di Gabriella Friso
Dal 9 dicembre i migranti che vorranno ottenere, dopo cinque anni di residenza legale in Italia, il Permesso CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) dovranno dimostrare la conoscenza dell’italiano almeno di livello A2 esibendo dei titoli di studio adeguati oppure sottoponendosi ad un test che valuti la loro competenza linguistica. La procedura viene ben illustrata in un articolo del Sole 24 ore.
Sull’onda di questa nuova norma, in Alto Adige, il Presidente della Provincia di Bolzano vorrebbe invece per gli immigranti un test di tedesco - richiesta stoppata immediatamente dal Governo. Ancora, il Presidente Zaia della Regione Veneto aggiunge anche la conoscenza del dialetto veneto.
Certamente la conoscenza della lingua italiana è fondamentale per favorire il processo di integrazione, ma è legittimo che lo Stato italiano chieda ai cittadini immigrati questa competenza senza fornire loro nessuna opportunità per apprenderla? In questo caso la lingua può essere trasformata in uno strumento di potere?
Su questo interviene sul sito Progetto Melting Pot Europa la Prof.ssa Monica Barni, direttrice del Centro CILS, Università per Stranieri di Siena:
Lingua dunque che diventa ostacolo, barriera all’inserimento sociale, di più ancora, un motivo di espulsione dal nostro territorio, quando verrà reso operativo l’Accordo di Integrazione previsto dal Pacchetto Sicurezza, che introduce un sistema di prove e crediti ai fini dell’ottenimento del permesso di soggiorno.
Tornando al test di italiano, critiche arrivano anche dalle associazioni del volontariato che, fino ad oggi, sono state le più attive a promuovere corsi di italiano e, nonostante questo, non trovano nella normativa il riconoscimento delle certificazioni da loro rilasciate.
In una recente ricerca il Censis ha indicato che l’85% delle persone migranti parlano almeno un italiano sufficiente. Probabilmente nel restante 15% ci sono le persone già analfabete nella lingua di origine che ancora arrivano in Italia soprattutto per ricongiungimento familiare, specie donne che negli Stati a forte emigrazione rappresentano ancora le percentuali più alte della mancata scolarizzazione. E queste persone riusciranno a superare un test che prevede anche una prova scritta?
Ma i test di italiano, come pensati dal nostro Governo, presentano altre criticità che legano la lingua all’acquisizione di diritti, alla stabilizzazione del soggiorno che il permesso annuale o al massimo biennale non garantisce. Tutto questo a partire dai 14 anni, mettendo a rischio anche il diritto all’unità familiare, così come ci spiega Neva Cocchi di Progetto Melting Pot Europa, o anche semplicemente allungando i tempi del rilascio del permesso.
Nel primo giorno sono state 243 le richieste inoltrate al Ministero.
Nel frattempo il forum Pd lancia la campagna «Imparo l'italiano e sono cittadino» e presenta una proposta di legge che chiede vengano finanziati dei corsi di italiano.
Proprio in ottobre sono stati tagliati il 60 per cento dei corsi serali statali; un taglio su cui è bene riflettere, a fronte dell’ultimo rapporto della Caritas in cui si afferma che gli immigrati contribuiscono all’11% del Pil italiano.
Per concludere segnaliamo una “Lettera aperta a insegnanti e scuole di italiano per migranti”dal titolo “Contro un’esistenza a punti” della Rete Scuole di Italiano per Migranti di Bologna: ben riassume il percorso tortuoso dei cittadini di origine non italiana per mantenere il permesso di soggiorno che con i test d’italiano ha preso il via.