L’italiano (con)fuso con l’inglese. Non importa se global, no global o glocal, se si sfila per il No-B Day, per il Family Day o per il Vaffa Day, quello che conta è che, mentre la lingua di Dante pare uniformi, quella di Sheakespeare sembra renda diversi, più belli, più trendy. È come fare un lifting, a base di parole (nei corsi di formazione del personale si va di male in peggio, perché, se non l’avessero capito, i partecipanti hanno una mission, che è un must, da raggiungere step by step).
“Parla come mangi”, ammonisce il detto, ma è un problema quando non si sa se quello che c’è nel piatto è un roast-beef o un carpaccio, né come ordinare un calice di Prosecco con la drink card.
Dove va l’italiano?
L’italiano degli essemmesse, l’italiano delle chat, l’italiano che si restringe, come un maglione di lana in lavatrice, per cui – come dice Trifone nell’intervista – capita che un liceale non sappia cosa significhi un verbo affatto raro, come biasimare. “Biasimare, boh? E-ke-ne-so?”.
A fronte di questa restrizione del codice, coloro che si occupano di educazione linguistica sono tenuti a stimolare nell’allievo una particolare attenzione nei confronti della dimensione lessicale della lingua, colta in tutta la sua ricchezza.
Dove va l’italiano?
Quattro esperti di lingua e di didattica tracciano piste, in questo numero, attraverso le quali il lettore di Officina.it può orientarsi e capire meglio la situazione linguistica del Bel Paese, per cogliere in controluce i valori di cui la lingua è manifestazione.
L’atteggiamento auspicato è quello del ricercatore, ovvero di chi non si affretta a trarre conclusioni spicciole né si chiude di fronte alle trasformazioni in atto, in nome di un purismo che non sempre è sostenibile.
Pietro Trifone, nell’intervista, traccia un breve profilo dello stato dell’italiano di oggi e accenna alla cura necessaria, anche da parte di un italofono, per mantenere la lingua, per così dire, in buona salute.
Matteo Santipolo presenta nell’articolo delle ragioni affinché il “grammaticalismo” che affligge alcuni insegnanti, orgogliosi di sapere tutto della lingua, ceda il passo ad un atteggiamento più pacato e tollerante. Se la lingua è in movimento, come qualsiasi organismo del resto, tanto vale avere lo sguardo sereno di chi ne osserva le regolarità e si interroga sulla ragione d’essere delle deviazioni.
Sono di Stefania Gavazzi le due attività – una sull’uso del congiuntivo, l’altra sulla frase scissa – che compaiono nella sezione relativa alla didattica.
Infine, nella rubrica extra, Luca di Dio suggerisce alcuni motivi per portare i dialetti in classe, indicando varie fonti cui attingere.
Buona lettura.
I contenuti di questo numero di Officina.it sono a cura di Paolo Torresan
Disegni: Cristiano Sili, Clara Grassi
Coordinamento: Euridice Orlandino
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