Immigrati, nuovo meccanismo per ottenere i documenti. Scatterà forse in autunno. Un percorso di due anni per imparare lingua, funzionamento dello Stato e obblighi fiscali, sanitari e scolastici. I crediti si perderanno anche con condanne non definitive. I pareri degli esperti
Vincere un bel dottorato di ricerca: questa la cosa migliore da fare per un immigrato a caccia del permesso di soggiorno. Perché, secondo le nuove regole per ottenere il documento, si metterebbe così in saccoccia ben 64 punti. Altre mosse vincenti: 54 punti per una docenza all’università, 46 per una laurea, 35 per un semplice diploma professionale. Meno produttivi, invece, gli aspetti legati alla vita sociale: solo 6 punti per un contratto d’affitto o di acquisto di una casa, altrettanti per un’onorificenza data dallo Stato italiano, 4 invece per la scelta di un medico della Asl o per le attività di volontariato.
Dopo mesi di annunci, prima sussurrati e poi roboanti, ha preso finalmente vita e corpo l’accordo d’integrazione, più conosciuto ormai come “permesso di soggiorno a punti”. Niente a che vedere, però, con quiz e concorsi: come sempre, agli immigrati non si regala nulla. Anzi: dovranno sudare almeno due anni per guadagnarsi il tanto sospirato documento. Il provvedimento, di cui Mixa si è già occupata, ha ottenuto il 20 maggio scorso il primo via libera dal Consiglio dei ministri. Per il testo nessun iter parlamentare: passerà al vaglio del Consiglio di stato e della Conferenza unitaria Stato – Regioni prima di approdare sul tavolo del presidente della Repubblica. Il regolamento entrerà in vigore 120 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Quindi, se tutto va bene, se ne riparlerà in autunno.
Permesso a punti, ecco cos’è. Previsto dall’articolo 4 bis del Testo unico sull’immigrazione e dal pacchetto sicurezza dello scorso luglio, il regolamento varato dal governo è un accordo che lo Stato stipula con l’immigrato che chiede un permesso di soggiorno di almeno un anno. Un vero e proprio contratto, destinato a chi ha un’età tra i 16 e i 65 anni e arriva in Italia dopo l’entrata in vigore del provvedimento. Un'intesa in cui lo straniero si impegna a raggiungere in due anni tutta una serie di obiettivi che saranno valutati con un meccanismo di crediti: si parte da 16 e non da zero come previsto all’inizio. Fondamentale anche iscrivere a scuola i figli minorenni. Esentati dall’accordo i minori non accompagnati, i disabili, le vittime di tratta, di violenza o di grave sfruttamento e chi ha frequentato un intero ciclo di studi alla scuola dell’obbligo.
I punti si guadagneranno raggiungendo un livello elementare di conoscenza dell’italiano, della Costituzione, delle regole e del funzionamento dello Stato. Si perderanno, invece, se si sarà condannati, anche in via non definitiva, e se si commetteranno illeciti amministrativi o tributari. La verifica scatterà alla fine dei due anni: accordo estinto e permesso rilasciato con 30 o più crediti, proroga di un anno alle stesse condizioni per chi resta al di sotto della soglia, bocciatura ed espulsione per chi si ferma a zero o addirittura ci va sotto.
Tanti, dunque, gli impegni che l’immigrato dovrà sottoscrivere per ottenere, alla fine, un documento solo temporaneo, che non cambia di una virgola il suo status giuridico: tante le prove da superare per restare, comunque, uno straniero in Italia. Non altrettanti gli impegni che si assumeranno le istituzioni. “Lo Stato – si legge nella bozza del regolamento – si impegna a sostenere il processo di integrazione dello straniero” attraverso iniziative da concordare con enti locali e associazioni no profit. E poi ancora: organizza un corso di formazione civica di minimo 5 massimo 10 ore a un mese dalla richiesta del permesso di soggiorno e garantisce il godimento dei diritti fondamentali delle persone nonché l’accesso ai servizi sanitari e scolastici.
La parola all’esperto: un patto al ribasso. “Il permesso di soggiorno a punti non è un’idea del tutto nuova – spiega l’avvocato Ennio Codini, docente all’università Cattolica di Milano e responsabile del settore giuridico della Fondazione Ismu – né un’idea particolarmente strana. Patti e accordi di integrazione vengono siglati con gli immigrati in molti Paesi. Il meccanismo che si adotterà in Italia è molto legato al modello francese”.
Quali sono gli aspetti positivi del provvedimento?
“Una lettura positiva è possibile: se si parla di accordo di integrazione vuol dire che in qualche modo l’immigrazione è accettata. C’è un alto profilo simbolico, è come se si dicesse allo straniero: “Pensiamo che sarai dei nostri, noi puntiamo su di te”. Con questo testo si dà poi per scontato che lo standard per l’immigrato sia venire in Italia per restarci in modo stabile. Un altro aspetto positivo è legato alla frequenza obbligatoria di almeno un corso di formazione civica, quello organizzato dallo Stato. Questo consentirà ai membri delle comunità più chiuse di aprirsi un po’ all’esterno, di creare qualche relazione”.
Quali sono, invece, le criticità?
“Sarò sincero: penso che l’integrazione proposta nell’accordo sia molto modesta. E’ un patto fatto al ribasso, a costo zero, in cui non si investono risorse. In realtà all’immigrato si chiede molto poco: il livello A2, ad esempio, che vale solo per la lingua parlata, è un livello elementare che in due anni raggiungono tutti gli immigrati, anche stando chiusi dentro casa”. Il quadro di riferimento è quello europeo che individua 6 livelli di competenza linguistica: l’A2 è il secondo, quindi tra i più bassi, e comprende parole, frasi ed espressioni usate per dare informazioni personali, per fare la spesa, per le attività quotidiane. “Buongiorno, grazie, panino” tanto per capirsi. “Pensiamo poi – continua l’avvocato Ennio Codini – alla formazione civica: cosa potranno mai imparare gli immigrati in 10 ore sulla vita civile nel nostro Paese? E questi sono gli unici obblighi, il resto è tutto vago”.
Altri punti oscuri?
“Un dato lascia perplessi: sembra che per gli stranieri valgano regole diverse. Una sorta di disciplina speciale che mette nero su bianco, ad esempio, l’obbligo scolastico per i figli. Un obbligo che vale per tutti, immigrati e italiani. Non è poi garantista la norma che prevede la decurtazione dei punti anche in caso di condanne non definitive”.
Che impianto dovrebbe avere allora l’accordo di integrazione?
“Questo accordo poteva essere un’occasione per creare, ad esempio, una corsia speciale d’accesso per la cittadinanza. Mi piacerebbe un provvedimento che sì, fissasse appuntamenti regolari per l’immigrato, prove e controlli, che anche chiedesse di più nella sostanza, nei saperi utili per l’integrazione, ma che, di contro, offrisse di più nella concessione dei diritti, con percorsi preferenziali e più snelli per chi risolve l’accordo con successo”.
L’iter non è ancora concluso: il testo, dunque, già alleggerito in Consiglio dei ministri, potrebbe subire altri cambiamenti. Servirebbero però idee forti e contesti diversi che, al momento, non si vedono all’orizzonte.
di Chiara Semenzato
Fonte: http://www.mixamag.it/
giovedì 27 maggio 2010
Punti all’asta, in premio il permesso di soggiorno
Pubblicato da
Tindara Ignazzitto
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