Circa
 un milione e mezzo di persone immigrate regolari è diventato irregolare
 negli ultimi due anni a causa del mancato rinnovo del permesso di 
soggiorno. Si pensi che nel 2010 i documenti non rinnovati sono stati 
684.413 (Dossier Caritas 2011).
Le persone che perdono il permesso di 
soggiorno non ritornano nei loro paesi d’origine ma restano in Italia a 
lavorare, a questo punto, in nero. La maggiore responsabilità di tutto 
ciò è attribuibile alle norme sul rinnovo del permesso di soggiorno e 
all’interpretazione restrittiva con cui vengono applicate. E così 
perdere il contratto di lavoro equivale a perdere il permesso di 
soggiorno.
La convenzione OIL n. 143/75, ratificata dall’Italia, 
tuttavia, dispone diversamente: «Il lavoratore migrante non potrà essere
 considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della
 perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro 
del permesso di soggiorno». Ma ciò non avviene.
Malgrado la crisi, 
alcuni settori come, ad esempio, l’edilizia, l’agricoltura e alcuni 
servizi necessitano di mano d’opera immigrata. Perché allora privare 
l’economia italiana, che ha bisogno di crescere, della possibilità di 
impiegare legalmente lavoratori già formati? A chi giova condannare 
oltre un milione di persone alla clandestinità e al lavoro nero? Per 
quale ragione viene favorita l’evasione fiscale e la concorrenza sleale,
 a svantaggio dei datori di lavoro rispettosi della legalità? Per quale 
motivo togliere a un numero enorme di persone la possibilità di avere un
 rapporto con le istituzioni e, in particolare, con le forze 
dell’ordine? Come non capire che, così facendo, le si costringe alla 
marginalità e le si butta tra le braccia della criminalità?
Fonte: l'Unità, 05-11-2011
