Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

giovedì 28 novembre 2013

“Come fossi una bambola”: va in scena l’orrore della tratta

Un monologo scritto e diretto da Martino Lo Cascio, interpretato da Jennifer Din Chin che prende spunto da “Le ragazze di Benin city”, autobiografia di Isoke Aikpitanyi

di Serena Termini, Redattore sociale
26 novembre 2013 - 14:43

PALERMO – Il lungo applauso di tanti spettatori, ieri sera, ha accolto la pièce teatrale “Come fossi una bambola” nel nuovo teatro Montevergini di Palermo. L’opera scritta e diretta da Martino Lo Cascio è stata interpretata da Jennifer Din Chin che, con grande bravura, pur non essendo una professionista, è riuscita a rendere, in tutte le sue più dure sfaccettature, l’orrore delle ragazze costrette a mercificare il loro corpo.
Il monologo, a tratti intervallato da alcuni video e dalla musica, prende spunto dal libro “Le ragazze di Benin city”, autobiografia ‘audace e lucida’ di Isoke Aikpitanyi, nigeriana vittima della Tratta che è riuscita coraggiosamente a riscattare la propria condizione di schiavitù. Oggi, Isoke, insieme al marito, ha creato un centro per aiutare concretamente altre “schiave” costrette a vendersi per le strada d’Italia.
A dare un contributo organizzativo allo spettacolo sono stati anche l’associazione “Per Esempio Onlus” e la Fondazione Intervita, impegnata dal 1999 in Italia, Asia, Africa e America Latina a tutela dell’infanzia, delle donne e delle comunità locali nonché nella lotta alla povertà e le disuguaglianze, per uno sviluppo sostenibile. Lo spettacolo riceverà presto il premio “Ragazze di Benin city 2013”. Le parole non lasciano dubbi sul dramma vissuto dalle giovani schiave del sesso a pagamento.
“Nessuno mi ha obbligato a partire, nessuno mi ha costretto ma mi ci sono messa in questa situazione con le mie mani – sono alcune delle parole forti interpretate da Jennifer Din Chin -. Qui tutto si paga e nessuno ti da niente per niente. Fuori sembra tutto a posto ma dentro sto male. Io non sono migliore delle altre, di quelle che sono morte. Vive o morte non ci ascolta mai nessuno”.
“Noi ragazze di Benin City sopravviviamo perché accettiamo l’inaccettabile – dicono le parole di Isoke recitate da Jennifer -. C’è chi si rifugia nella droga e altre invece si rompono dentro diventando totalmente insensibili”.
Le parole sono state intervallate da un primo cortometraggio, abbastanza crudo, in cui una ragazza viene ripresa mentre si trova incatenata dentro una cella frigorifera insieme alle carni da macello, un luogo da dove difficilmente potrà uscire.  
L’opera, attraverso le parole di Isoke, attraversa anche altri aspetti altrettanto drammatici della vita di queste ragazze: l’impossibilità di essere aiutate e credute dalla famiglia d’origine e l’ipocrisia dei pastori della chiesa locale: due muri di gomma dove per loro ‘diventa inutile gridare il proprio dolore’. Un affondo viene dato anche alle forze dell’ordine e agli ospedali nel limitarsi, molte volte, soltanto a “refertare una violenza subita o a registrare un aborto provocato”.
“Non è con il foglio di via che si risolve il problema perché se ritorniamo in patria – recita Jennifer - subiamo due volte prima il rifiuto e poi la vergogna della famiglia, rimanendo bollate per sempre”. “Speriamo che oggi qualcuno mi aiuti e speriamo che oggi non succeda niente – recita ancora Jennifer Din Chin – La tratta è un business che fa un sacco di soldi che dividono bianchi e neri. Parlo in nome di tutte quelle che una voce non ce l’hanno. Vedetevela voi adesso”. Jennifer Din Chin, l’interprete del monologo ha 27 anni ed è originaria del Ghana.
“Anche se prima ho avuto due piccole esperienze di recitazione, questa per me è stata la prima esperienza impegnativa di tipo teatrale – dice -. Desideravo tanto impegnarmi nel sociale e dopo un provino ho accettato la proposta di Martino Lo Cascio. Ho cercato di rendere al meglio una realtà così difficile come la Tratta. Secondo me è giusto che la gente sappia della disperazione e di come vivono queste ragazze. L’idea, che speriamo di portare a termine, è di proporre lo spettacolo in altri teatri d’Italia”.
 “Jennifer Din Chin è stata molto brava, non ha studiato teatro e ha cercato di farlo solo con me in occasione di questo spettacolo – racconta Martino Lo Cascio -. All’inizio non è stato per niente facile ma poi alla fine gradualmente ce l’abbiamo fatta riuscendo a trovare la sintonia giusta che ci ha permesso di lavorare bene. Lo spettacolo anche per questo è stato particolarmente impegnativo, richiedendo tempi lunghi per la sua realizzazione. La mia idea è stata quella di rendere uno spettacolo duro, come di fatto è questa realtà, ma con una serie di passaggi che danno agli spettatori dei punti di vista diversi e a volte spiazzanti. I quattro video che spezzano il monologo, sono quattro cortometraggi che cercano di rappresentare nel miglior modo possibile un tema così forte”.
“L’idea di realizzare lo spettacolo mi è nata subito dopo avere letto il libro di Isoke Aikpitanyi - continua Martino Lo Cascio -. Ho visto per la prima volta Jennifer mentre leggeva una piccola parte di uno spettacolo al teatro Biondo e mi era piaciuta molto. A distanza di tempo, l’ho chiamata insieme ad altre ragazze per il provino e alla fine ho scelto lei. Ringrazio tutti per l’impegno volontario che hanno avuto. Per me ci sono sempre due cose molto importanti nel lavoro che faccio: l’azione sociale precisa che incide nella realtà e la parte artistica in sé in cui mi riconosco e in cui penso che gli altri possono trovare più significati. L’intenzione è di riproporre lo spettacolo anche in altre città, in particolare spero di farlo arrivare a Genova, Torino e Milano. (set)

© Copyright Redattore Sociale