Segnaliamo gli
aggiornamenti sulla campagna
Da una sponda all'altra: vite
che contano
- Scioperodella fame della delegazione delle famiglie dei migranti tunisinidispersi e del comitato di sostegno
- Lettera delle mamme tunisine al ministro italiano per la cooperazione
- Lettera de Leventicinqueundici e dell'associazione Pontes al ministro italiano per la cooperazione
- dalla Tunisia: Patrizia ci racconta uno dei tanti presidi delle mamme
Sciopero della fame
della delegazione delle famiglie dei migranti tunisini dispersi e del comitato
di sostegno
La notizia arriva dalla
delegazione delle famiglie dei migranti tunisini dispersi, da qualche giorno in
Italia, a Palermo, per iniziare la ricerca dei propri figli. Da oggi sono in
sciopero della fame e in sit-in davanti al consolato tunisino insieme al
comitato di associazioni che li sostiene. In Tunisia, le famiglie chiedono da
quasi un anno, ormai, che qualcuno risponda loro sulla sorte di quei giovani
partiti verso l’Europa subito dopo la rivoluzione e che non hanno dato notizia
di sé dopo la loro partenza. Manifestazioni e sit-in davanti ai diversi
ministeri e all’ambasciata italiana, incontri con diversi ministri o funzionari
ministeriali non hanno permesso loro di aver ancora alcuna risposta. Da qualche
mese, hanno diffuso in Tunisia e in Italia il loro appello (http://www.storiemigranti. org/spip.php?article995), dando luogo, insieme a un collettivo di donne tunisine e italiane,
alla campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” (http://leventicinqueundici. noblogs.org/?page_id=354): chiedono la collaborazione tra le istituzioni italiane e tunisine
affinché ci sia un riscontro delle impronte digitali dei loro figli, per poter
sapere se siano vivi o morti. E’ una richiesta inaudita per quelle autorità,
abituate allo scambio quotidiano delle impronte per poter espellere i migranti.
Non è, dunque, un caso che a tutt’oggi non sia pervenuta nessuna risposta
ufficiale, nonostante i via vai diplomatici da un paese all’altro per continuare
la pratica degli accordi sul controllo e il governo delle migrazioni in cui,
giungono notizie di corridoio, anche quella vicenda comincia a essere posta sul
tavolo dei negoziati. Evidentemente, né le istituzioni italiane né quelle
tunisine ritengono che le mamme e le famiglie dei migranti siano soggetti con
cui interloquire e a cui comunicare le proprie decisioni, per quanto riguardino
i loro figli. E mentre in Tunisia l’attenzione mediatica che le famiglie sono
riuscite a imporre con le loro continue manifestazioni fa litigare tra loro i
membri del nuovo governo, in Italia l’unica risposta ufficiale è stata quella
che ha impedito alla delegazione di entrare al Cara di Caltanissetta,
trasformando all’occasione in una struttura detentiva quello che dovrebbe essere
un Centro di accoglienza per richiedenti asilo.
Quelle mamme e quelle
famiglie vogliono sapere che fine abbiano fatto i loro figli. Lo chiedono in
Tunisia e in Italia, ma è una domanda che riguarda anche l’Unione europea. Sono
arrivati? Sono stati catturati in un sistema detentivo come previsto dalle
politiche di controllo delle migrazioni dell’Ue? Sono stati respinti in mare,
secondo una pratica seguita dalle autorità italiane anche nel corso del 2011
nonostante contravvenga le norme e i trattati internazionali?
Come collettivo di
donne tunisine e italiane che sostengono la campagna “Da una sponda all’altra:
vite che contano” chiediamo insieme alle famiglie che le istituzioni tunisine,
italiane ed europee diano un’immediata risposta e che lo scambio delle impronte
digitali avvenga dinanzi alle famiglie e a una delegazione del collettivo di
sostegno all’appello.
Al ministro per la cooperazione
internazionale e per l’integrazione, Andrea Riccardi
Gentile Ministro,
le scriviamo questa
lettera in occasione della sua prossima visita a Tunisi e del suo incontro con
il governo tunisino. Come lei certamente sa, dal mese di marzo 2011 le mamme e
le famiglie dei migranti tunisini dispersi chiedono con insistenza di poter
conoscere qualcosa sulla sorte dei loro figli, partiti verso l’Italia e l’Europa
subito dopo la rivoluzione tunisina nell’unico modo previsto per loro dalle
politiche di controllo e di governo delle migrazione dell’Unione europea. Dopo
essersi rivolte per mesi alle istituzioni del loro paese, quelle mamme e
famiglie indirizzano ora un appello anche alle istituzioni italiane affinché ci
sia una collaborazione nella ricerca dei loro figli di cui, nel caso siano
arrivati in Italia e siano stati messi all’interno di un sistema detentivo
previsto da tali politiche, l’Italia deve avere le impronte digitali.
Tutte e tutti noi abbiamo assistito, nel corso del 2011, al trattamento che le
autorità italiane hanno riservato ai giovani tunisini che avevano appena lottato
per combattere una dittatura, allo spettacolo indecoroso dell’isola di Lampedusa
trasformata in un’isola prigione, alla vergogna dei Cie-galleggianti attraccati
per settimane al porto di Palermo, alla continuazione della pratica dei
respingimenti in mare, così come alla complicità e all’indifferenza delle
istituzioni dinanzi alle infinite morti nel Mediterraneo che, mai come
quest’anno, è stato un cimitero marino. Per questo, come collettivo di donne
italiane e tunisine, abbiamo sentito l’esigenza di unirci alla richiesta di
quelle famiglie e di darne risonanza in Italia con la campagna “Da una sponda
all’altra: vite che contano” sostenuta insieme a noi dalle numerose e dai
numerosi firmatarie/i dell’appello. In seguito alla pressione mediatica che le
continue manifestazioni delle famiglie in Tunisia e le nostre iniziative in
Italia hanno suscitato, una delegazione delle famiglie tunisine dei migranti
dispersi è potuta venire in Italia, dove si trova da più di una settimana. Qui,
però, dopo una prima visita al Centro di identificazione ed espulsione di
Trapani, in cui le famiglie hanno potuto vedere con i propri occhi le condizioni
di detenzione, le autorità hanno negato loro l’accesso ad altre strutture
detentive, mentre la questura di Agrigento continua a non rispondere alla
richiesta di un possibile rilevamento delle impronte a partire dalle carte di
identità dei loro figli. Tutto ciò, nonostante una lettera del sottosegretario del ministero per le Migrazioni tunisino al governo
italiano facesse presente come per la Tunisia la questione dei dispersi fosse
diventata una priorità “perché dobbiamo stabilire che la loro vita conta quanto
quella di tutti gli altri, che non possiamo
essere una democrazia senza mettere a disposizione tutti i nostri mezzi per
stabilirlo” e chiedesse alle autorità italiane di “fornire tutta la
collaborazione necessaria per fare luce sulla sorte di questi cittadini tunisini
scomparsi”. A metà gennaio, come collettivo di donne, avevamo indirizzato una
richiesta alla Ministra dell’interno italiana, così come al Ministro degli
esteri. Non ci risulta, però, a tutt’oggi, una presa di posizione italiana
ufficiale sulla vicenda, mentre le autorità competenti continuano a inviare
liste di impronte digitali ai consolati dei cosiddetti “paesi terzi” in vista
delle espulsioni.
E’ un silenzio che
riteniamo intollerabile. Pensiamo, infatti, che quelle mamme e quelle famiglie
abbiamo il diritto a una risposta immediata alla domanda che ormai da troppo
tempo inoltrano alle loro istituzioni e alle istituzioni italiane: un confronto
delle impronte digitali che permetta loro di sapere se i loro figli siano in
vita. La invitiamo pertanto a incontrare le famiglie in occasione della sua
prossima visita in Tunisia e a farsi garante con loro di una pronta risposta da
parte del governo italiano.