Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

domenica 27 maggio 2007

L'insegnamento della lingua italiana agli stranieri nei corsi E.D.A di Napoli. L'esperienza di un'operatrice scolastica



Clelia Bartoli è insegnante di ruolo di Scuola Statale dal 2000. Siciliana di Palermo, città dove è nata nel 1973, da tre anni si è trasferita a Napoli, dove insegna storia e geografia nei corsi di scuola media per adulti ed italiano agli stranieri, presso il centro di educazione degli adulti (E.d.A.) istituito dal centro territoriale permanente (C.T.P.) dell’Istituto Comprensivo “Casanova” di piazza Cavour. Laureata in Filosofia all’università degli Studi di Firenze, ha conseguito il dottorato in «Diritti dell’Uomo» presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo.E’ docente a contratto presso la cattedra di “Diritti umani” all’Università delle Scienze Giuridiche di Trapani.

Clelia da quanto tempo insegni al Casanova? E da quanto tempo il CTP del Casanova ha istituito l’insegnamento della lingua italiana per stranieri?
Insegno al Casanova da circa due anni. Mentre l’insegnamento della lingua italiana è stato istituito da circa una decina di anni…credo…
Quanti sono gli studenti stranieri qui al Casanova?
C’è una sola classe di italiano L2, gli iscritti in un anno possono anche essere una ottantina, generalmente frequentano per dei periodi circoscritti …ci sono due turni al giorno.
Come sono organizzati i turni?
L’idea iniziale era di dividerli per livello di conoscenza della lingua, poi non è stato possibile perché molti corsisti hanno esigenze di lavoro, o di altro genere… per cui nell’organizzazione dei turni hanno prevalso le esigenze personali dei frequentanti che il livello di conoscenza della lingua, anche se sarebbe stato più opportuno fare diversamente. Poi si è costituito un gruppo di ragazzi sud asiatici che preferiscono stare insieme alle lezioni…
Per sud Asia intendi Sri Lanka e…
…anche Pakisthan, Bangladesh…
I cinesi frequentano i corsi di italiano?
Abbiamo avuto un solo corsista cinese, un insegnante di Thai Chi, parlava già bene l’italiano e frequentava il corso più che altro per il piacere di perfezionare la lingua italiana…
Chi sono i frequentanti del corso di italiano adesso?
Sono persone molto diverse, sia per condizione che per provenienza. Abbiamo iscritti di circa venti nazionalità differenti. Ma principalmente sono lavoratori e ragazzi che hanno appena raggiunto i genitori dopo aver vissuto, anche per anni, con i nonni nel paese d’origine… Spesso alcune mamme dei ragazzi che hanno appena effettuato il ricongiungimento si iscrivono insieme ai figli: sia per inserirli, sia, facendo un’attività insieme, per riguadagnare l’intimità messa in discussione dalla lunga distanza. Questi genitori, pur vivendo in Italia già da molti anni, spesso non parlano ancora bene la lingua, e quasi sempre vengono rapidamente superati dai figli. Abbiamo avuto parecchie coppie di madri e figli…
Per quanto riguarda l’apprendimento della lingua italiana, avete riscontrato approcci diversi in base alla provenienza e alla “cultura”? Che idea vi siete fatti rispetto a ciò?
Si… normalmente chi viene dall’Est Europa ha una grande facilità ad apprendere la lingua italiana…
…e questo come ve lo spiegate?
Mah… sicuramente nei paesi dell’Est hanno delle buone scuole, le lingue straniere sono insegnate bene… inoltre hanno una buona disposizione verso lo studio, direi che la scuola rappresenta spesso per chi viene dall’est Europa un’occasione di preservare la propria autostima, a discapito di impieghi poco gratificanti…
E per quanto riguarda le persone che vengono da altre aree?
…gli studenti che vengono dall’Asia meridionale hanno più difficoltà ad imparare la lingua…ma credo che dipenda dal fatto che hanno pochi rapporti con gli italiani… e meno occasioni per esercitarsi con la lingua locale… e poi credo che ci sia una difficoltà legata anche al fatto che lingue asiatiche sono molto distanti per struttura linguistica…
…e gli studenti arabi e dell’Africa?
…gli studenti arabi che abbiamo qui apprendono molto velocemente la lingua italiana, avendo anche il francese come appoggio. Per quanto riguarda gli studenti africani subsahariani dipende se vengono da aree francofone, anglofone o dove si parla portoghese, come molti nostri frequentanti capoverdiani. Evidentemente chi parla una lingua neolatina è facilitato, lo stesso vale per i corsisti sudamericani. Bisogna dire che però a Napoli il problema dell’integrazione e dell’intercultura comprende anche la popolazione “indigena”, anche per lo stesso apprendimento della lingua italiana. Una cosa divertente che accade molto spesso nelle classi per adulti di scuola media è che i napoletani copiano dagli stranieri, che hanno a volte un italiano migliore dei napoletani. Anche la cultura del napoletano di quartiere è un’alterità rispetto alle istituzioni… .
Spesso a Napoli si vedono i giovani immigrati della seconda generazione parlare in napoletano e gesticolare come i ragazzi dei vicoli dei quartieri popolari. I giovani immigrati che frequentano i vostri corsi di lingua hanno riferimenti culturali simili?
Mah… i ragazzi cingalesi che non sono scolarizzati e che non sono cresciuti in Italia hanno come riferimento la musica Hip Hop, ci sono anche dei gruppi musicali cingalesi napoletani. Quando cammino per Napoli, guardandomi in giro, anch’io noto questa cosa, penso che crescendo insieme per i bambini sia veloce e inevitabile l’impatto con la cultura dominante. Secondo me Napoli, sopratutto nei quartieri popolari, è una specie di nazione a sé stante, che ha una sua cultura, una sua lingua, dei suoi generi artistici. In alcuni zone di Napoli sembra che la cultura italiana venga vissuta come straniera dagli stessi napoletani, un po’ come quella delle istituzioni nei paesi colonizzati, e quindi crescendo in questi quartieri è ovvio che i ragazzini di origine straniera apprendano più facilmente la lingua napoletana che l’italiano, che assumano gli stili e i comportamenti degli altri ragazzini napoletani. Poi capita anche che, rispetto a come viene vissuta l’immigrazione al nord, ci siano dei preconcetti ribaltati, non è raro che i genitori dei bambini stranieri dicano ai loro figli di non giocare con i bambini napoletani.
Che lavori fanno i vostri studenti?
…ci sono i ragazzi più giovani che vanno a scuola o che seguono il corso di lingua italiana per poi iscriversi a scuola, spesso hanno già finito le superiori nel loro paese, vanno dai 15 ai 20 anni, e vogliono recuperare gli anni di studio in Italia, e andare all’università. Gli asiatici adulti e gli africani sono soprattutto venditori ambulanti o commercianti, gli uomini e le donne dell’est badanti, domestici o operai…
Tu trovi una relazione tra il lavoro che fanno ed un’aspettativa che corrisponda ad una preparazione di base, precedente l’ingresso in Italia?
Gli africani hanno titoli di studio più alti, diplomi o lauree, ed quindi è sicuramente una sottoaspettativa quella di fare gli ambulanti. I pakistani che abbiamo conosciuto qui non avevano titoli di studio elevati, anche se si tratta di un dato non generalizzabile. I srilankesi sono molto giovani e non hanno potuto terminare gli studi, spesso proprio perché sono entrati in Italia con i ricongiungimenti familiari. Normalmente sono tutti scolarizzarti oltre l’obbligo. Personalmente non vedo una relazione diretta tra lo sbocco occupazionale che gli immigrati trovano a Napoli e la loro formazione scolastica pregressa, anche se questa, secondo me, è una cosa molto importante, da affrontare. L’altro giorno ascoltavo un dibattito in televisione durante il quale si diceva che bisognerebbe fare entrare solo immigrati con titoli di studio elevato, il problema in realtà però è che ci sono già, sono già quasi tutti in possesso di titoli di studio, semplicemente non è agevolato il percorso per riconoscerli ed utilizzarli. Ci si preoccupa della ‘fuga dei cervelli’ e non si presta attenzione a quanti ne arrivino di ‘cervelli’!
Nel lavoro che fate vi trovate spesso a confronto con i progetti migratori e le aspettative dei migranti che scommettono sull’integrazione, a partire dal desiderio di conoscere la lingua italiana. Nella tua esperienza, trovi che c’è soddisfazione nella condizione di migranti a Napoli?
L’anno scorso abbiamo fatto un’intervista ad un buon numero di studenti sia stranieri che italiani che frequentavano la terza media serale. La cosa più interessante che è venuta fuori è che gli stranieri avevano dei progetti di vita molto più strutturati e più lungimiranti rispetto agli italiani, ovviamente mi riferisco ai cittadini napoletani di ceto basso che frequentano la scuola media per adulti. Ad esempio, l’ultima domanda di questo questionario era: “Cosa faresti con un milione di euro?”, le risposte degli immigrati come quelle dei napoletani menzionavano: beneficenza, acquisto di oggetti per la gratificazione personale, doni ai membri della famiglia, ma a differenza dei napoletani gli immigrati citavano degli investimenti: “apro una attività”, “investo…” , ed altre risposte di questo tipo. I napoletani si dimostravano meno capaci di progettare il futuro. Un’altra differenza interessante era che gli stranieri esprimevano il desiderio di perfezionare le loro capacità (acquistandone di nuove o vedendo riconosciuti i propri titoli in Italia), insomma di concentrarsi su un miglioramento di sé. Per i napoletani, al contrario, nelle risposte si leggeva il desiderio di compensare una soddisfazione non avuta rimandandola ai figli. Per semplificare, i napoletani dicevano: “spero che i miei figli stiano meglio”, gli stranieri: “io voglio stare meglio per far stare meglio i miei figli”. Poi magari accade che gli immigrati siano assolutamente non valorizzati, sottoimpiegati, abbrutiti. A tal fine, secondo me, sarebbe molto utile incentivare la cooperazione, stimolare l’associazionismo per creare una maggiore forza di impatto, un’efficacia progettuale, per superare la debolezza dovuta alla posizione di straniero. Molte delle persone che sono riuscite a realizzare un progetto di migrazione hanno una grande capacità di proiettarsi verso il futuro, un certo istinto imprenditoriale, alcune hanno anche incredibili esperienze umane e professionali acquisite nel loro paese, ma tutto ciò è sprecato e offeso dal fatto di essere stranieri e per il fatto di essere isolati…
Nel percorso formativo, che tu sappia e rispetto agli sbocchi formativo professionale, ritieni adeguata l’offerta formativa o l’attività di orientamento alla formazione professionale? Per esempio voi indirizzate alla formazione professionale?
Qui facciamo orientamento alla formazione, abbiamo giovani che devono completare gli studi o adulti che vogliono proseguire; ma c’è il problema che molti non hanno il permesso, noi accettiamo tutti, mentre nei corsi professionali trovano degli ostacoli a potersi inserire. Una cosa che organizziamo è un corso molto breve e concentrato di circa cinquanta ore che permette l’iscrizione ad altri istituti serali di scuole superiori, non al primo anno ma al terzo se non addirittura al quarto anno, a seconda delle loro competenze. Questo è una buona opportunità sia per gli stranieri che per gli italiani, senza distinzione. Percorsi di inserimento professionale non sono stati sviluppati o almeno io non ne conosco, né generali, né specifici per gli stranieri. Io insegno italiano, storia e geografia nella scuola media e molti di quelli che iniziano la classe di italiano per gli stranieri passano nella scuola media, così almeno hanno un titolo riconosciuto in Italia, ed il titolo può essere utile perché spesso in patria hanno undici anni di scuola riconosciuti e con questo aggiungono il dodicesimo, così possono iscriversi all’università.
I CTP possono presentare progetti agli enti pubblici?
Si. Anzi molte scuole traggono vantaggio dall’avere dei CTP perché possono aspirare a finanziamenti ulteriori…
Per l’insegnamento della lingua italiana, a Napoli, l’offerta formativa viene principalmente dal terzo settore, dalle associazioni, alcune delle quali attivano finanziamenti specifici, anche se spesso non in modo continuativo, e dai CTP attraverso i corsi EDA. Da un punto di vista formale i CTP dovrebbero essere uno per ogni distretto scolastico, e a Napoli ce ne sono 50 di distretti, pochi hanno attivato insegnamenti per la lingua italiana agli stranieri, da questo punto di vista non pensi che sia sottovalutata la potenzialità di queste strutture per costruire una strategia per l’integrazione degli immigrati, a partire dalla lingua italiana?
Sicuramente i CTP rappresentano una potenzialità enorme di intervento, anche perché c’è una libertà che la scuola del mattino non ha, possiamo ad esempio attivare non solo corsi di italiano ma anche costruire percorsi di inclusione sociale, di consulenza, di arte e socializzazione. Si potrebbe fare moltissimo, il problema è che da un lato non si investe sui CTP, dall’altra gli insegnanti non ricevono una formazione specifica, non sono né specializzati per l’insegnamento agli adulti, né per insegnare l’italiano come seconda lingua agli stranieri, mancando non di rado di competenze e sensibilità interculturale. Per cui potrebbe addirittura essere rischioso dare più forza a qualcosa che è intrinsecamente debole. Un altro aspetto da considerare, tanto positivo che negativo, è che ai CTP ci si iscrive volontariamente, quindi le persone che vengono da noi sono estremamente motivate a istruirsi per migliorare la propria vita; molto spesso l’iscrizione coincide con un momento di svolta per la persona, e diventa momento di socializzazione, la sola frequenza è un’occasione di inclusione sociale. Al contrario, in Inghilterra ci sono dei programmi di alfabetizzazione del governo obbligatoriper gli stranieri, altrimenti non perdono alcuni benefici offerti dal wellfare. In questo caso l’intervento è molto più incisivo, diffuso e meglio pianificato, ma accade che venga vissuto come un’ingiusta costrizione