di Luigi Riccio
RAZZISMO.
Chi sono i rom? Sono immigrati o italiani? Nomadi per definizione o
vittime di stereotipi? A queste e ad altre domande dà risposta il
Vademecum per i giornalisti, volume curato da dall’Associazione Stampa
Romana, l’Associazione giornalisti Scuola di Perugia, la Comunità di
Sant’Egidio e l’Assessorato Lavoro e Formazione della Regione Lazio.
La
destinazione del volume non è causale e nasce per combattere la cattiva
informazione che investe la stampa sia locale che nazionale.
Ancora
molti giornalisti parlano di rom sommariamente come “di immigrati”,
ignorando (o fingendo di ignorare) che dei 140 mila rom presenti in
Italia ben il 60% è cittadino italiano, alcuni discendenti da migrazioni
che risalgono al lontano 1400. Quindi non sono “stranieri”, e tantomeno
“nomadi”. Il 90% dei rom in Italia è composto da “stanziali”, e
costretti a partire e a spostarsi molto spesso più per sgomberi
massivi, per l’avversione della popolazione locale che per delle scelte
di vita.
Il
popolo romanì ha da tempo chiesto di evitare il termine “zingari”
perché col tempo ha assunto un’accezione dispregiativa. Nonostante
questo, però, non solo la parola è largamente usata, ma anche declinata
nelle più varie forme. A Milano, durante le ultime amministrative che
hanno poi visto la vittoria di Giuliano Pisapia, la Lega Nord ha invaso
la città di manifesti inneggianti alla “zingaropoli”. Come ha reagito
certa stampa? Ha risposto che, sì, i modi erano un po’ grezzi, ma il
rischio “zingaropoli” c’era. Quindi un articolo su Il Giornale, a firma
di Giannino della Frattina, si intitolava L’ultima mossa: fare finta di non volere Zingaropoli;
o un altro, della stessa testata, in risposta a Thomas Hammerberg
(commissario europeo per i diritti umani) a firma di Carlo Maria
Lomartire, dal titolo “Sono scioccato dai manifesti su Zingaropoli”. Ma è la verità: venga pure a Milano a verificare.
IL VOLUME.
“Ho visto anche degli zingari felici. Di chi parliamo quando parliamo
di rom” è il nome del Vademecum, a cura di Titty Santoriello, arricchito
da disegni di bambini rom delle scuole della Pace della Comunità di
Sant’Egidio. Vari contributi accompagnano il giornalista, ma anche il
semplice lettore, nel variegato mondo romanes. Cinque le grandi
comunità: Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals. Un’unica lingua,
diciotto dialetti interni. Una bandiera: verde e azzurra con una ruota a
16 raggi. E un inno, il gelem gelem.
Del
razzismo nei confronti dei rom ne parla Luca Bravi, docente
all’Università di Firenze. Lo stereotipo del nomadismo nasce con il
“Porrajmos” o “Barò Porrajmos” (grande divoramento) ad opera nazista,
l’olocausto dei rom che fece 500 mila vittime nei campi di sterminio.
“Durante il periodo nazista – spiega Bravi – rom e sinti negli Stati
europei praticavano una resistenza di basso profilo che significava
trovare le modalità di permanenza per restare dove si erano stanziati.
Si spostavano tra i confini. In quegli anni si diffusero teorie della
razza secondo le quali il nomadismo era una colpa che stava nel loro
sangue. Non era così: si spostavano per ragioni lavorative, molti ad
esempio erano giostrai”.
Più in dettaglio, come racconta invece Leonardo Piasere nel libro I rom d’Europa
(editore Laterza), gli eccidi dei rom si consumarono nei campi di
concentramento di Auschwitz, Dachau, Ravensbruck, Bergen Belsen e altri
riservati solo ai rom come quello di Montreuil-Bellay nella Francia di
Vichy, di Jasenovac in Croazia, di Lackenbach in Austria, di Lety in
Boemia. In Italia molti rom venivano rinchiusi, a seconda della
provenienza geografica, a Tossicìa (Teramo), a Prigano (Modena), a
Boiano (Campobasso), ad Agnone (Isernia), a Perdasdefogu (Nuoro).
Una
vera e propria persecuzione, ancora oggi fortissima, ampiamente
dimostrata dai fatti di cronaca. E che questo Vademecum cerca di
combattere, attraverso la stampa, che a volte più che un argine offre ai
pregiudizi un veicolo. Tra l'altro è lo stesso articolo 2 della legge
istitutiva dell'Ordine dei giornalisti e la Carta di Roma del 2008 a
dettare un codice deontologico nell'affrontare questi argomenti.
Una buona conoscenza unita ad un'etica responsabile: così si combatte il razzismo, a cominciare dai giornali.
Una buona conoscenza unita ad un'etica responsabile: così si combatte il razzismo, a cominciare dai giornali.
Fonte: Corriere Immigrazione