Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

mercoledì 25 settembre 2013

20 ottobre, Palermo: Elezioni dei membri della Consulta delle Culture. Intervista all'Assessore Giusto Catania

INTERVISTA ALL’ASSESSORE GIUSTO CATANIA

16 settembre 2013 · by Comunità Urbane Solidali

Ringraziamo l’assessore alla Partecipazione Giusto Catania per averci concesso questa intervista. Come progetto Comunità Urbane Solidali, abbiamo previsto in accordo con il Comune di Palermo il supporto alla costituzione della Consulta delle Comunità Immigrate di Palermo e il nostro padiglione, all’interno del Complesso P. Pisani, sarà una delle sedi. Abbiamo partecipato come osservatori alle discussioni, abbiamo animato, altre discussioni al di fuori degli incontri ufficiali e, adesso che siamo arrivati ad un punto di svolta importante, il 20 ottobre ci saranno le elezioni, siamo andati dall’assessore Catania con l’intenzione di porre alcune domande su quelli che, secondo noi, sono alcuni punti da chiarire rispetto a questo percorso importante.

Per prima cosa, vorremmo chiederLe come mai avete deciso di aprire la consulta delle comunità dei cittadini extracomunitari anche ai cittadini comunitari residenti e comunque non solo a cittadini extracomunitari.

Ci siamo attenuti ad un principio su cui si è fondata buona parte della letteratura negli ultimi anni sulla necessità di connettere i diritti di cittadinanza alla residenza. C’è stata qualche anno fa una grande campagna internazionale promossa dalle organizzazioni sindacali europee per costruire meccanismi di cittadinanza legati alla residenza, quindi prescindendo dalla nazionalità. Io personalmente sono stato al Parlamento Europeo (come eurodeputato del Partito della Rifondazione Comunista dal 2004 al 2009, ndt) il sostenitore della proposta per far sì che la cittadinanza europea si acquisisse attraverso la residenza e non attraverso l’appartenenza a uno dei paesi membri. Ci siamo attenuti a questo elemento fondamentale che è un modo per estendere i diritti e per far determinare i diritti di cittadinanza dalla residenza e non dal passaporto. Per questa ragione abbiamo scelto di far sì che la Consulta fosse rappresentativa delle culture altre presenti a Palermo e che il principio costitutivo fosse determinato dalla residenza, perché per noi a Palermo non esistono stranieri o immigrati, esistono palermitani.
Questo è stato il nostro principio ispiratore, molto più ampio rispetto a quello della Legge Regionale, perché pensiamo sia un modo per favorire l’inclusione.

La legge, però, nasce con l’intento esplicito di dare maggiore visibilità ai cittadini extracomunitari, non temete dunque di non avere rispettato il dettato legislativo, di esserne usciti in qualche modo dai binari ed esporvi ad eventuali contestazioni amministrative?

Noi abbiamo assolutamente rispettato il dettato legislativo perché la Consulta è rappresentativa anche degli extracomunitari. Abbiamo garantito un principio di proporzionalità rispetto ai cittadini che sono presenti a Palermo per cui la rappresentanza è proporzionale alla presenza in città. Il nostro regolamento non solo interpreta la legge ma fa un passo in avanti nell’inclusione di tutti i cittadini. Sarebbe paradossale che il Comune di Palermo venga contestato perché allarga la platea di garanzia: i diritti non sono come una coperta: se la tiri da un lato, non scopri l’altra parte. I diritti sono estendibili.
Ci sembra paradossale che Palermo, in questo momento tra le pochissime città in Sicilia a fare una consulta e allargandone la platea di beneficiari, possa essere contestata sul piano amministrativo. In ogni caso, siamo tranquilli che non succederà anche perché siamo supportati dai pareri degli uffici comunali e mi pare che da questo punto di vista ciò possa essere una garanzia amministrativa.

Qual è il senso della Consulta delle Culture rispetto invece alla Consulta delle Comunità?

La Consulta delle Culture che ha istituito il comune di Palermo ha le stesse identiche prerogative della Consulta delle Comunità prevista per legge. Non c’è una sottrazione. Potevamo chiamarla “Consulta delle Comunità” o “Consulta degli Stranieri”, ma abbiamo scelto il termine “culture” perché basta leggere l’articolo 1 del regolamento che esplicita subito qual è l’obiettivo, ovvero quello di “favorire la costruzione della città interculturale”. Quindi la Consulta contribuisce alla costruzione della città interculturale; per questa ragione noi l’abbiamo chiamata Consulta delle Culture. Ma dal punto di vista politico e dal punto di vista dei poteri, dal punto di vista della rappresentanza, dal punto di vista dell’accezione politica, ha le stesse identiche prerogative che avrebbe avuto se si fosse chiamata “Consulta delle Comunità”.

Se si parla di cultura, pensate sia pertinente l’arbitraria divisione in macro-zone geografiche per la suddivisione dei seggi? All’interno di uno stesso paese ci possono essere culture molto diverse tra loro: non le ritenete difficilmente rappresentabili con questa impostazione?

Questa critica è giusta, però bisognava scegliere un criterio. Anche nel Parlamento italiano non tutti i territori sono rappresentati in maniera coerente. Quindi noi abbiamo pensato di costruire queste macro-aree, aggregando i paesi secondo un criterio geografico. Il criterio può essere definito arbitrario, ma ci sembra il più rispondente all’esigenza di dare una rappresentanza proporzionale ai cittadini delle comunità residenti Palermo. È sempre molto difficile rappresentare tutto e tutti, ci piacerebbe poterlo fare ma non è possibile.

Ma, nel caso di extracomunitari, di rifugiati, a volte una distinzione ulteriore, anche all’interno di uno stesso paese, può essere doverosa. Per esempio, se consideriamo lo Sri Lanka è difficile rappresentare secondo un un’unica area geografica le comunità Cingalesi e Tamil protagoniste di una lunga guerra civile.

La comunità Tamil, la più consistente a Palermo, è tra le più entusiaste di questo regolamento: quando un Tamil diventa cittadino italiano e acquisisce la cittadinanza, perde automaticamente la cittadinanza del suo paese. Eppure i Tamil sono molto orgogliosi della loro identità e provenienza, promuovono proprie scuole e centri culturali. Se noi avessimo fatto la “Consulta degli Stranieri” invece della “Consulta delle Culture” e non avessimo inserito il principio di coinvolgere tutti i residenti, ma solo gli “extracomunitari”, oggi non potremmo avere molti dei loro rappresentanti candidabili alla Consulta.
L’esempio della comunità Tamil è il migliore per dimostrare come questo regolamento e questa modalità di costruzione della Consulta siano utili a dare una rappresentanza reale della città. Il problema non è se sei comunitario o non sei comunitario, ma che tutte le comunità presenti a Palermo abbiano una rappresentanza politica. Dire, ad esempio, che i Rumeni sono rappresentati perché possono votare alle elezioni comunali, è vero teoricamente, ma l’amministrazione comunale non può discutere sul “teoricamente”, vuole invece discutere di problemi reali, di come dare rappresentanza reale e come costruire processi di partecipazione reali di tutti, allora si deve far carico del fatto che i Rumeni non partecipano alla vita politica della città, che i Rumeni non votano alle elezioni, che i Rumeni non hanno rappresentanti nelle istituzioni; quindi l’amministrazione deve favorire un processo di partecipazione non solo per i cittadini extracomunitari ma anche per i cittadini comunitari, considerato, tra l’altro, che i Rumeni sono la terza comunità più grande di Palermo, dopo Tamil e Bangladesh.

Se si parla di culture e di identità plurime, di modi altri rispetto alla cultura occidentale cattolica da rappresentare a Palermo, non sarebbe stato interessante allora coinvolgere le storiche minoranze religiose cittadine come quella valdese?

Obiettivo della Consulta è costruire la città interculturale, cioè favorire la contaminazione tra le culture. Un elemento fondamentale del regolamento che ci piace sottolineare è il fatto che tutti possono votare per tutti. Se, ad esempio, io sono cinese, posso essere votato da tutti, dai tunisini, dai tamil, dai rumeni. Questo, secondo noi, è un modo per costruire un processo interculturale in cui avviene la contaminazione, il confronto, il dialogo tra le culture, tra le religioni, tra i percorsi.
Pensiamo che la cultura della città che verrà fuori debba essere un’altra rispetto alla cultura di partenza, pensiamo che una caratteristica della città sia la capacità di costruire un’identità meticcia, questo è l’obiettivo che ha la Consulta, contribuire alla costruzione della città meticcia.
Noi non abbiamo fatto un’istituzione separata, abbiamo stabilito che il presidente della Consulta partecipa ai lavori del Consiglio Comunale. Inoltre i consiglieri comunali eleggono al proprio interno una delegazione che partecipa ai lavori della Consulta. Anche la Giunta nomina un suo rappresentante che partecipa ai lavori della Consulta. In questo modo la Consulta diventa un anello di congiunzione tra tutte le istituzioni.
Riteniamo di avere fatto un’operazione ambiziosa, e che, avendo studiato gli altri percorsi similari in Italia, questa è l’esperienza più avanzata che ci possa essere in giro per la nazione.

In alcuni degli incontri ufficiali sulla costituzione della Consulta alcuni consiglieri comunali, anche della maggioranza, pur apprezzando la visione alla base della costituzione della Consulta delle Culture, valutavano la possibilità di istituire un’ulteriore Consulta delle Comunità, forse più fedele allo spirito della legge. Le risulta?

Non mi risulta che ci sia un’ulteriore formale proposta. Abbiamo impiegato anni di battaglie politiche e un anno di esperienza amministrativa di questa città per fare la Consulta delle Culture e adesso il 20 ottobre si vota. Già molte comunità si sono attivate, si sta costruendo un percorso di coinvolgimento. Non mi pare che sia utile costruire fare un’altra Consulta degli Stranieri per far eleggere solo gli extracomunitari. Mi pare un modo per non affrontare concretamente la questione. La Consulta delle Culture è legata assolutamente allo spirito politico che guida questa amministrazione. Se qualcuno vuole fare un’altra cosa sta creando a nostro avviso forme di ghettizzazione, il contrario di quello che noi invece pensiamo di fare.

Cosa vi aspettate da questo nuovo organo per la città, a prescindere da quale sia l’amministrazione che governa la città?

Abbiamo costituito la Consulta con un regolamento del Consiglio Comunale, non eravamo obbligati a farlo così, potevamo fare come è stato fatto in passato, con una determinazione del Sindaco, com’è stato fatto in passato: il Sindaco Orlando nel 1998 ha istituito la Consulta, poi Orlando ha smesso di fare il Sindaco ed è finita la Consulta.
Avere fatto un Regolamento di Consiglio Comunale significa avere dato stabilità, indipendentemente dalla amministrazione eletta, a quella che chiamiamo “Quarta Istituzione della città”. Per eventualmente abolirla ci vorrebbe un altro Consiglio Comunale, ma dubitiamo che persino un Consiglio Comunale con la sensibilità politica più lontana dalla nostra si possa svegliare la mattina e dire “cancelliamo la Consulta”. Tra l’altro la Consulta delle Culture ha avuto un voto trasversale in Consiglio Comunale.
Inoltre abbiamo legato l’elezione della Consulta a quella del Consiglio Comunale: quando ci saranno nuove elezioni amministrative sarà eletta anche la nuova Consulta.

Alcune associazioni e alcuni migranti con cui abbiamo avuto la possibilità di parlare hanno ritenuto che la gestione della nascita di questa consulta sia stata poco trasparente e poco realmente partecipativa. Qual è la sua opinione in proposito?

Questa valutazione è assolutamente sbagliata. Abbiamo fatto decine e decine di riunioni sulla Consulta. Una prima riunione ricognitiva è stata organizzata nel luglio 2012 con l’impegno da parte nostra di presentare una prima bozza di regolamento entro la fine dell’anno. Rispettando i tempi dichiarati nel novembre del 2012, presso la sede dell’Assessorato alla Attività Sociali abbiamo indetto un incontro pubblico e presentato la bozza ufficiale del Regolamento, e spiegato tutto l’impianto della Consulta. Dopo quella riunione abbiamo fatto numerose altre riunioni, incontri di approfondimento, di discussione con tutte le comunità. La proposta di dare seggi della Consulta anche ai comunitari è stato proposto a novembre 2012 in quella stessa riunione e non fu mossa alcuna critica su questo punto.

Per la verità il problema dei comunitari fu sollevato, noi eravamo presenti all’incontro presso l’assessorato Attività Sociali e possiamo confermarlo.

Ribadisco in quella sede mai da nessuno. Abbiamo il resoconto e i verbali di quella riunione, nessuno ha posto il tema dei comunitari. L’unico tema posto è stato quello sulla rappresentanza dei nuovi cittadini, cioè di quegli immigrati che acquisiscono la cittadinanza italiana. C’è stato un dibattito su questo.
Gli obiettivi, gli elementi cardine del regolamento erano già chiari nel novembre del 2012, e da quel momento fino al giugno 2013, quando il Consiglio Comunale ha approvato il regolamento, abbiamo fatto numerosissime altre assemblee in cui è stato spiegato l’impianto del Regolamento. Legittimamente qualcuno ha continuato a rimanere delle proprie opinioni, qualcun altro ha cambiato idea. Come è legittima la nostra idea, frutto di una scelta politica che rivendichiamo, realizzata nello spirito della rappresentanza di tutti a partire dal principio della residenza.
Quello che ci ha ispirato è un obiettivo politico preciso, anche filosofico: i diritti di cittadinanza si acquisiscono attraverso la residenza e non attraverso il passaporto. Facciamo un altro esempio: si pensi ai cittadini croati, fino a poche settimane fa erano extracomunitari, improvvisamente ora sono diventati comunitari, cosa facciamo? Una volta eletti li buttiamo fuori dalla Consulta? Possiamo far dipendere il diritto di rappresentanza, il diritto di partecipazione alla vita di una città da decisioni che vengono assunte dagli Stati? Pensiamo invece che sia più corretto che tutti quelli che sono residenti a Palermo possano partecipare alla vita politica della città. È un principio inclusivo.

Comunità Urbane Solidali ha assistito ad alcuni incontri preparatori ed ha condiviso alcune critiche rispetto alle modalità di costruzione della Consulta. Non sarebbe stato più giusto pensare alla Consulta delle “Culture” come punto d’arrivo di un processo partecipato nei prossimi anni, magari accompagnato da riforme della legislazione nazionale in materia di immigrazione, piuttosto che farne – a nostro avviso – un forzato punto di partenza?

Non condividiamo l’idea che se i processi di integrazione sono “complicati”, allora è meglio rinviarli o dilatarli, siamo dell’idea che bisogna fare delle forzature per costruire la città interculturale.
Pensiamo che vanno cambiate la legge Bossi-Fini e le leggi europee sull’immigrazione, pensiamo che le leggi italiane sulla cittadinanza siano arcaiche e pensiamo che l’assenza di una legge nazionale sul Diritto d’Asilo sia grave e dannoso. Pensiamo tutto questo, ma non lo possiamo cambiare come amministrazione comunale. Ci possiamo invece battere per cambiarlo ed è quello che stiamo facendo, ciò che possiamo fare con le leggi attuali è la Consulta, e la facciamo addirittura ampliando lo spettro della rappresentanza.
La nostra adesione al network europeo delle città interculturali non è una medaglia, è un obiettivo politico. Perché la città interculturale si costruisce da un lato con processi naturali di contaminazione delle culture, che esistono, dall’altro lato si costruisce con le politiche: la Consulta delle Culture è una scelta politica in direzione della città interculturale, non per costruire ghetti e barriere tra le culture.
Abbiamo aderito alla campagna nazionale “L’Italia sono anch’io” per cambiare la legge sulla cittadinanza, abbiamo fatto una campagna cittadina per cambiare la legge sulla cittadinanza. Stiamo lavorando perché Palermo ritorni a far parte del circuito SPRAR (Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) per i titolari di protezione internazionale, e stiamo lavorando per dare una sede alla Consulta che sia uno pubblico, a disposizione delle comunità.
Penso che non possiamo fare di più, ma se qualcuno pensa che possiamo fare di più ce lo dica. Non chiedeteci però di fare di meno.

Da quali soggetti sarà gestito questo nascituro spazio pubblico?

Dal Comune direttamente, sarà certamente uno spazio pubblico a disposizione delle comunità e gestito in modo autonomo, ma assolutamente dell’amministrazione comunale.

Gli eletti alla Consulta non rappresenteranno singole comunità organizzate ma macro-aree geografiche, non ritiene che così si rischia di vanificare quei faticosi processi di autorganizzazione e di costruzione di nuove associazioni tra immigrati?

La Consulta ha il compito della rappresentanza politica, non ha il compito della rappresentanza di interessi economici e sociali di determinati “blocchi” che siano associazioni o comunità. La Consulta vuole esclusivamente promuovere le esigenze politiche dei cittadini. Ci dispiace se qualcuno possa pensare che la Consulta possa sottrarre spazio ad associazioni di immigrati, non bisogna percepire la Consulta come un impedimento alle forme di aggregazione autonome degli immigrati. Le associazioni possono continuare a svolgere il proprio ruolo, ma non possono fare quello che fa la Consulta, perché la Consulta fa la rappresentanza politica e questo le associazioni non lo possono fare. Così come la Consulta non può fare l’intermediazione sociale, ma può svolgere una funzione propositiva e consultiva rispetto alle scelte di governo della città.

Gentile Assessore Catania, l’intervista si conclude qui, La ringraziamo per aver risposto a tutte le nostre domande.

Grazie a voi, spero di essere stato esauriente e che tutti i dubbi siano stati fugati.