Le testimonianze raccolte a Roma: "L’integrazione non dipende dal numero dei bimbi, ma dall’apertura delle loro famiglie. Meglio limiti più ristretti, validi solo per le scuole in cui mancano progetti per l’inserimento”
ROMA - Le scuole materne della Capitale si adeguano alla circolare comunale dell’assessore Marsilio: non più di 5 bimbi stranieri (sia nati in Italia, che fuori) per classe. Un limite imposto già in un regolamento della scuola dell’infanzia ’96, che oggi l’assessore vuole applicare, per regolarizzare le nuove iscrizioni, previste entro il 12 febbraio. Restrizione, spesso difficilmente applicabile, e che può essere trascurata, “se ci sono progetti che facilitino l’integrazione”, spiegano dalle scuole materne Deledda e Toti (dove in una classe si superano già i 5 studenti), grazie alla presenza dei mediatori culturali, messi a disposizione dal dipartimento IX.
Il limite è invece già stato rispettato, senza difficoltà, in alcune zone della Capitale. Alla scuola Giovanni XXIII, la percentuale di bimbi stranieri è bassissima: circa cinque su un totale di 180. Stessa situazione a Colli d’Oro, periferia nord di Roma, dove in qualche sezione si contano al massimo quattro bimbi stranieri: “è una zona troppo dislocata per loro”, spiega la responsabile. Alla Giulio Cesare, zona Prenestina, su 41 nuovi iscritti, finora se ne contano otto stranieri, tutti nati in Italia. “Abbiamo sempre rispettato il limite previsto dal Comune - spiegano alla scuola -, per favorire l’integrazione. È fondamentale che i bimbi stranieri siano a contatto con gli italiani”.
Ma ci sono casi in cui il tetto è difficilmente applicabile. Come in una piccola scuola sulla Cassia, che conta 77 iscritti complessivi, di cui il 70% stranieri e con singole classi che superano i 15 alunni immigrati. O come alla scuola materna Deledda, a Tor Pignattara, zona con un alto numero di immigrati.
“Un provvedimento utile ma non applicabile, soprattutto in realtà come il sesto municipio”, spiega Alessandra Ziaco, che insegna alla Grazia Deledda e l’anno scorso seguiva una classe di 22 bambini, di cui 11 stranieri. “E poi i bambini dove vanno? Bisognerebbe creare altre scuole. Il problema dell’integrazione non è tanto nel numero ma nel contesto culturale, che a volte è più chiuso. Come nel caso delle famiglie cinesi, o del Bangladesh, dove le madri non lavorano e non comunicano. Mentre i bimbi albanesi e romeni sono molto più integrati e più vicini agli stili di vita europei”.
Senza dimenticare che la maggior parte dei bimbi stranieri è nata nel nostro Paese: “Parlano l’italiano perfettamente”, spiega Maria Cernuto, maestra alla scuola Leonardo Angelini, “non dovrebbero essere considerati stranieri. E anche per quelli nati fuori Italia, non c’è mai stato alcun problema: nel giro di due mesi comprendono già tante parole. E poi sono sempre riuscita a farmi capire anche dai genitori, attraverso gesti o messaggi scritti. Ciò che conta è l’approccio: anche il bimbo immigrato è uguale agli altri”. (Maria Chiara Cugusi)
© Copyright Redattore Sociale
ROMA - Le scuole materne della Capitale si adeguano alla circolare comunale dell’assessore Marsilio: non più di 5 bimbi stranieri (sia nati in Italia, che fuori) per classe. Un limite imposto già in un regolamento della scuola dell’infanzia ’96, che oggi l’assessore vuole applicare, per regolarizzare le nuove iscrizioni, previste entro il 12 febbraio. Restrizione, spesso difficilmente applicabile, e che può essere trascurata, “se ci sono progetti che facilitino l’integrazione”, spiegano dalle scuole materne Deledda e Toti (dove in una classe si superano già i 5 studenti), grazie alla presenza dei mediatori culturali, messi a disposizione dal dipartimento IX.
Il limite è invece già stato rispettato, senza difficoltà, in alcune zone della Capitale. Alla scuola Giovanni XXIII, la percentuale di bimbi stranieri è bassissima: circa cinque su un totale di 180. Stessa situazione a Colli d’Oro, periferia nord di Roma, dove in qualche sezione si contano al massimo quattro bimbi stranieri: “è una zona troppo dislocata per loro”, spiega la responsabile. Alla Giulio Cesare, zona Prenestina, su 41 nuovi iscritti, finora se ne contano otto stranieri, tutti nati in Italia. “Abbiamo sempre rispettato il limite previsto dal Comune - spiegano alla scuola -, per favorire l’integrazione. È fondamentale che i bimbi stranieri siano a contatto con gli italiani”.
Ma ci sono casi in cui il tetto è difficilmente applicabile. Come in una piccola scuola sulla Cassia, che conta 77 iscritti complessivi, di cui il 70% stranieri e con singole classi che superano i 15 alunni immigrati. O come alla scuola materna Deledda, a Tor Pignattara, zona con un alto numero di immigrati.
“Un provvedimento utile ma non applicabile, soprattutto in realtà come il sesto municipio”, spiega Alessandra Ziaco, che insegna alla Grazia Deledda e l’anno scorso seguiva una classe di 22 bambini, di cui 11 stranieri. “E poi i bambini dove vanno? Bisognerebbe creare altre scuole. Il problema dell’integrazione non è tanto nel numero ma nel contesto culturale, che a volte è più chiuso. Come nel caso delle famiglie cinesi, o del Bangladesh, dove le madri non lavorano e non comunicano. Mentre i bimbi albanesi e romeni sono molto più integrati e più vicini agli stili di vita europei”.
Senza dimenticare che la maggior parte dei bimbi stranieri è nata nel nostro Paese: “Parlano l’italiano perfettamente”, spiega Maria Cernuto, maestra alla scuola Leonardo Angelini, “non dovrebbero essere considerati stranieri. E anche per quelli nati fuori Italia, non c’è mai stato alcun problema: nel giro di due mesi comprendono già tante parole. E poi sono sempre riuscita a farmi capire anche dai genitori, attraverso gesti o messaggi scritti. Ciò che conta è l’approccio: anche il bimbo immigrato è uguale agli altri”. (Maria Chiara Cugusi)
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