Targhe commemorative e gemellaggi, ma anche un sostegno concreto per chi decide di lasciare la strada. Il coordinamento anti-tratta ha ottenuto assicurazioni importanti dalla nuova giunta.
C’è stato un incontro tra gli esponenti del coordinamento anti-tratta, il sindaco Orlando e l’assessore alle Attività Sociali del Comune di Palermo. E da questo incontro (che Nino Rocca, membro del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e del CISS, Cooperazione Internazionale Sud Sud, ha definito «estremamente fecondo») sono scaturiti degli impegni significativi. Il più rilevante, probabilemente, riguarda la destinazione di alcuni terreni confiscati alla mafia. Le associazioni che si occupano del recupero e del reinserimento delle vittime di tratta, vorrebbero utilizzare questi spazi per creare delle reali opportunità lavorative per le ragazze. E il sindaco ha dichiarato ufficialmente di appoggiare questa opzione. Rilevante è anche la decisione di impegnarsi, a livello mediatico e comunicativo, per sensibilizzare l’opinione pubblica palermitana rispetto al dramma della tratta, che non è ancora percepito nella sua reale portata.
Nell’agenda di Palazzo delle Aquile c’è anche l’intenzione di fare un gemellaggio con Benin City (Nigeria), la città da cui proviene la maggior parte delle prostituite, e di porre, in due punti della città, delle targhe in ricordo di Louveth e Favour, le due ragazze nigeriane uccise per strada tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 ( il coordinamento anti-tratta -lo ricordiamo- si è costituito per reazione a queste macabre vicende).
A Palermo la tratta riguarda almeno 500 donne, tra cui molte minorenni, distribuite su varie zone, in particolare nel quartiere centrale di Ballarò e nel giardino della Favorita. Lo sfruttamento è portato avanti da una decina di sfruttatori che si servono della collaborazione delle madames, prostitute che hanno fatto il salto di qualità e sono passate dalla parte degli aguzzini. Il fatturato annuo di questa attività supera i 10 milioni di euro, 38.000 euro al giorno, cifra sicuramente sottostimata secondo Nino Rocca.
Il Pastore Vivian Wiwoloku, da molti anni impegnato nel reinserimento delle donne vittime dello sfruttamento, racconta che la cifra che le donne sono obbligate a pagare per il proprio riscatto, varia a secondo dell’età e della bellezza, da un minimo di 60.000 ad un massimo di 100.000 euro. Le nazionalità maggiormente coinvolte sono quella nigeriana, albanese e rumena, a cui si è recentemente aggiunto un nuovo gruppo, quello delle etiopi.
Sempre più donne vittime di tratta raggiungono l’Italia attraverso il canale di Sicilia. E’ verosimile pensare che nel 2011, con la guerra in Libia, molte di queste ragazze (con i loro accompagnatori) siano state trattenute nei vari centri italiani messi a disposizione per l’emergenza Nord Africa.
Ben più complicata si presenta la situazione per le lavoratrici “indoor”, termine tecnico utilizzato per definire le donne costrette a “lavorare” in casa. Segregate, queste ragazze sfuggono ad ogni possibilità di monitoraggio da parte di associazioni ed enti di tutela e sono maggiormente sottoposte a qualsiasi tipo di vessazione e violenza. Le reti criminali di questo traffico sono certamente internazionali. Anche se non ci sono dati a conferma, fa notare Nino Rocca, è difficile pensare che la mafia lasci passare questo fiume di denaro senza infilarci lo zampino: «Quando la mafia non spara», afferma Rocca,«vuol dire che c’è un pezzo di torta anche per lei».
Fonte: Corriere Immigrazione