Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

lunedì 23 febbraio 2009

Tetto al numero di alunni stranieri nelle scuole e classi ponte

Tetto al numero di alunni stranieri? Classi ponte? Metropoli lo ha chiesto ai presidi di alcune delle scuole più multietniche d'Italia.
Ernesto Passante è direttore didattico del 18esimo comprensivo Veronetta-Porto. "Sulle quote -- dice -- non ho pregiudiziali, ma dietro alla parola "stranieri" non ci sono bisogni uniformi. A un ragazzino cinese serve più tempo, rispetto a un moldavo, per colmare il gap linguistico". Quanto ai patti tra scuole, "non hanno senso se non coinvolgono i Comuni. Poi non conosco una scuola che accoglierebbe stranieri "in più". Sarebbe già molto che ognuna accogliesse i "suoi", anziché accampare scuse per respingere chi arriva in corso d'anno". Classi ponte? "Un'ipotesi che quasi non merita risposta: mira a far credere che gli studenti stranieri siano stupidi. E' un'iniziativa strumentale: li si vuole fuori e basta". "Il "tetto" potrebbe essere un'idea di buon senso, ma da solo è illogico e trasmette un messaggio diesclusione", afferma Michele Falco, dirigente del comprensivo di Calcinato, nel bresciano. "Gli stranieri vivono nelle zone industriali o nei centri storici. Come si fa a dirgli che i loro figli non possono andare alla scuola più vicina? Almeno bisognerebbe garantire un servizio di trasporti gratuito". Anche sulle classi ponte Falco ha le idee chiare: "Rischiano di creare separazione. Meglio i laboratori di lingua". "I bambini che superano il tetto che fine fanno? Li caricano su un pullman e li spediscono in altre scuole?", si chiede Maria Amigoni, dirigente del comprensivo n. 11 nel quartiere San Donato. "La vicinanza della scuola, oltre ad essere comoda, è importante per le amicizie, e poi il trasporto costa". Amigoni è contraria anche alle classi ponte: "Non hanno senso, l'italiano si impara stando con i coetanei o potenziando i corsi pomeridiani". E per arginare la fuga degli italiani, assemblee con i genitori per dimostrare che la scuolamultietnica funziona. "Pensare a una classe ponte per me è assurdo, sono per i curricula interculturali -- afferma Gelsomina Viscione, preside della elementare Salvatori di Fermo (77 studenti stranieri, 47 italiani -- . Con una concentrazione così alta la didattica diventa un pilastro. Studiamo percorsi tarati sulle diverse competenze dei bimbi. Dividiamo la classe in gruppi, scegliamo un alunno che funga da tutor, con la supervisione dei docenti". La Salvatori non ha subito una fuga di italiani: "Ogni plesso è servito dall'autobus; nessuno ha mai fatto crociate". Nella Sandro Pertini di Martinsicuro, in ogni classe ci sono 6 bimbi stranieri. "Da tre anni -- spiega la preside Leonilde Maloni -- seguiamo un protocollo per una distribuzione equa. Credo che una classe per funzionare debba essere disomogenea per etnia, stato sociale, conoscenze e modo di interiorizzare le regole". I bimbi di recente immigrazione possono seguire laboratori di italiano,"ma pensare a classi isolate mi farebbe orrore". Alla Lessona di Porta palazzo gli stranieri sono il 60-70%. Ma per la preside Giulia Guglielmini, "l'idea di un tetto è poco efficace. E anche la soluzione dei "patti fra scuole" si scontra con un principio democratico: i genitori hanno libertà di scelta, per rifiutare un'iscrizione valgono solo criteri oggettivi. E credo che nemmeno le classi ponte siano una risposta: meglio che l'alunno stia in classe il più possibile". Abbandono degli italiani? "Non da noi". "Da quattro anni, grazie all'intraprendenza dei Comuni, abbiamo intese territoriali per un'equa distribuzione degli studenti -- dice Alessandra Barbaresi, preside del 2ï¾° circolo di Arzignano -- . In Comune abbiamo il 18% di stranieri: grazie a un sistema di pulmini e a un lavoro con i genitori nessuna scuola ha mai superato la media. I figli di immigrati devono stare con gli altri, ma per farlo servono docenti e risorse". Per AlessandraSalvati, che coordina l'accoglienza degli stranieri nel comprensivo Marco Polo, "è complesso accogliere chi arriva dal Paese d'origine, ma è molto diverso seguire un ragazzo cresciuto qui. Se un "tetto" per i non italofoni può essere utile, non ha senso distinguere sulla base della cittadinanza". La Marco Polo lavora in rete con le scuole vicine per la distribuzione degli alunni stranieri, ma "per il resto l'inserimento in classe è la strada più efficace se affiancata da laboratori linguistici". Per Bonifacio De Vido, preside del comprensivo di Susegana, "quando si supera il 30% si ha un calo dell'apprendimento e una seria difficoltà con le famiglie. Quanto alle classi ponte, è necessario dare spazio allo studio dell'italiano, ma senza isolare i bambini". "I nostri "stranieri" -- ribatte Orazio Colosio, preside ad Asolo -- sono soprattutto di seconda generazione. Per questo vorrei capire bene di separarli vorrei capire di chi si parla, ancheperché isolandoli si rischia che non imparino nulla. Il punto vero è avere più risorse". Al "Narcisi" di Milano gli stranieri sono il 70%, ma perlopiù nati e cresciuti in Italia. "Chi arriva da fuori -- spiega la preside Chiara Conti -- per la prima settimana studia italiano. Noi osserviamo, poi decidiamo dove inserirlo. Dopodiché continua il labratorio di lingua per due ore, per il resto va a lezione coi compagni". Quanto all'ipotesi di un tetto, Conti si limita a osservare che "soprattutto chi va alle elementari dovrebbe avere la scuola vicino a casa".
(22 febbraio 2009)
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