Scrivere in positivo
21 maggio 2012 dal Blog di Daniele Barbieri
Una guida per i media: come comunicare in modo corretto e obiettivo il fenomeno dell’immigrazione (*)
Ragionare invece di strillare, informare
anziché allarmare. Lo chiedevamo ai giornalisti stranieri noi italiani
quando emigravamo in massa, lo domandano oggi a noi gli immigrati. E’
poco, è molto. «Comunicare l’immigrazione»
– sottotitolo «Guida pratica per gli operatori dell’informazione» –
mira a questo obiettivo. E’ uscito a febbraio grazie al lavoro della cooperativa bolognese Lai-momo (editrice della rivista «Africa e Mediterraneo») e del Centro studi e ricerche Idos, lo stesso che prepara ogni anno il fondamentale «Dossier statistico immigrazione». A sostenerlo due ministeri (Lavoro
e Interno) con il finanziamento del Fondo europeo per l’integrazione di
cittadini dei Paesi terzi. Un manuale che riprende le avvertenze date
dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi con la «Carta di Roma» del 2008 che infatti è spesso citata.
Parlare
in positivo è la raccomandazione dell’Unione Europea e di altre
organizzazioni internazionali. Ed è lo spirito che anima il volume
perché, come precisa Natale Forlani (direttore generale
dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione presso il ministero
del Lavoro) «appare necessario garantire un’informazione obiettiva e priva di stereotipi e pregiudizi».
Dopo l’introduzione e una sitografia ragionata, il volume (160 pagine, colorate e illustrate) si
divide in 6 sezioni. Si apre con lo scenario migratorio poi il quadro
legislativo e una sintesi comparata degli immigrati in Europa.Il quinto capitolo presenta una galleria di casi riusciti di integrazione, infine il glossario con una cinquantina di voci. Il quarto capitolo offre una breve ricostruzione su «i media italiani e l’immigrazione» ed è ovviamente quello che qui più ci interessa.
Secondo una ricerca del 2010, resa nota proprio dall’Osservatorio sulla «Carta di Roma» il
quadro d’insieme è questo: si parla di migranti al 52,8 per cento in
articoli di cronaca nera o giudiziaria; al 34% in relazione al dibattito
normativo; al 5,3 quando ci sono sbarchi; al 7.9 per questioni legate a
cultura e temi connessi al migrare. Secondo Mario Morcellini (preside
di Scienze della comunicazione a La Sapienza di Roma)è una immagine congelata del fenomeno. In tv è peggio: la cronaca nera sale al 58,7%. «I giornalisti contribuiscono a una gigantografia della paura per la quale l’immigrato resta legato alla criminalità» spiega Morcellini.
Il capitolo approfondisce anche le «buone
notizie», le linee guida (della «Carta di Roma») per un’informazione
corretta e ricostruisce come le migrazioni sono state narrate da tv,
radio e carta stampata (anche con interessanti esperienze locali), il
ruolo di alcuni osservatori sui media, la nascita dei media
multiculturali e dell’Ansi – Associazione nazionale stampa
interculturale – con un accenno alle scritture migranti e uno sguardo
sui nuovi media soprattutto in rapporto alle cosiddette G-2 (seconde
generazioni che però preferiscono definirsi «nuovi italiani» visto che i
figli di immigrati nascono o crescono qui) per chiudere con una
sintetica bibliografia-filmografia.
Un
capitolo ricco di informazioni ma ovviamente in 20 pagine molto resta
fuori. Anche perché intorno alla rappresentazione giornalistica delle
persone migranti si aggrovigliano questioni strategiche. I siglomani
potrebbero parlare del nodo “Mirmix”: migrazioni, intercultura,
razzismi, meticciato, identità, xenofobia. Temi diversi ma evidentemente
intrecciati con la cronaca nera come con i diritti, l’economia, la
scuola, la politica, il diffuso malessere sociale… Questioni complesse
che richiederebbero inchieste e ragionamenti invece di slogan e titoli
“sparati”. Su molti
media italiani le cronache sono ansiogene quando parlano di migranti
mentre le pagine culturali o di costume sono rilassate (w la cucina
etnica, w le treccine rasta, w la musica meticcia, w lo sport
“colorato”). A volte girando pagina si rischia quasi un effetto
schizofrenico. Ma si sa che le cronache giocano un ruolo predominante
nell’opinione pubblica.
Fra gli sguardi meno banali valeva forse sottolineare l’intelligente eccezione di “Italieni” sulla rivista “Internazionale”:
è una testatina ironica con la quale il settimanale racconta il nostro
Paese visto da fuori ma con questa dizione sono state etichettate anche
le pagine affidate a giornalisti di origini straniere che vivono in
Italia. Non necessariamente gli articoli erano attinenti allo specifico
della migrazione ma questo particolare sguardo favoriva comunicazioni e
scambi culturali meno ristretti del consueto. Egualmente era utile evidenziare che alcuni recenti documenti – ripresi anche dalla nostra rivista – hanno chiesto che «i media rispettino il popolo rom»; a volte i cosiddetti nomadi sono in Italia da decine o centinaia di anni eppure vengano considerati eterni stranieri.
Chi
si sente italiano ma curioso del mondo potrebbe prendere per biglietto
da visita la frase (in un box, anzi in una “orecchietta” del libro)
dello storico Joseph Ki-Zerbo: «Quando si è profondamente radicati si è
pronti sa tutte le aperture, porosi a tutti i soffi del mondo».
(*) Questo articolo è uscito sul numero 82 (aprile 2012) del trimestrale «Giornalisti» edito dall’Ordine giornalisti dell’Emilia-Romagna.