Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

mercoledì 2 novembre 2011

dei 140 mila ROM presenti in Italia ben il 60% è cittadino italiano: Rom e razzismo. Un Vademecum si appella ai giornalisti

Un Vademecum per spiegare quali termini vanno usati o evitati nel parlare dei rom. Perché molti giornalisti dimenticano che, nel parlare di rom, ci si riferisce prima di tutto ad una minoranza etnica. Italiana. Che va protetta
 
di Luigi Riccio

RAZZISMO. Chi sono i rom? Sono immigrati o italiani? Nomadi per definizione o vittime di stereotipi? A queste e ad altre domande dà risposta il Vademecum per i giornalisti, volume curato da dall’Associazione Stampa Romana, l’Associazione giornalisti Scuola di Perugia, la Comunità di Sant’Egidio e l’Assessorato Lavoro e Formazione della Regione Lazio.
La destinazione del volume non è causale e nasce per combattere la cattiva informazione che investe la stampa sia locale che nazionale.

Ancora molti giornalisti parlano di rom sommariamente come “di immigrati”, ignorando (o fingendo di ignorare) che dei 140 mila rom presenti in Italia ben il 60% è cittadino italiano, alcuni discendenti da migrazioni che risalgono al lontano 1400. Quindi non sono “stranieri”, e tantomeno “nomadi”. Il 90% dei rom in Italia è composto da “stanziali”, e costretti a partire e a spostarsi molto spesso più per sgomberi massivi, per l’avversione della popolazione locale che per delle scelte di vita.

Il popolo romanì ha da tempo chiesto di evitare il termine “zingari” perché col tempo ha assunto un’accezione dispregiativa. Nonostante questo, però, non solo la parola è largamente usata, ma anche declinata nelle più varie forme. A Milano, durante le ultime amministrative che hanno poi visto la vittoria di Giuliano Pisapia, la Lega Nord ha invaso la città di manifesti inneggianti alla “zingaropoli”. Come ha reagito certa stampa? Ha risposto che, sì, i modi erano un po’ grezzi, ma il rischio “zingaropoli” c’era. Quindi un articolo su Il Giornale, a firma di Giannino della Frattina, si intitolava L’ultima mossa: fare finta di non volere Zingaropoli; o un altro, della stessa testata, in risposta a Thomas Hammerberg (commissario europeo per i diritti umani) a firma di Carlo Maria Lomartire, dal titolo “Sono scioccato dai manifesti su Zingaropoli”. Ma è la verità: venga pure a Milano a verificare.

IL VOLUME. “Ho visto anche degli zingari felici. Di chi parliamo quando parliamo di rom” è il nome del Vademecum, a cura di Titty Santoriello, arricchito da disegni di bambini rom delle scuole della Pace della Comunità di Sant’Egidio. Vari contributi accompagnano il giornalista, ma anche il semplice lettore, nel variegato mondo romanes. Cinque le grandi comunità: Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals. Un’unica lingua, diciotto dialetti interni. Una bandiera: verde e azzurra con una ruota a 16 raggi. E un inno, il gelem gelem.

Del razzismo nei confronti dei rom ne parla Luca Bravi, docente all’Università di Firenze. Lo stereotipo del nomadismo nasce con il “Porrajmos” o “Barò Porrajmos” (grande divoramento) ad opera nazista, l’olocausto dei rom che fece 500 mila vittime nei campi di sterminio. “Durante il periodo nazista – spiega Bravi – rom e sinti negli Stati europei praticavano una resistenza di basso profilo che significava trovare le modalità di permanenza per restare dove si erano stanziati. Si spostavano tra i confini. In quegli anni si diffusero teorie della razza secondo le quali il nomadismo era una colpa che stava nel loro sangue. Non era così: si spostavano per ragioni lavorative, molti ad esempio erano giostrai”.

Più in dettaglio, come racconta invece Leonardo Piasere nel libro I rom d’Europa (editore Laterza), gli eccidi dei rom si consumarono nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau, Ravensbruck, Bergen Belsen e altri riservati solo ai rom come quello di Montreuil-Bellay nella Francia di Vichy, di Jasenovac in Croazia, di Lackenbach in Austria, di Lety in Boemia. In Italia molti rom venivano rinchiusi, a seconda della provenienza geografica, a Tossicìa (Teramo), a Prigano (Modena), a Boiano (Campobasso), ad Agnone (Isernia), a Perdasdefogu (Nuoro).

Una vera e propria persecuzione, ancora oggi fortissima, ampiamente dimostrata dai fatti di cronaca. E che questo Vademecum cerca di combattere, attraverso la stampa, che a volte più che un argine offre ai pregiudizi un veicolo. Tra l'altro è lo stesso articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti e la Carta di Roma del 2008 a dettare un codice deontologico nell'affrontare questi argomenti.

Una buona conoscenza unita ad un'etica responsabile: così si combatte il razzismo, a cominciare dai giornali.