Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

giovedì 21 gennaio 2010

Effetto Rosarno su romeni, africani e filippini: se scioperano città paralizzate


Anziani, negozi e camion senza stranieri tutto fermo

Andrea rossi, LA STAMPA, T
orino

Se Florin dovesse rifiutarsi di salire sul suo camion, Anil di mungere le mucche, Dorina di assistere i due anziani cui bada ogni giorno dell’anno, Yewande di caricare e scaricare le cassette di verdura, Aleksander di raccogliere la frutta, Slator di mettere i mattoni uno in fila all’altro, Luz di correre su e giù per i corridoi dell’ospedale, Akram di fare il pane e Fadi di lavare i piatti sarebbe un bel guaio. «Altro che guaio - sorride Florin, che di cognome fa Iancu, arriva dalla Romania e lavora in una piccola ditta di autotrasporti - Torino sarebbe paralizzata.

Anziché minacciare di buttarci tutti fuori, capireste che senza di noi non ce la potete più fare». Lo dice con un’aria di sfida. E forse ha ragione. Chissà se succederà davvero, il primo marzo o un altro giorno: tutti a casa, braccia incrociate, nessuno straniero al lavoro. A Torino ci sono 60 mila lavoratori regolari stranieri. E ce ne sono altri - centinaia - che sfuggono alle statistiche, ma ci sono, e ingrossano le file del lavoro irregolare.

Basta quest’esercito per paralizzare una metropoli come Torino? Sì, perché nel tempo si è ammassato in una serie di comparti diventati cruciali. Se Florin Iancu e tutti i suoi colleghi decidessero di starsene a casa forse il latte non arriverebbe sugli scaffali dei supermercati, e nemmeno la frutta e l’acqua minerale. Nel Torinese esistono circa 5200 «padroncini», titolari di piccole o medie imprese di trasporti; 800, il 15 per cento, sono stranieri. Dei 20 mila autisti almeno il 30 per cento non è italiano. «Le consegne sarebbero a rischio», dice Iancu. «Il 20-30 per cento delle merci non arriverebbe a destinazione». Non partirebbero nemmeno. Rimarrebbero stipate nei magazzini del Centro agroalimentare, dove ogni giorno si vanno a rifornire negozianti e venditori nei mercati rionali. Antonio Carta, che è il presidente, sa che il Caat andrebbe al collasso.

«Tutta la movimentazione - carico e scarico delle merci - sarebbe pressoché impossibile». Ha ragione: dei 576 addetti appena 179 sono italiani. Gli altri 397, quel giorno, sarebbero tutti a casa. A monte c’è un problema ancora più serio. Perché un prodotto finisca sugli scaffali di negozi o supermercati ci vuole chi lo scarica e chi lo trasporta, ma soprattutto chi lo produce e lo lavora. Per latte e frutta non si porrebbe nemmeno il problema: resteremmo senza anche se i Tir viaggiassero a pieno regime. Non ci credete? Sappiate che nelle grandi stalle la mungitura è assicurata dagli stranieri. E nella zona di Carmagnola, dove si concentrano alcuni tra i maggiori produttori del Torinese, si è da tempo insediata una robusta comunità d’indiani.

Un caso? Niente affatto: gli indiani, per tradizione, sono abilissimi mungitori, e nell’ultimo decennio a centinaia sono andati a rimpiazzare gli italiani. Non è finita. Riccardo Chiabrando, che è il presidente provinciale della Coldiretti, è titolare di un’azienda ortofrutticola piuttosto grande nel Pinerolese. «Abbiamo 22 lavoratori stagionali. Sono tutti stranieri: albanesi, polacchi, romeni, bengalesi, afghani. Sarebbe un disastro senza di loro». Gli stranieri sono circa il 70 per cento di chi lavora nei campi e raccoglie la frutta. Se il primo marzo - o il giorno del «grande sciopero» - non arrivassero le mele, il signor Giovanni resterebbe senza frutta. Ma se anche ne avesse una scorta in casa resterebbe senza lo stesso, perché mancherebbe la sua Dorina, che ogni giorno gliela sbuccia e gli prepara da mangiare. Se le colf di Torino sparissero tutte insieme migliaia di famiglie troverebbero la casa in disordine, i pavimenti sporchi, le camicie non stirate, si dovrebbe stare a casa dal lavoro per guardare i bambini e assistere gli anziani.

A Torino quasi il 90 per cento delle collaboratrici familiari sono straniere. «Io assisto un anziano notte e giorno», racconta Dorina Corobca, una colf moldava. «I suoi figli lavorano, non se ne possono occupare. Senza di me resterebbe da solo». E, se avesse bisogno di cure urgenti, rischierebbe di trovare gli ospedali intasati. Colpa degli infermieri stranieri: sono circa 1600 su 13 mila, il 12 per cento. Per poter assistere suo padre in assenza della colf moldava il figlio del signor Giovanni dovrebbe essere un impresario edile, perché anche lui avrebbe ben poco da lavorare. Almeno metà dei suoi muratori non si presenterebbe al cantiere. Dei 17 mila iscritti alla cassa edile, infatti, quasi la metà è nato all’estero. Forse allora ha proprio ragione Florin Iancu: «Sperate che non accada mai. Torino sarebbe paralizzata».

Fonte: La Stampa.it



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