Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

domenica 18 marzo 2007

Duccio Demetrio: narrazione, intercultura e transcultura

La risposta meticcia, la risposta quindi delle identità ibride e composite, è un risposta democratica sul piano planetario. “Meticcio” deriva dal greco antico “metis”, che significa saggezza: meticciato, quindi, come capacità di riconoscere le molteplici appartenenze, purché si enfatizzi la dimensione delle individualità. [...] La pedagogia interculturale c’è solo nel momento, raro, in cui come educatori ci chiediamo: “Io sto fornendo un modello culturale, un modello di comportamento, ma cosa sto prendendo in cambio?”. Nulla. [...] Io credo che, nella scuola, se non c’è una forte mediazione interculturale, una forte vocazione interculturale da parte degli insegnanti, che attingono al meglio di queste culture musicali, artistiche, letterarie, lo scambio non possa avvenire. [...] Lo scambio può avvenire solo all’insegna di una sempre maggiore conoscenza di mondi culturali altri, che non sono talvolta assolutamente condivisi dai bambini e dagli adulti che vengono qua. [...] Possiamo quindi dare un contributo, facendo in modo che in queste famiglie straniere, dove non entra nemmeno e non è mai entrata la parte migliore della loro cultura, in qualche modo questa cultura entri. [...] Ecco, lo scambio, la pedagogia interculturale, può essere questa. Non è soltanto il girotondo insieme, tra bambini di tanti colori diversi, perché dobbiamo sempre porci questa domanda: “Io ti insegno qualcosa, ma tu cosa mi stai dando?” Se non c’è una risposta, se c’è silenzio dall’altra parte, io come insegnante colto, devo andare a cercare testimonianze di quella cultura e riproporle. [...] Passiamo, così, da interculturalità a transculturalità: la prima, vuol dire, l’ho già ripetuto fino alla noia, avere tradizioni diverse che si guardano, si ascoltano, si scambiano qualcosa, a partire dalle reciproche differenze, a partire dunque da alcune distanze di carattere religioso, spirituale, filosofico, artistico. La transculturalità cerca ciò che può avvicinarci, a prescindere da queste differenze, e la via dell’arte, della poesia, è senz’altro il percorso elettivo privilegiato. [...] Quindi, io ritengo che nella scuola di oggi, ma anche nel mondo, nelle stentate relazioni tra rappresentanti di mondi diversi, sia indispensabile lavorare all’insegna della pedagogia transculturale, se non ce la facciamo con quella interculturale. [...] Quindi, non le differenze soltanto, non le distanze, perché se noi enfatizziamo un’attenzione per le differenze, corriamo il rischio di confermare le reciproche distanze. Credo invece sia importante individuare le reciproche contiguità, oppure le comunanze, per dare un contributo alla demolizione dei pregiudizi, che sono sempre presenti dentro di noi e popolano ogni nostra riflessione. [...] Non dimentichiamo che dovremmo, parlando di interculturalità, non solo evocare altri mondi, perlopiù a noi sconosciuti, ma parlarne anche rispetto al rapporto tra generazioni diverse. Non c’è solo l’intercultura interetnica, ma ce n’è una che soffriamo nella nostra quotidianità, quando parliamo di generazioni sempre più distanti, di ragazzi che non riusciamo a capire. La narrazione ci riavvicina, come è dimostrato da tante esperienze, soprattutto da quelle che vedono gli insegnanti sempre più disponibili ad approfondire questo metodo, perché scoprono che il racconto reciproco e la reciproca interazione tra storie hanno lo scopo di mostrare come, nel corso della vita, siano tantissime le continuità, siano tantissimi i momenti della nostra esistenza adulta che ci riportano all’adolescenza e all’infanzia. Quindi non solo intercultura in rapporto a questi altri pianeti, che sono ancora così sconosciuti, ma intercultura nella nostra quotidianità.
[...]
In certe circostanze, penso che la differenza debba essere avvicinata, enfatizzata, ma c’è il rischio di rendere questo avvicinamento soltanto curiosità. Questo, pure non è poco, ma forse non è sufficiente: io entro nel tuo mondo, mi spieghi come sono le tue tradizioni; sì, è importante, ai fini del meticciamento, ma credo che l’insistenza sulle reciproche differenze rischi di consolidare certe distanze. Mi piace di più, invece, pensare a dei ponti attraverso le culture diverse, e ritorno alla domanda, che mi è stata fatta, sull’utilità di partire dall’esistente: c’è un’esistente, quello musicale, che i ragazzi frequentano moltissimo. La musica è un luogo straordinario di meticciamento: prendiamo ad esempio solo il fascino che ha per i ragazzi questo vituperato movimento che è la New Age. È un movimento sincretico, che prende un po’ di cultura orientale, un po’ di quella occidentale, un po’ di musica spirituale, un po’ di letteratura esoterica. La New Age è il fenomeno transculturale più significativo che ci sia oggi: forse siamo noi adulti, che apparteniamo ad un’altra generazione, ad essere esclusi da questi movimenti culturali e che cerchiamo ancora la tradizione, la purezza. Perché noi non siamo, e invece i ragazzi lo sono molto di più, dentro una vera e propria ibridazione. Al di là di tutte le difficoltà che ci possono essere e dei luoghi comuni, credo che questa sia la vera speranza: c’è una generazione che si apre di più di noi a realtà multiculturali, anche se poi davanti all’immigrato che incontra per via, magari ha atteggiamenti razzistici, di esclusione, di aggressione. Questo è uno dei paradossi che stiamo vivendo tutti, per cui i giovani partecipano già a processi mondializzati di acculturazione, non si rendono bene conto di quello che ascoltano e di cui parlano, che sono già una manifestazione multiculturale e transculturale. Ma sopravvivono, dentro di loro, e anche dentro di noi, pregiudizi che ci riconducono a quelle tesi riproposte da Bruner, cioè i modelli mentali e di significato, che sono durissimi a dissolversi. Questo è un paradosso con il quale dobbiamo per forza fare i conti: siamo sempre più localisti, sempre meno narratori, ma allo stesso tempo sempre più proiettati in mondi lontani; basta accendere un computer o televisore. Siamo in una situazione, quindi, di vera e propria biculturalità: da una parte una cultura sempre più tradizionale, volta a proteggerci; dall’altra una culturalità che guarda le altre. Penso che sia estremamente positivo, perché, come dice Maluf, i rischi più grossi li corriamo quando, per la paura rispetto al nuovo, consolidiamo la nostra cultura di appartenenza, che è sempre inevitabilmente miope e chiusa. Quindi il meticciamento è dentro di noi, anche quando non ce ne accorgiamo.

Duccio Demetrio