UNAR: La normativa sulle borse di studio per il perfezionamento all’estero incompatibile con il diritto dell’Unione europea e con il T.U.immigrazione
Con un parere diffuso il
10 maggio scorso (n. 109 dd. 3 maggio 2012), l’UNAR (Ufficio Nazionale
Anti-Discriminazioni Razziali), l’Autorità nazionale
Anti-Discriminazioni presso il Dipartimento Pari Opportunità della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha risposto ad una segnalazione
inviata dal Servizio Anti-discriminazioni dell’ASGI riguardante i
profili discriminatori della normativa nazionale in materia di borse di
studio per il perfezionamento all’estero, di cui all’art. 5 della
legge 30 novembre 1989, n. 398 (“Norme in materia di borse di studio
universitarie”, pubblicata in G.U. 14.12.1989, n. 291). Detto articolo,
al comma 2, prevede, infatti, il requisito della cittadinanza italiana
ai fini dell’accesso a tale beneficio (“Al concorso, per titoli ed
esami, sono ammessi i laureati di cittadinanza italiana di età non
superiore ai ventinove anni, che documentino un impegno formale di
attività di perfezionamento presso istituzioni estere ed internazionali
di livello universitario, con relativa indicazione dei corsi e della
durata”).
L’UNAR,
nel suo parere, evidenzia il contrasto della clausola di cittadinanza
italiana innanzitutto con il principio di libera circolazione,
uguaglianza e parità di trattamento dei cittadini di Stati membri
dell’Unione europea e dei loro familiari di cui alle norme di fonte
primaria e derivata del diritto dell’Unione europea. L’UNAR ricorda come
tali norme del diritto europeo abbiano una validità diretta ed
immediata nell’ordinamento italiano, implicando di
conseguenza, nei rapporti “verticali” tra autorità statali e cittadini,
l’obbligo per le autorità giurisdizionali ed amministrative italiane di
disapplicare le norme interne incompatibili. Di conseguenza, l’UNAR
rivolge un invito agli Atenei italiani, a cominciare dall’Università “La
Sapienza” di Roma che aveva recentemente indetto un bando per
l’assegnazione di queste borse di studio, a disapplicare per i bandi di
futura pubblicazione il requisito della cittadinanza italiana o altri criteri
o requisiti incompatibili con la normativa comunitaria, tra cui la
clausola per cui il cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea
non potrebbe avvalersi della borsa di studio per un percorso formativo
nel suo paese di origine e di cittadinanza (clausola già dichiarata
incompatibile con il diritto UE con la sentenza della
Corte di Giustizia europea nel caso Carmina di Leo, cittadina italiana
residente in Germania, contro il Land di Berlino, dd. 13.11.1990, causa C-308/89).
L’UNAR
tuttavia ricorda come la disapplicazione delle norme interne
incompatibili con quelle comunitarie non costituisce una soluzione
soddisfacente, in quanto non produce alcun effetto sull’esistenza delle
ultime. Ne consegue che le soluzioni in
grado di avere un ‘efficacia erga omnes dovrebbero essere l’emanazione
di una direttiva del Ministero per l’Istruzione, l’Università e la
Ricerca rivolta a tutti gli atenei italiani per la disapplicazione del
requisito di cittadinanza di cui all’art. 5 c. 2 della legge n. 389/89
ed una concertazione tra gli uffici legislativi dei diversi ministeri
per l’avvio di un procedimento di revisione legislativa della normativa
di riferimento. L’UNAR, pertanto, auspica e raccomanda ai soggetti
interpellati di agire in questa direzione.
Nel
suo parere l’UNAR ritiene che sia parimenti illegittima l’esclusione
dei cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea dalla
possibilità di concorrere alle borse di studio erogate dagli Atenei
italiani per il perfezionamento all’estero. A tale riguardo, l’UNAR evidenzia come la
clausola di cittadinanza italiana prevista dalla normativa specifica
del 1989 dovrebbe ritenersi superata per effetto del principio di parità
di trattamento in materia di istruzione universitaria e relativi
interventi per il diritto allo studio previsto dall’art. 39 del T.U.
immigrazione (d.lgs. n. 286/98) a favore degli stranieri titolari dei
permessi di soggiorno menzionati nell’art. 39 c. 5 del d.lgs. n. 286/98 (carta di soggiorno, per
motivi di lavoro, familiari, asilo politico, umanitario ovvero
regolarmente soggiornanti da almeno un anno in possesso del titolo di
studio superiore conseguito in Italia).
Come si è detto, il parere dell’UNAR giunge a seguito di una segnalazione compiuta dal servizio anti-discriminazioni dell’ASGI.
Dopo aver compiuto un sommario monitoraggio delle prassi in uso in diversi Atenei italiani, l’ASGI ha rilevato una situazione diversificata, riassumibile nelle seguenti fattispecie:
a)
atenei che continuano ad applicare integralmente la clausola di
cittadinanza italiana ai fini dell’accesso a tali borse di studio,
escludendo dunque non solo i cittadini di Paesi terzi non membri
dell’Unione europea, ma anche gli stessi cittadini di Paesi membri
dell’UE e i loro familiari
b)
atenei che disapplicano la clausola di cittadinanza italiana nei
confronti dei soli cittadini di altri Paesi membri dell’UE, ammettendo
quest’ultimi a parità di condizioni con i cittadini italiani e senza
restrizioni aggiuntive;
c)
atenei che disapplicano la clausola di cittadinanza italiana nei
confronti dei soli cittadini di altri Paesi membri dell’UE, ammettendo
quest’ultimi al beneficio tuttavia a condizioni aggiuntive e più
restrittive rispetto a quelle previste per i cittadini italiani.
Nella sua memoria, l’ASGI aveva
sottolineato come la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea
abbia chiarito da lungo tempo ormai come non sia compatibile con le
norme di diritto comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori di
Paesi membri e dei loro familiari, indipendentemente dalla cittadinanza
di questi ultimi, e sul corrispondente principio di parità di
trattamento nell’accesso ai benefici e alle prestazioni sociali e,
specificamente a quelli relativi all’istruzione, una normativa nazionale
che limiti tale parità di trattamento ai soli sussidi all’istruzione
impartita nel Paese ospitante, escludendo invece i sussidi per la
partecipazione a corsi di istruzione e perfezionamento in Paesi esteri,
ivi compresa la situazione in cui il cittadino comunitario residente nel
Paese ospitante o il suo familiare richiedano un sussidio per la
partecipazione a corsi di istruzione nel Paese di cui possiedano la
cittadinanza. Si veda in proposito la sentenza della Corte di Giustizia
europea nel caso Carmina di Leo, cittadina italiana residente in
Germania, contro il Land di Berlino, dd. 13.11.1990, nella causa
C-308/89.
Il
servizio anti-discriminazioni dell’ASGI ritiene inoltre che la clausola
di cittadinanza italiana per l’accesso al beneficio dovrebbe essere
disapplicata anche per i cittadini di Paesi terzi non membri dell’UE
titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti in virtù
del principio di parità di trattamento contenuto nella direttiva
europea n. 109/2003/CE.
Infine,
il servizio anti-discriminazione dell’ASGI non ritiene che vi siano
fondati motivi di ragionevolezza tali da giustificare l’esclusione dal
beneficio dei cittadini di Paesi terzi in generale, se regolarmente
soggiornanti in Italia e che pertanto detta esclusione possa configurare
una discriminazione contraria all’art. 43 del T.U. immigrazione.
L’ASGI
ha inviato pure un esposto alla Commissione europea chiedendo che
questa avvii un’indagine conoscitiva finalizzata all’eventuale apertura
di un procedimento d’infrazione del diritto UE contro l’Italia.
a
cura di Walter Citti, servizio anti- discriminazioni, progetto ASGI con
il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie
Charlemagne ONLUS