Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

giovedì 14 gennaio 2010

Rosarno, Italia. Effetti collaterali della guerra permanente al nemico interno.

Dopo il ferimento di alcuni migranti a Rosarno e la protesta di giovedì 7 gennaio, nella giornata di venerdì si sono moltiplicati gli atti di violenza nei confronti degli immigrati africani che alla fine si sono dovuti asserragliare in alcune strutture fatiscenti, mentre a poche centinaia di metri da loro, con il favore delle tenebre, centinaia di abitanti della zona accumulavano oggetti contundenti e taniche di benzina per farsi giustizia da soli. Solo l’intervento della polizia ha impedito che la situazione degenerasse ulteriormente.
Per tutta la giornata la RAI è stata costretta a svolgere i servizi giornalistici sotto l’evidente intimidazione dei “comitati spontanei” che avevano occupato la piazza antistante il comune. I cronisti hanno fornito con successive approssimazioni imposte evidentemente dalla piazza una descrizione dei fatti che giustificava gli aggressori e scaricava tutte le responsabilità sugli aggrediti. Gli stessi “comitati spontanei di cittadini” hanno impedito che si svolgesse la mediazione avviata in Municipio, ed hanno attaccato persino le forze di polizia quando queste si frapponevano per impedire veri e propri linciaggi.
Due ragazzi africani sono stati presi a sprangate ed adesso in ospedale versano in gravissime condizioni, altri sono stati feriti con i fucili a pallini, non si contano quelli che sono stati investiti da automobilisti, mentre aumentano le menzogne diffuse ad arte sulla dinamica dei fatti, in modo da criminalizzare l’intero movimento di protesta degli africani, ridotti da mesi a lavorare ed a vivere nelle campagne della piana di Gioia Tauro e di Rosarno in condizioni schiavistiche. Anche se lo spiegamento dei pattuglioni di polizia inviati da Roma raffredderà gli animi per qualche giorno, ormai in quella terra sarà “caccia ai neri”, e presto potrebbero esserci altre vittime.
Tra gli stessi promotori della campagna per cacciare via da Rosarno tutti gli immigrati, assai probabilmente quei caporali e quei padroncini che devono ancora pagare quanto gli stessi immigrati hanno guadagnato in queste settimane con il loro lavoro, come in Sicilia, dove alla fine del raccolto si chiama la polizia per espellere i lavoratori “clandestini”, in modo da non pagare loro i magri salari che gli spetterebbero.
Di fronte a queste situazioni di illegalità che denunciamo da tempo, a Rosarno, come a Castelvolturno, e ancora in Sicilia ed in Puglia, nessuno può fingere di ignorare (http://www.terrelibere.org/  e http://www.fortresseurope.blogspot.com/ ) un degrado sociale che trova il suo fondamento nel fallimento delle politiche migratorie, nell’abbandono da parte dello stato, nel controllo del territorio, in Calabria come in altre regioni meridionali, da parte delle organizzazioni criminali e nello sfruttamento selvaggio dei braccianti immigrati, irregolari o regolari che siano poco importa.
Il ministro Maroni ed altri rappresentanti di governo si sono limitati ai consueti ritornelli a sfondo xenofobo, spaziando (si fa per dire) dalla “tolleranza zero”, alla denuncia di un eccessivo lassismo nei confronti dell’irregolarità, fino alla celebrazione dei “successi” conseguiti nella “lotta contro l’immigrazione clandestina”. Maroni, intervistato su Canale 5 è arrivato persino ad attribuire la responsabilità dei fatti di Rosarno alla “tolleranza” nei confronti degli immigrati irregolari, affermando che “in questi anni è stata tollerata, senza fare nulla di efficace, l'immigrazione clandestina che ha alimentato la criminalità e ha generato situazioni di forte degrado come quella di Rosarno”, aggiungendo che “a Rosarno stiamo intervenendo con i mezzi e i tempi necessari” perché in quella zona c'è “una situazione difficile, così come in altre realtà. Per ora abbiamo posto fine agli sbarchi di clandestini a Lampedusa e a poco a poco riporteremo alla normalità le situazioni”.
Più preoccupante l’altro annuncio di Maroni, secondo il quale i trasferimenti degli immigrati da Rosarno avverranno solo dopo la loro identificazione, proposito che lascia presagire una deportazione su vasta scala, con la consegna di numerosi provvedimenti di espulsione, con l’apertura di centinaia di procedimenti penali per soggiorno irregolare, e con l’internamento di quanti non riusciranno a lasciare al più presto Rosarno con i propri mezzi, nei centri di detenzione amministrativa ubicati in Calabria a Lamezia, in provincia di Catanzaro, ed a Crotone. Anche il trasferimento già avviato verso centri di prima accoglienza, come quello di Isola di Capo Rizzato, potrebbero tradursi in una trappola, o in una ulteriore fuga nella clandestinità, per tutti coloro che sono privi di documenti di soggiorno.
Dove era Maroni negli anni passati e chi ha occupato il posto di ministro degli interni dal 2001 ad oggi, con la parentesi di Amato per meno di due anni?
Le affermazioni del ministro dovrebbero portarlo a rassegnare immediatamente le dimissioni, dal momento che le principali responsabilità di gestione del ministero dell’interno sono state proprio sue, a parte il breve periodo del governo Prodi, che non riuscì neppure a modificare la legge Bossi-Fini, perno dello scambio politico affaristico che ha portato (e mantenuto) le destre al governo in Italia. Anche per il cedimento della cd. opposizione che prima ha aperto la strada all’imbarbarimento della disciplina dell’immigrazione e poi, in politica estera, ha assecondato tutte le scelte di Berlusconi e Maroni, ancora nel febbraio 2009, quando il parlamento ha approvato a larga maggioranza i pattugliamenti congiunti e gli accordi con la Libia (auspicati a suo tempo anche da Napoletano e D’Alema). E neppure una parola da vera opposizione oggi, mentre il ministro Maroni porta a suo merito la riduzione dei naufragi nel Canale di Sicilia, frutto della contrazione (oltre il 90 per cento in meno) delle partenze dalla Libia, senza preoccuparsi, e soprattutto senza fare sapere che in quel paese decine di migliaia di immigrati in transito, privi di documenti di viaggio, sono imprigionati nelle carceri e nei centri di detenzione di Gheddafi, e lì sottoposti quotidianamente ad ogni tipo di ricatti e di abusi, proprio per effetto degli accordi tra Italia e Libia.
Neanche un cenno critico sulle migliaia di potenziali richiedenti asilo, come gli irakeni e gli afgani, che il nostro personale di polizia e la guardia di finanza respingono quotidianamente alle frontiere portuali dell’Adriatico ( Venezia, Ancona, Bari) all’arrivo dei traghetti provenienti dalla Grecia. Persone che semplicemente non esistono, come ha risposto il governo italiano alle richieste di informazione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo presso la quale è aperto un procedimento contro l’Italia e la Grecia.
Nessuno che ricordi a Maroni i suoi fallimenti “storici”, non parliamo di integrazione e di coesione sociale, ma anche se si vuole considerare soltanto il risultato dell’attività repressiva del suo ministero nei diversi governi Berlusconi, da un punto di vista meramente contabile. Senza ricordare il dolore e la frustrazione che le scelte legislative e le prassi applicative hanno disseminato tra gli immigrati in Italia, un dolore ed una frustrazione che in futuro potrà moltiplicare per cento “rivolte” come quella vissuta a Rosarno in questi giorni.
Esistono cifre ufficiali desumibili dai documenti raccolti dalla Commissione De Mistura nel 2007 e dai dati forniti dal ministero dell’interno o raccolti nei dossier annuali della Caritas, che dimostrano senza possibilità di smentita come ogni inasprimento delle politiche migratorie sortisca un solo effetto: l’aumento incontrollato della clandestinità, come è ampiamente comprovato dal numero di persone irregolari già presenti in Italia che in passato, ogni anno, tentavano la strada della regolarizzazione successiva avvalendosi del decreto flussi, o si avvalevano delle periodiche regolarizzazioni concesse dal governo, nel 2002 e nel 2009. Provvedimenti confezionati “su misura” non certo per ridurre la clandestinità ma per venire incontro alle esigenze dei datori di lavoro che avevano alle proprie dipendenze immigrati in condizione irregolare.
Nel 2001, ad esempio, nel pieno della applicazione della legge Turco- Napoletano, le espulsioni erano state 58 mila quelle intimate e 34 mila quelle effettivamente eseguite. Nel 2002, con la introduzione della legge Bossi-Fini, erano state disposte 88.501 espulsioni, ma la percentuale tra le persone espulse e quelle effettivamente allontanate era rimasta sempre intorno al 50-60%, come durante i governi di centrosinistra degli anni 1998-2000. Già nel 2002 si notava però un leggero decremento. Se si considera infatti che circa 62.500 persone espulse “mediante intimazione” non avevano lasciato il territorio nazionale e si confronta questo dato con quello degli anni precedenti (le persone in questa situazione erano 40.000 nel '98, 64.000 nel '99, 58.000 nel 2000), il dato delle espulsioni effettivamente eseguite in quell’anno si attestava attorno alle 26.000 persone.
Anche se su questi dati è sempre stata polemica, è utile ricordare che per il ministero dell’interno le persone effettivamente espulse o rimpatriate sarebbero state 37.756 (40.951 per la Commissione De Mistura) nel 2003, 35.437 nel 2004 e 26.985 ( 34.660 per la Commissione De Mistura nel 2005), e soltanto 24.902 nel 2006. Non si può dunque negare che per quattro anni consecutivi, dopo la entrata in vigore della legge Bossi-Fini, è diminuito il numero delle persone rimpatriate, il che attesta i limiti delle strategie di contrasto dell’immigrazione irregolare sulle quali il centrodestra ha costruito i suoi successi elettorali.
Questi dati sono comunque nettamente superiori rispetto a quelli degli anni più recenti. Ed infatti sono state appena 6.553 le espulsioni di immigrati irregolari ''effettivamente eseguite'' nel 2008, e attorno alle 9.000 quelle eseguite nel 2009, con un calo ancora più evidente proprio nella seconda parte dell’anno con l’entrata in vigore del “pacchetto sicurezza”.
Sono cifre ufficiali desumibili dai dati forniti dal ministero dell’interno o raccolti nei dossier annuali della Caritas che dimostrano come ogni inasprimento delle politiche migratorie sortisca un solo effetto: l’aumento incontrollato della clandestinità, e questo dato è ampiamente comprovato dal numero di persone che ogni anno tentavano la strada della regolarizzazione “successiva” avvalendosi del decreto flussi, o si avvalevano delle periodiche regolarizzazioni. Si badi bene regolarizzazioni elargite dal governo per venire incontro ai gruppi sociali di riferimento, nel 2002 i piccoli imprenditori e nel 2009 le famiglie, non per ridurre la clandestinità ma per venire incontro alle esigenze di quei datori di lavoro che avevano alle proprie dipendenze immigrati in condizione irregolare. Negli ultimi due anni del governo di destra dunque, le espulsioni effettivamente eseguite si sono ridotte a poche migliaia, sempre sotto le diecimila persone all’anno, a fronte di un numero di immigrati irregolari che oggi oscilla tra 700.000 ed un milione di persone. Di cosa si vanta oggi il ministro dell’interno? Di chi sono se non sue e del suo governo le responsabilità della crescita esponenziale della condizione di “clandestinità"?
Adesso il quadro complessivo si sta ulteriormente aggravando dopo il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa. Si paga ogni giorno lo scotto di una legislazione sull’immigrazione ingiusta ed inefficace, e di prassi di polizia violente ed ai limiti dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali. Soltanto il 20 per cento degli immigrati rinchiusi (adesso per sei mesi) nei famigerati CIE, teatro di abusi e di violenze quotidiane, viene effettivamente accompagnato in frontiera. In alcuni Cie, come a Gradisca di Isonzo solo il 10 per cento degli immigrati che vi sono stati internati nel 2009 sono stati effettivamente accompagnati nei paesi di provenienza. Ed adesso la situazione rischia di esplodere anche lì, con decine di casi di autolesionismo, con tentativi continui di suicidio, con rivolte e fughe duramente represse dalle forze del (dis)ordine. E la situazione non è diversa in tutti gli altri CIE italiani, mentre vengono spesi centinaia di milioni di euro per finanziare una repressione ottusa e violenta che produce più danno di quanto non riesca a rassicurare l’opinione pubblica.
Malgrado questi fallimenti di sistema che imporrebbero di abbandonare la legge Bossi-Fini per adottare una legislazione più mirata che rispetti i diritti fondamentali delle persone, compresi gli immigrati irregolari, si insiste ancora nel dilapidare ingenti quantità di denaro pubblico per la costruzione di nuovi centri di detenzione per “clandestini”, definiti tali anche quando risiedono da decenni in Italia. In Sicilia è in fase avanzata la costruzione un nuovo centro di identificazione ed espulsione a Milo vicino Trapani. Secondo il governo servono sempre nuovi posti per rinchiudere gli immigrati irregolari anche per effetto del collasso e del sovraffollamento del sistema carcerario. Il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa farà implodere l’intera macchina della detenzione amministrativa. Il CIE di Caltanissetta è stato chiuso a seguito di una rivolta lo scorso mese, e nessuno ne ha parlato. Forse la notizia, tenacemente censurata per giorni, avrebbe allarmato troppo l’opinione pubblica. Altrove le comunità locali si sono opposte alla proliferazione dei centri di detenzione per immigrati irregolari ed i progetti di nuovi CIE sono rimasti nei cassetti.
Per la realizzazione dei nuovi Cie e per il prolungamento dei tempi di permanenza degli immigrati negli stessi centri e' prevista "una spesa stimata di 233 milioni e 160mila euro dal 2008 al 2010" pari a ''4.640 nuovi posti disponibili". Chissà dove li costruiranno? Una cifra ingente, se si pensa al numero di immigrati che l’Italia riesce effettivamente ad allontanare dal proprio territorio. Stiamo parlando di alcune centinaia di migranti, sembrerebbe 30 a settimana (!) come dichiarato dallo stesso Maroni alla fine del 2009, che il nostro governo riesce a rimpatriare solo grazie agli accordi di riammissione stipulati con i paesi di origine. Tutto questo viene spacciato all’opinione pubblica come un successo del governo, e quella stessa opinione pubblica adesso dovrebbe essere rassicurata dall’invio in Calabria di una “task force” del ministero dell’interno, con l’appoggio di altri esponenti ministeriali del ministero del welfare e del ministero del lavoro. Eppure qualche ispettore del lavoro in più in Calabria ci vorrebbe proprio… e magari anche qualche miglioramento nella organizzazione degli ospedali dove i calabresi continuano a morire per un nonnulla con allarmante regolarità.
Tutte le misure del pacchetto sicurezza, dai tempi brevi per la perdita del permesso di soggiorno, alla introduzione del reato di immigrazione clandestina, fino al prolungamento a sei mesi della detenzione nei CIE, vanno nella direzione della crescita esponenziale degli immigrati cd.”clandestini” in Italia. Se - come Panebianco pensa - questo significa salvaguardare la sovranità dello stato, contento lui ed i lettori del Corriere della sera. A noi, come a molti costituzionalisti, sembra che abbattere le garanzie dello stato di diritto per gli immigrati, creando un diritto penale speciale, e abolendo, per loro soltanto, le garanzie dello stato democratico e la protezione sociale, costituisca un imbarbarimento complessivo della nostra convivenza, un ritorno al passato, se non al fascismo come si è palesato nel secolo scorso, ad un nuovo populismo reazionario che, attraverso il controllo dell’informazione e dell’economia, metterà tutti “in riga”, e che, per gli immigrati, regolari e non, si tradurrà in un vero e proprio razzismo “democratico”. Saremo tutti coinvolti, nessuno escluso, lo siamo già oggi.
Che c’entra tutto questo con i fatti di Rosarno? Gli attacchi continui ai migranti e la loro ribellione sono solo effetti collaterali di quella che si annuncia come una “guerra permanente” ai migranti, considerati come i nemici interni. Come al solito, una guerra per distrarre l’attenzione dalle responsabilità di chi ha gestito le politiche migratorie in questi anni. Un fallimento totale che le destre italiane non potranno nascondere a lungo al loro elettorato, e che intanto cercano di scansare producendo ad ondate periodiche, oltre alle campagne sulla paura, leggi contrarie alla Costituzione ed alle Convenzioni internazionali, che poi si traducono in prassi applicative altamente discrezionali, spesso al limite dell’arbitrio. La clandestinità prodotta dalla legislazione dell’emergenza porta, non solo al proliferare dell’irregolarità per la mancanza di canali di ingresso legale per lavoro, ma rigetta nella stessa condizione di irregolarità migliaia di immigrati che sono espulsi dal circuito produttivo legale per effetto della crisi economica. Esattamente come le centinaia di immigrati che in queste settimane si erano spostati dalle città del settentrione d’Italia, dove erano stati licenziati, verso le campagne calabresi, ma anche pugliesi, siciliane e campane, per trovare un qualsiasi lavoro, naturalmente in nero, più frequentemente in agricoltura, dove manca la concorrenza della manodopera italiana e dove i controlli sono più attenuati. Tutto questo esaspera il conflitto sociale e le rivolte come quella di Rosarno non potranno che ripetersi ancora in altre parti del territorio. Anche per effetto di un sistema dell’informazione che amplifica i comportamenti razzisti e xenofobi come si è visto ancora in questi giorni.
L’idea di fondo dei nostri governanti, analoga a quella di molti loro colleghi europei, seppure praticata in Italia con strumenti più rozzi, è quella di non consentire alcuna regolarizzazione, successiva (con il possesso di determinati requisiti) o permanente, e nessun canale di ingresso legale per lavoro, con la sola eccezione di quelle persone che sono altamente qualificate, oppure che rispondono a specifiche esigenze del mercato del lavoro interno, o comunitario, in prospettiva, ad esempio, infermieri e badanti. In questo modo dando priorità alle “esigenze e alle capacità di accoglienza stabilite da ciascun Stato membro”, come si legge nel Programma di Stoccolma, l’Unione Europea, e l’Italia in particolare, di fatto rinunciano a svolgere un ruolo propositivo o di regolamentazione (governance) delle migrazioni e si limitano ad apprestare strumenti repressivi, come i voli charter congiunti e le operazioni Frontex, con i quali (fare finta di) espellere o respingere le componenti più deboli degli immigrati condannate ad una condizione di clandestinità che nel tempo si connoterà sempre più come condizione servile o di vera e propria schiavitù.
In realtà le espulsioni (finte perché ineseguite ed ineseguibili) si traducono nella creazione di forza lavoro che sarà disposta a vendersi per mera sopravvivenza. In nome della “sicurezza” e della “capacità di accoglienza”, si andrà anche in Italia verso la costituzione di un “regime” sociale di “apartheid” che si inasprirà sempre più rapidamente. Una spirale continua perché gli allarmi sulla sicurezza produrranno leggi e prassi più restrittive, e dunque sempre maggiore “clandestinità”, effetto delle politiche di sbarramento delle frontiere e di criminalizzazione degli immigrati nel territorio nazionale, e questa maggiore diffusione della “clandestinità” determinerà a sua volta un allarme sociale sempre crescente che offrirà altri margini alla speculazione politica ed agli imprenditori della sicurezza. Si avvicina davvero il tempo di denominare il ministero dell’interno come il “ministero della paura”. E’ proprio finita la stagione delle comiche, quando i comici sono al potere, diceva qualcuno tanto tempo fa, quando i governi nazi-fascisti schiacciavano l’Europa.
Un gioco al rilancio continuo sulla pelle dei migranti e delle fasce sociali più deboli, che ha permesso alle classi dirigenti della destra di vincere quasi ovunque, anche per la debolezza su questi temi di quella che si fatica a definire come “opposizione” o “sinistra”.
Il sistema delle espulsioni (e dei respingimenti) potrà essere modificato solo quando i cittadini comprenderanno che responsabili del loro impoverimento non sono i migranti ma coloro ai quali hanno dato il consenso elettorale. Nessuna “politica concertata” sulla base di larghe intese, ma neppure quella affidata esclusivamente a strumenti repressivi, potrà “gestire” le contraddizioni che scaturiscono da un sistema economico e politico che nega il lavoro regolare, alimenta la clandestinità, non rispetta lo stato di diritto e riduce le persone a merce. Se non si saprà invertire la rotta, ma le ultime elezioni europee lasciano ben poco spazio a questa speranza, sono facilmente prevedibili fasi di conflitto sempre più violente, come si sta verificando in questi giorni a Rosarno.
Occorrerebbe invece intervenire con urgenza , soprattutto nell'agricoltura e nell'edilizia, per consentire l'emersione di queste situazioni di irregolarità che, in alcune aree del territorio, hanno creato situazioni drammatiche come a Castel Volturno, a Rosarno, in Calabria, a San Nicola Varco di Eboli, tra Pachino, Alcamo e Camporeale in Sicilia, ovunque nelle campagne quando è tempo di raccolta. Qualunque sia il tasso di disoccupazione in Italia, è evidente che non si trova forza lavoro nazionale disponibile per mansioni come, per esempio, quella della raccolta di pomodori o degli agrumi. Siamo davvero curiosi di sapere che fine faranno le economie nei distretti agricoli, come a Rosarno, quando tutti gli immigrati se ne saranno andati, oppure, semplicemente, non arriveranno più.
Se gli africani non “salveranno” Rosarno, l’economia di quel paese non sopravviverà neppure un mese e sarà sempre più in mano ai clan della ‘ndrangheta ed alle logiche dello sfruttamento servile e dell’abbandono. Speriamo che i cronisti che oggi danno voce soltanto alla piazza di Rosarno ritornino lì tra un mese per documentare le conseguenze della guerra ai migranti che si è voluta innescare, giorno per giorno, con un crescendo che dura almeno da due anni. Un grave ferimento si era già verificato proprio a Rosarno alla fine del 2007, ma nessuno ha saputo cogliere quel campanello di allarme ed i fondi stanziati per risolvere l’emergenza sanitaria ed abitativa in quel paese non sono stati mai utilizzati.
Passata l’ennesima emergenza sicurezza, i cittadini di Rosarno potrebbero rimpiangere gli immigrati che oggi stanno scacciando con la violenza perché la loro economia ne uscirà distrutta, almeno fino a quando non riusciranno a sostituire quella forza lavoro, sempre con altre vittime di sfruttamento, magari immigrati romeni o di altri paesi comunitari, esattamente come è già successo in molte campagne siciliane. Ed anche in quel caso dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo non potrà che riprodursi il conflitto. E se qualche disoccupato calabrese volesse cimentarsi con quei pesanti lavori agricoli, non troverebbe certo nella piana di Rosarno condizioni economiche che gli permettano una vita dignitosa. Lo sfruttamento è una malapianta che una volta attecchita non sarà facile sradicare.
Vanno abrogate al più presto quelle disposizioni del pacchetto sicurezza, peggiorative persino della legge Bossi-Fini che stanno producendo la clandestinizzazione e la criminalizzazione di centinaia di migliaia di migranti, a partire dalla misura che estende a sei mesi la detenzione amministrativa e dalla norma che introduce il reato di immigrazione clandestina. Occorre aprire al più presto canali di ingresso per lavoro e per i richiedenti asilo, con misure urgenti da inserire nei rapporti con i paesi di transito in odo da porre fine agli abusi inflitti ai migranti (soprattutto in Libia).
Occorre introdurre al più presto meccanismi di regolarizzazione permanente a regime, in modo da fare emergere tutto il lavoro sommerso degli immigrati, a partire da quelli impiegati in edilizia ed in agricoltura. Occorre abbreviare drasticamente i tempi burocratici per il rinnovo dei documenti di soggiorno. Vanno potenziati i controlli e si deve rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per ricerca lavoro a quegli immigrati che denunciano il datore di lavoro “in nero”. Nell’immediato occorre garantire assistenza legale e supporto socio-assistenziale a tutti gli immigrati che si trovano a Rosarno, anche se privi di documenti di soggiorno.
Tutti i richiedenti asilo dovranno avere accesso alla procedura per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale, o di protezione temporanea, e quanti hanno ricevuto un primo diniego devono essere posti nelle condizioni di restare in Italia fino all’esito definitivo del ricorso. Il sistema di accoglienza per loro previsto (lo SPRAR ed i centri di prima accoglienza) va potenziato e rifinanziato per non costringere chi è fuggito da guerre e persecuzioni alla “sopravvivenza animale” nella quale si sono trovati gli immigrati nelle campagne di Rosarno.
Le vittime delle violenze di questi giorni andranno risarcite e lo stato di diritto andrà ripristinato anche nei territori della piana di Gioia Tauro. Più giustizia sociale (prima) e meno polizia in assetto antisommossa (dopo).
Sfruttamento dei lavoratori e clandestinità dei migranti saranno sempre più connessi e stanno già coinvolgendo, insieme agli immigrati, migliaia di lavoratori italiani che hanno perso il posto di lavoro, non sono coperti dagli “ammortizzatori sociali” ed al pari degli immigrati devono soggiacere al ricatto dei caporali e degli imprenditori che lavorano nel cd. sommerso. Una economia quella del lavoro nero che produce una parte consistente di PIL, e di ricchezza privata, che sfugge ad ogni contributo previdenziale ed a ogni controllo fiscale.
Per invertire questa spirale perversa, per restituire legalità al mercato del lavoro, e soprattutto per garantire un minimo di diritti e di dignità ai lavoratori, italiani o immigrati che siano, occorre potenziare i controlli sul lavoro avvalendosi ( oltre che degli ispettori del lavoro e della guardia di finanza) di possibilità concrete di regolarizzazione successiva offerte agli immigrati che denuncino i datori di lavoro in nero, soprattutto nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia. Se si eluderà ancora questa scelta, qualunque altra decisione, dall’invio dei corpi speciali di polizia antisommossa, fino alle deportazioni ed alla criminalizzazione di massa (per effetto del nuovo reato di immigrazione clandestina) costituiranno ulteriori regali alla criminalità che prolifera sullo sfruttamento del lavoro degli immigrati irregolari.
Ancora una volta assisteremo nei prossimi giorni ad uno show ministeriale sulla tolleranza zero, come si annuncia l’audizione di Maroni martedì prossimo in Parlamento, una parata simbolica contro il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro servile, che potrebbe presto risolversi, con le scelte annunciate dal ministro, in un ulteriore inasprimento normativo, e quindi nell’ennesimo abbassamento dei livelli di sopravvivenza delle vittime, di coloro che non hanno avuto altra scelta di entrare nel nostro paese irregolarmente, con la speranza di potere un giorno regolarizzare la loro posizione (esattamente come hanno fatto i tre quarti degli immigrati oggi presenti in Italia).

Scritto da Fulvio Vassallo Paleologo

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Sabato 09 gennaio 201

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