Nelle dichiarazioni dei politici e nei titoli dei media compare sempre più spesso questa espressione, riferita in senso lato e molto generico ai bambini e ai ragazzi figli di lavoratori immigrati, iscritti nelle scuole della Repubblica Italiana.
Sorvolando sulla parola "alunno", vediamo che "straniero", secondo il dizionario italiano, non è un termine neutro. Ecco la definizione che ne dà uno dei più noti [G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier]:
1. Appartenente a un altro paese; estensivamente: alludendo a popolazioni nemiche, il termine acquista un’intonazione ostile (l’invasione s.; essere sotto il dominio degli s.) che si accentua nel singolare collettivo (cacciare lo s.; il Piave mormorò: "Non passa lo s.")
2. Letterario: estraneo
3. Arcaico: strano.
Inoltre, alcuni dei termini utilizzati negli ultimi anni, sono comprensibili solo se letti in opposizione ad altri:
- straniero > italiano, autoctono, nativo
- extracomunitario (usato solo in Italia) > comunitario
- migrante > residente
- figlio di lavoratore immigrato > italiano
- non italofono, con una lingua madre diversa dall’italiano, parlante non nativo > italofono, italiano madrelingua, parlante nativo
- con cittadinanza non italiana (la più usata al momento nelle circolari del MIUR) > con cittadinanza italiana
[...]
Se si fa riferimento al criterio linguistico e non a quello giuridico, agli "alunni stranieri" bisogna aggiungere anche i bambini appena arrivati in Italia per effetto di adozioni internazionali, anche se a nessuno è mai venuto in mente di limitare il numero di alunni adottati per classe.
Riepilogando, se si utilizza il criterio relativo al livello di conoscenza o di esposizione alla lingua italiana, al momento sono pochissimi gli "alunni stranieri", meglio detti "alunni-non o parzialmente italofoni". Come mai una percentuale così bassa, l’8%, preoccupa così tanto i sostenitori delle quote stranieri nelle classi della Repubblica Italiana?
Quando politici, amministratori e genitori nativi, mal consigliati e male informati, cercano di fissare ipotetiche quote, vuol dire che continuano a considerare stranieri tutti allo stesso modo, anche i ragazzi che si sono laureati nelle università italiane? E quelli che parlano con l’accento veneto o milanese? Anche quelli che hanno frequentato il nido, la scuola materna, le elementari ecc. insieme agli autoctoni italiani? Sono sempre stranieri i nati sul suolo italico che diventeranno cittadini italiani al compimento del diciottesimo anno d’età?
Quali problemi causano al corretto svolgimento dei programmi standard delle classi questi alunni italofoni, nati in Italia, destinati a superare il milione nel volgere di un triennio?
Certo invece è che basta un solo alunno neo-iscritto, non italofono, a sconvolgere la routine di una classe, soprattutto quando l’insegnante che accoglie non ha alcuno strumento per affrontare l’insegnamento di una seconda lingua ad alunni con una lingua madre diversa dall’italiano.
Le lagnanze di questi poveri docenti ignoranti (nel senso che ignorano l’educazione linguistica in una lingua 2) arrivano fino alle orecchie dei genitori italiani, dei dirigenti scolastici e poi degli amministratori locali, e poi dei politici e poi dei ministri ecc., necessariamente non in quest’ordine.
È ai bambini e ragazzi "stranieri" o meglio "non o parzialmente italofoni" che bisogna rivolgere attenzioni e facilitazioni linguistiche nella lingua per comunicare e in quella per lo studio, in modo che possano partecipare alle attività della classe di appartenenza e apprendere insieme ai coetanei italiani.
E allora perché non vengono formati i docenti nella glottodidattica dell’italiano come seconda lingua e perché non viene aumentato il numero di insegnanti facilitatori per scuola?
Perché non si assegnano più risorse alle scuole e perché le risorse disponibili vengono ancora attribuite sulla base di una progettualità a brevissimo termine, il famoso progettificio, quando invece l’immigrazione in Italia ha da tempo assunto caratteri di strutturalità?
È difficile pensare che il ministro Gelmini, l’assessore Moioli e prima di loro il sindaco Pd di Vicenza Achille Variati siano così incompetenti e rozzi da mettere nello stesso calderone tutti i bambini e i ragazzi che hanno come unica caratteristica comune quella di essere figli di genitori nati in un altro paese.
[...]
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Sorvolando sulla parola "alunno", vediamo che "straniero", secondo il dizionario italiano, non è un termine neutro. Ecco la definizione che ne dà uno dei più noti [G. Devoto, G. C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier]:
1. Appartenente a un altro paese; estensivamente: alludendo a popolazioni nemiche, il termine acquista un’intonazione ostile (l’invasione s.; essere sotto il dominio degli s.) che si accentua nel singolare collettivo (cacciare lo s.; il Piave mormorò: "Non passa lo s.")
2. Letterario: estraneo
3. Arcaico: strano.
Inoltre, alcuni dei termini utilizzati negli ultimi anni, sono comprensibili solo se letti in opposizione ad altri:
- straniero > italiano, autoctono, nativo
- extracomunitario (usato solo in Italia) > comunitario
- migrante > residente
- figlio di lavoratore immigrato > italiano
- non italofono, con una lingua madre diversa dall’italiano, parlante non nativo > italofono, italiano madrelingua, parlante nativo
- con cittadinanza non italiana (la più usata al momento nelle circolari del MIUR) > con cittadinanza italiana
[...]
Se si fa riferimento al criterio linguistico e non a quello giuridico, agli "alunni stranieri" bisogna aggiungere anche i bambini appena arrivati in Italia per effetto di adozioni internazionali, anche se a nessuno è mai venuto in mente di limitare il numero di alunni adottati per classe.
Riepilogando, se si utilizza il criterio relativo al livello di conoscenza o di esposizione alla lingua italiana, al momento sono pochissimi gli "alunni stranieri", meglio detti "alunni-non o parzialmente italofoni". Come mai una percentuale così bassa, l’8%, preoccupa così tanto i sostenitori delle quote stranieri nelle classi della Repubblica Italiana?
Quando politici, amministratori e genitori nativi, mal consigliati e male informati, cercano di fissare ipotetiche quote, vuol dire che continuano a considerare stranieri tutti allo stesso modo, anche i ragazzi che si sono laureati nelle università italiane? E quelli che parlano con l’accento veneto o milanese? Anche quelli che hanno frequentato il nido, la scuola materna, le elementari ecc. insieme agli autoctoni italiani? Sono sempre stranieri i nati sul suolo italico che diventeranno cittadini italiani al compimento del diciottesimo anno d’età?
Quali problemi causano al corretto svolgimento dei programmi standard delle classi questi alunni italofoni, nati in Italia, destinati a superare il milione nel volgere di un triennio?
Certo invece è che basta un solo alunno neo-iscritto, non italofono, a sconvolgere la routine di una classe, soprattutto quando l’insegnante che accoglie non ha alcuno strumento per affrontare l’insegnamento di una seconda lingua ad alunni con una lingua madre diversa dall’italiano.
Le lagnanze di questi poveri docenti ignoranti (nel senso che ignorano l’educazione linguistica in una lingua 2) arrivano fino alle orecchie dei genitori italiani, dei dirigenti scolastici e poi degli amministratori locali, e poi dei politici e poi dei ministri ecc., necessariamente non in quest’ordine.
È ai bambini e ragazzi "stranieri" o meglio "non o parzialmente italofoni" che bisogna rivolgere attenzioni e facilitazioni linguistiche nella lingua per comunicare e in quella per lo studio, in modo che possano partecipare alle attività della classe di appartenenza e apprendere insieme ai coetanei italiani.
E allora perché non vengono formati i docenti nella glottodidattica dell’italiano come seconda lingua e perché non viene aumentato il numero di insegnanti facilitatori per scuola?
Perché non si assegnano più risorse alle scuole e perché le risorse disponibili vengono ancora attribuite sulla base di una progettualità a brevissimo termine, il famoso progettificio, quando invece l’immigrazione in Italia ha da tempo assunto caratteri di strutturalità?
È difficile pensare che il ministro Gelmini, l’assessore Moioli e prima di loro il sindaco Pd di Vicenza Achille Variati siano così incompetenti e rozzi da mettere nello stesso calderone tutti i bambini e i ragazzi che hanno come unica caratteristica comune quella di essere figli di genitori nati in un altro paese.
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