnese, impaurita dalla mancanza di relazioni e dalla criminalizzazione mediatica amplificata.
Il tutto sotto gli occhi di tutti. Sindacati ed Istituzioni. Non una parola.
A fare esplodere questo bubbone sociale, è bastata la bravata di due balordi che hanno sparato con un fucile ad aria compressa a due immigrati. Una scintilla che diventa esplosione senza margini.
La reazione dei rosarnesi è stata immediata perché si sono sentiti minacciati a casa propria. E’ subentrata la paura alimentata dalla malavita locale, sempre pronta in occasioni del genere.
L’intervento della polizia ha ristabilito l’ordine con la deportazione di un migliaio di immigrati nei centri di identificazione e di espulsione di altre Regioni. Molti sono fuggiti.
Su questo scenario incivile ed esplosivo, è assolutamente fuorviante affermare che i fatti di Rosarno si possano attribuire alla eccessiva tolleranza. Un falso mediatico sulla verità.
I fatti di Rosarno sono, piuttosto, una pagina nera che richiede approfondimento e richiamo alle responsabilità. Ne parlerà la storia. Ma i veri storici siamo noi che abbiamo assistito alla nefasta regressione culturale del nostro Paese, da sempre modello e testimone di una lunga tradizione di umanesimo e di secolare accoglienza, diventare Paese razzista e xenofobo sotto l’incalzante ed ossessiva adozione di provvedimenti incivili da parte di un Governo che ha perseverato sull’onda lunga di un successo elettorale imbastito sulla paura, sulla criminalità dell’immigrato e sulla insicurezza dei cittadini.
Senza capire che la questione della mobilità umana è un fenomeno di dimensione internazionale che va inserito tra le priorità dei Governi, delle forze politiche, delle Associazioni, con la capacità di gestire integrazione e solidarietà come antidoto ad una società ingovernabile, piena di conflitti, sfruttamenti e violenze.
Occorre convincersi che il mondo non è più quello di ieri, è cambiato e va guardato nel suo complesso e che non può essere più quello delle chiusure e degli egoismi ma un mondo aperto alle relazioni ed al dialogo tra i popoli.
Altra cosa è la linea dura del Governo da tutti invocata e voluta contro ogni forma di criminalità e di violenza, da qualunque parte provenga. Così come è evidente che gli arrivi non possono non essere regolati e contingentati con la precedenza al diritto internazionale di asilo.
Questo lo hanno capito bene gli altri Paesi europei. In Germania la Merkel, già parecchi anni addietro, ha fatto della questione immigrazione la priorità del suo Governo scegliendo l’integrazione. Sullo stesso piano l’Inghilterra, la Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: pace sociale, risorsa aggiuntiva allo sviluppo, ricchezza multiculturale.
Diversamente, nel nostro Paese, a guida leghista, è stata scelta la strada della intolleranza, della caccia all’immigrato, identificato con il malavitoso e della persecuzione allo straniero. Non solo campagna mediatica ma provvedimenti legislativi. Basta seguire che cosa è avvenuto in questi ultimi anni.
La segnatura ai minori Rom, il rigetto in mare dei richiedenti di asilo, di donne incinte e di bambini, accordi con Gheddafi per fare sparire gli immigrati nel deserto africano, istituzione di ronde contro gli immigrati gestite da privati, l’introduzione del reato di immigrazione, la discriminazione dei figli di immigrati nati in Italia o arrivati in tenera età ai quali viene impedito di diventare italiani, diniego della cittadinanza a persone perfettamente integrate in Italia, anche da decenni. Con l’aggiunta di una politica di odio e di repulsione generazionale.
Altro che eccessiva tolleranza. Ce ne è quanto basta e forse di più per una cultura razzista. Una deriva pericolosissima dai risvolti tristemente imprevedibili.
Non c’è da meravigliarsi. Il razzismo è una malattia sociale che esplode nei momenti di caduta dei valori, di decadenza morale, di crisi della democrazia e di fragilità delle Istituzioni. E’ la storia che ce lo insegna. Ha trovato le condizioni favorevoli in un Paese incagliato dalla crisi economica, dal crescente livello di disoccupazione e dalla sempre più diffusa povertà di larghi strati della popolazione.
Non per niente l’Unione Europea è ripetutamente intervenuta con giudizi pesanti sui provvedimenti del Governo italiano, senza dire della stampa internazionale che non ha esitato di dare all’Italia il marchio di Nazione razzista.
Per fortuna, non in tutta l’Italia avvengono i fatti di Rosarno e di Volturno. Nella stessa Calabria non mancano esempi e modelli di integrazione. A Riesi, sulla costa ionica, a soli 50 km da Rosarno, dove il sindaco Massimo Lucano ha richiesto di potere ospitare un gruppo di immigrati in fuga avendo realizzato nel Comune un modello di integrazione dove gli stranieri hanno trovato lavoro insieme ai giovani del luogo nei settori dell’artigianato, dove è stata aperta una scuola per l’analfabetismo ed i locali per i bambini, realizzando una convivenza pacifica e produttiva per la cittadinanza. Ma di questi esempi non ne parla nessuno.
In Sicilia dove, nonostante gli elevati indici di disoccupazione, migliaia di immigrati hanno trovato spazio in una convivenza aperta nei confronti dell’altro che arriva. Così come non mancano Comuni siciliani con immigrati eletti nei Consigli comunali, con voto consultivo.
In questo contesto di civiltà mediterranea e di millenaria accoglienza nei confronti dell’altro, Sicilia Mondo, sulle indicazioni del Convegno regionale “Conosciamoci” con le etnie non comunitarie, dell’aprile scorso, ha presentato alla Regione un progetto per la integrazione degli immigrati, già all’esame della Commissione all’Assessorato alla Famiglia.
Come commentare allora i fatti di Rosarno?
Sostituiti dalle immagini drammatiche di Haiti, i fatti di Rosarno diventano sempre più lontani e sempre più dimenticati dalla coscienza collettiva. Ma quale lezione ha lasciato questa vicenda calabrese?
E’ la domanda che facciamo a noi stessi ed a chi ci legge.
Cosa faranno ora o dovrebbero fare la società civile, i partiti politici, lo Stato per reprimere ogni forma di sfruttamento e rimettere tutto nella legalità? Come cambieranno le cose a Rosarno e in Italia?
E’ un interrogativo che diventa preoccupazione amara per la constatazione della assoluta mancanza di contrasto culturale da parte della società civile italiana pur dotata di sensibilità sociale, di tradizioni e di etica cristiana sui temi del diritto alla vita ed alla dignità umana.
Preoccupazione che si incupisce osservando l’indifferenza assordante della stragrande maggioranza di parlamentari bipartisan, di formazione cattolica, ridotti al ruolo di noleggiati dai capi politici sulle linee politiche e sui provvedimenti legislativi del Parlamento avendo perduto la dignità delle idee, dei comportamenti e delle scelte secondo coscienza. Hanno perduto credibilità. Non hanno niente da dire.
Emblematica ed illuminante la parola di Papa Benedetto XVI: “Bisogna ripartire dal cuore del problema! Bisogna ripartire dal significato della persona! Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro dove è più facile la tentazione dello sfruttamento ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita. Occorre che le Istituzioni, sia politiche, sia religiose, non vengano meno – lo ribadisco – alle proprie responsabilità”.
Fonte: Siciliamondo.it