Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

mercoledì 27 giugno 2007

Venerdì 6 luglio, tutti i Sud in festa, a Palermo, Piazza Santa Chiara


Al Janub Tutti i Sud del Mondo

in collaborazione con

CISS - Cooperazione Internazionale Sud Sud

Ha il piacere di invitarvi alla seconda edizione di

TUTTI I SUD IN FESTA

CENA E MUSICA AFRICANA

Venerdì 6 Luglio presso il Centro Santa Chiara

Ore 20.00

(in Piazza Santa Chiara)


Per motivi logistici ricordiamo che entro giorno 2 Luglio è necessario comunicare all'indirizzo aljanubtuttiisud@yahoo.it la propria partecipazione.

Il contributo previsto di 6 Euro sarà richiesto all'ingresso.

venerdì 22 giugno 2007

Il progetto MEDIAM'RAD, piattaforma dei media multiculturali

Fonte: http://www.mediamrad.it/default.asp


Nella nostra società i media multiculturali si stanno affermando come un fenomeno di assoluto interesse. Studi e ricerche indicano, infatti, una crescita di testate di carta stampata, siti internet, emittenti e programmi radio-televisivi che vedono protagonisti migranti e nuove minoranze generate dall’immigrazione. Una tendenza confermata dai dati dell’ Osservatorio permanente dei Media Multiculturali del Cospe (vedi www.mmc2000.net)

I media multiculturali si caratterizzano come patrimonio di competenze e professionalità che, sebbene rappresentino una vera risorsa per l’informazione, non sempre vengono riconosciute e valorizzate. Attraverso le attività del progetto si intende infatti evidenziare ai mass-media italiani il contributo che i professionisti di origine immigrata possono portare per una corretta e plurale copertura del tema dell’immigrazione e dei paesi di provenienza dei flussi migratori. E' in quest’ottica che opera il progetto europeo Mediam’rad, con l’ulteriore obiettivo di sviluppare uno scambio continuo e collaborazioni stabili tra media multiculturali e mezzi di comunicazione a larga diffusione. A questo scopo si è costituita la piattaforma italiana dei media multiculturali per incidere a vari livelli e far valere le istanze del settore nei confronti di interlocutori diversi: dai mass media a larga diffusione, al servizio pubblico radio-televisivo; dal mondo politico agli enti locali alla società civile, dall’ordine dei giornalisti all’editoria e alle associazioni di categoria.


Gli obiettivi del progetto
- Promuovere e rafforzare il ruolo dei media multiculturali come produttori e veicoli di opinioni qualificate e di un'informazione innovativa e pluralista, incoraggiando collaborazioni durature tra media multiculturali, media comunitari e associativi e media tradizionali

- Effettuare analisi comparative sui messaggi dei media relativamente alle relazioni interculturali, alle differenze sociali, economiche e politiche

- Produrre e diffondere un'informazione più ampia e innovativa sulle culture presenti nel territorio, frutto della collaborazione tra i media multiculturali e gli altri media.


I partner del progetto

* Institut Panos Paris - Francia - www.panosparis.org

* Miramedia - Olanda - www.miramedia.nl

* Cospe - Italia - www.cospe.it


Le attività del progetto

1 - Piattaforma nazionale di rappresentanti dei vari gruppi di media (a larga diffusione, multiculturali, comunitari e associativi) e altri soggetti interessati: rappresentanti di ONG, operatori interculturali, forum degli immigrati, organizzazioni professionali dei media e centri di ricerca.

2 - Creazione e aggiornamento di un portale internet europeo e di 3 siti web nazionali

3 - Guida sui media multiculturali in Italia: mappatura e analisi tipologica

4 - Analisi comparative sui contenuti dell'informazione prodotta dai media in relazione alle relazioni internazionali e interculturali.

5 - 3 Seminari nazionali per professionisti dei media dei 3 gruppi selezionati su pratiche professionali e copertura mediatica relativamente alle relazioni internazionali e interculturali.

6 - 3 Incontri europei sui media rivolti a operatori dei 3 gruppi di media selezionati, organizzazioni di professionisti dei media e attori dello sviluppo e dell'interculturalità.

7 - Creazione e gestione del Fondo "partenariato per la coproduzione e la diffusione" di informazioni relative ai temi dello sviluppo, delle relazioni internazionali ed interculturali, basato sul partenariato tra i media muticulturali, i media a larga diffusione e quelli comunitari e associativi.

8 - Analisi finale comparativa sull'informazione dei media, che verrà prodotta dai media partecipanti al progetto 9 - Premio "Media per la Solidarietà"

giovedì 21 giugno 2007

Oltre Gardner: su José Antonio Marina e il fallimento dell’intelligenza. Teoria e pratica della stupidità

Fonte: http://venus.unive.it/italslab/modules.php?op=modload&name=ezcms&file=index&menu=79&page_id=337


di Paolo Torresan

AUTORE: José Antonio Marina
TITOLO: Il fallimento dell’intelligenza. Teoria e pratica della stupidità
CITTÀ: Milano
EDITORE: Longanesi
ANNO: 2006
PAGINE: 201

Come il libro di Polito, anche il saggio di José Marina comincia là dove il lavoro di Gardner finisce. E cioè se Gardner ci introduce al regno delle intelligenze, José Marina ci illustra le molte forme che assume la cattiva gestione dell’intelligenza: la stupidità.Come può essere che una persona intelligente, che vanti per esempio una brillante carriera professionale, si comporti in modo stupido? Si tratta di una domanda a cui Gardner non è sordo, ma che trova risposte poco chiare nei suoi libri. Marina invece la pone al centro delle sue riflessioni: “la discrepanza fra «essere» intelligente e «comportarsi» in maniera intelligente” dice lo studioso spagnolo “rivela la presenza di uno iato fra i due livelli nel quale entrano in gioco forze poco note” (17). A cosa corrispondono i due livelli? E di quali fattori di disturbo sta parlando? Il primo livello coincide con la struttura cognitiva umana, una struttura modulare, proprio come nel pensiero di Gardner: “l’intelligenza computazionale” agisce attraverso sistemi altamente specializzati (le intelligenze), i quali processano le informazioni per lo più in maniera inconscia. Il secondo livello coincide con l’intelligenza pratica di Sternberg, e, grossomodo, con le intelligenze personali di Gardner, tradottasi poi con il concetto di intelligenza emotiva coniato da Mayer e Salovey, e quindi divulgato da Goleman.Veniamo ai fattori di disturbo. Per il professore della Complutense, l’intelligenza può fallire per via di una distorsione epistemologica, affettiva o operativa. Il che vuol dire che il lavoro dell’intelligenza può essere ostacolato da credenze che agiscono come coercizioni (è l’impotenza appresa di molti studenti), da pregiudizi, da abitudini, da prese di posizione dogmatiche, da errori di valutazione del contesto, dal fatto che, per meccanismi che sfuggono al controllo della volontà, un modulo agisce sopra e contro gli altri (per esempio l’ansia o la vergogna che collidono con la voglia di imparare o di dimostrare la propria competenza), dalla conversazione sommersa (che nasconde, anziché rivelare, le reali intenzioni), dalla volubilità del desiderio (considerata di segno negativo, quale corrispettivo del deficit di attenzione), dall’indecisione, dalla routine, dalla difficoltà di gestire le compulsioni, dal mancato coordinamento degli obiettivi individuali con quelli perseguiti dalle persone con cui ci si trova a cooperare. È un sguardo ampio, geometrico, per quanto la foga della penna lasci a volte gli occhi smarriti e il ragionamento, non di rado, sia lasciato fastidiosamente in sospeso, affidando all’immaginazione o alla conoscenza di chi legge, l’ingrato compito di proseguire sentieri interrotti. Due appunti al saggio di Marina.Il primo. È evidente che all’evasività di Gardner nel definire l’educazione delle intelligenze personali, si contrappone, in Marina, uno sforzo positivo. Lo studioso spagnolo indaga, più di quanto non faccia Gardner, il valore sociale dell’intelligenza. Il relativismo culturale di Gardner, legato presumibilmente alla volontà di evitare pregiudizi di tipo culturale, impone a questi di evitare un qualsiasi giudizio di valore sull’etica di un popolo. Marina, al contrario, sostiene l’esistenza di valori universali. Le sue parole contro il relativismo sono infuocate:

“Il relativismo estremo tende una trappola sociale: è ormai diffusa l’idea che sia sinonimo di progressismo politico, e che l’equivalenza delle opinioni sia il fondamento della democrazia, una convinzione assolutamente imbecille e contraddittoria. Se tutte le opinioni hanno uguale valore, il credo degli antidemocratici pesa quanto quello dei democratici, e infatti tutti i neofascisti d’Europa sono saliti sul carro del postmoderno” (181).

E ancora:

“Un egualitarismo travisato ci impedisce di apprezzare gli altri. «Nessuno è migliore di nessuno» è un’affermazione stupida da quanto è degradante: un uomo che aiuta gli altri e uno che li tortura non sono affatto uguali: Hitler non è lo stesso che Mandela” (176).

C’è, per Marina, un carattere reazionario nella visione fintamente progressiva del relativismo. In questo senso la distanza da Gardner è notevole. A suo dire, esistono società stupide tanto quanto esistono società intelligenti:

“la società spagnola settecentesca che inneggiava alle catene, quella francese che plaudì la furia bellicosa e avida di Napoleone, quella tedesca che osannò Hitler lasciandosi contagiare dai suoi vaneggiamenti; la società industriale avanzata, fautrice di un sistema economico che sfrutta in modo indiscriminato la natura, di uno stile di vita in cui il lavoro e la famiglia sono incompatibili o di una globalizzazione che aumenta il divario fra Paesi ricchi e poveri, sono esempi di fallimento dell’intelligenza condivisa” [157-8].

E spiega:

“Che cosa intendo per intelligenza sociale, comunitaria, condivisa o come preferite chiamarla? Non è un’intelligenza che si occupa delle relazioni sociali, ma che da essa sorge. Potremmo definirla un’intelligenza conversazionale. Quando due persone parlano, infatti, ognuna apporta il suo sapere, le sue capacità, la propria arguzia, ma la conversazione non è la loro somma, poiché l’interazione può spronarle o limitarle. È sicuramente capitato a tutti che certe relazioni ci stimolano, suscitano in noi nuove idee, risvegliano una perspicacia che nemmeno sospettavamo di avere. Altre, all’opposto, ci lasciano depressi, istupiditi: la conversazione è a poco a poco scivolata nella mediocrità, nel pettegolezzo e nella banalità, impoverendo entrambi. Io sono sempre lo stesso, ma una di quelle circostanze ha attivato la parte migliore di me, e l’altra la peggiore” (158).

Che se ne fa l’insegnante, chiediamoci, di queste riflessioni? Dobbiamo ricordare che nelle indicazioni programmatiche del Quadro Comune al docente è assegnato un ruolo positivo nel contribuire alla formazione del “saper essere” dello studente. Si tratta di un contributo che si costruisce proprio sui tanti interrogativi presenti nel testi di Marina, come per esempio: Quale convinzioni nutre lo studente sulla sua persona e sul suo ruolo di apprendente? Se si tratta di convinzioni limitanti, è possibile decostruirle? Quali pregiudizi può manifestare nei confronti dei compagni che non hanno il suo stile di apprendimento? Come è possibile fare della classe una microsocietà intelligente? Come poter creare una mente flessibile, autonoma, critica, ben fatta? Quali sono le strategie attraverso le quali lo studente impara a autoregolarsi? E così via. Rispondere ad esse richiede pazienza, sperimentazione, costanza, tanto quanto, dice Marina, lo richiede uno studio di una lingua straniera. Diventare persone che sanno usare intelligentemente la propria intelligenza, consci del contesto in cui operano, ha effettivamente a che fare con la capacità di trovare un nuovo modo di leggere il mondo, di capire se stessi, di definire di volta in volta, il difficile equilibrio tra il benessere personale e quello dei propri simili.

'Intercultura nei media: solo così si demolisce l'immagine stereotipata dell'immigrazione'

Anna Meli (Cospe): ''L'informazione multiculturale nasce dall'insoddisfazione e talvolta dalla rabbia provocata dalla rappresentazione parziale e distorta che giornali e tv danno degli stranieri''

ROMA – Crescono i media multiculturali in Italia e chiedono di contare di più nel panorama dell’informazione nazionale. Sarà questo il tema al centro del terzo meeting “Media, diversità, pluralismo”, che si svolgerà domani e sabato a Roma, organizzato da Cospe, in collaborazione con il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità.

Nei percorsi per una cittadinanza attiva dei migranti e nella lotta a ogni tipo di discriminazione – ha detto Anna Meli del Cospe durante la presentazione del meeting - l’informazione e i media rivestono un ruolo di particolare importanza: i media multiculturali nascono spesso dall’insoddisfazione e talvolta dalla rabbia che provoca nei cittadini immigrati la rappresentazione parziale e spesso distorta che i mass media fanno dell’immigrazione e dei paesi di origine e diventano dei veri e propri laboratori identitari, dei canali di espressione e di partecipazione alla vita sociale e culturale italiana”.

Attraverso i loro organi di informazione – ha ribadito l’assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Roma e giornalista Jean Leonard Touadi - gli immigrati vogliono entrare nel dibattito politico e sociale su di loro da interlocutori e non solo come oggetti silenziosi di discussione”. Dello stesso parere la giornalista Paula Baudet Vivanco, rappresentante della Piattaforma italiana per i media multiculturali, nata proprio in occasione del primo meeting nazionale a Firenze nel 2005: “Attraverso nuovi organismi di rappresentanza, come ad esempio la Piattaforma, i giornalisti di origine straniera chiedono a gran voce una vera ‘par condicio’ democratica anche sul fronte dell’informazione. E’ tempo che la classe politica a livello nazionale e locale e il mondo dell’informazione attuino delle misure efficaci per garantire uno spazio di visibilità alle istanze sociali, politiche e culturali dei cittadini immigrati. Non si tratta di una gentile concessione paternalistica, ma di valutare la reale misura della democraticità di un paese”.

Ma è anche sul piano politico e legislativo che il convegno vuole incidere. Lanciando proposte concrete. Ha infatti concluso Anna Meli: “Come Cospe dal dibattito di Roma speriamo che vengano indicazioni concrete per una revisione della legge sull’editoria, che riconosca il valore culturale e di servizio dei media multiculturali, anche alla luce della ratifica da parte dell’Italia dell’importante Convenzione Unesco sulla protezione e promozione delle diversità delle espressioni culturali”. Alla presentazione ha preso parte anche la sottosegretaria per i Diritti e le Pari Opportunità, Donatella Linguiti. Al meeting, domani e sabato, si confronteranno Maria De Lourdes Jesus, giornalista Rai - Archivio Immigrazione; Vittoria Franco, presidente Commissione cultura del Senato, Paolo Peluffo, del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della presidenza del Consiglio dei Ministri; Danilo Giorni, responsabile del Dipartimento Editoria Rifondazione Comunista e coordinatore del Gruppo di lavoro sull’editoria sociale; Inger Etzler, di Sveriges Tv; Sue Caro, della Bbc; Carlo Romeo, Segretariato sociale Rai; Paolo Serventi Longhi, Segretario Generale Fnsi.

Il Cospe da tempo lavora al progetto Mediam’rad, che ha realizzato molte iniziative tra cui la ricerca sull’offerta multiculturale nella stampa, radio e tv italiana; l’archivio dei media multiculturali: database elettronico che raccoglie schede informative su tutte le iniziative editoriali consultabile su www.mmc2000.net; la piattaforma degli operatori dei media multiculturali che esprime la comune volontà dei cittadini immigrati impegnati nei media multiculturali di autorappresentarsi e di sviluppare canali informativi propri. In modo particolare i promotori della Piattaforma chiedono un riconoscimento formale del contributo sostanziale che i media multiculturali danno alla crescita civile e allo sviluppo di una società più inclusiva in Italia; il sito web www.mediamrad.it e la newsletter mensile; il dossier sull’accesso alla professione giornalistica per i cittadini non comunitari. Sempre nell’ambito del progetto sono state realizzate due edizioni del Premio Mostafà Souhir per la multiculturalità in Italia. Il Premio – primo nel suo genere in Italia - mira a valorizzare le professionalità dei cittadini immigrati si sono affermate in ambito mediatico e a far emergere le potenzialità di un settore estremamente vivace.

La Piattaforma chiede l’accesso alle frequenze, ai finanziamenti e alle opportunità di qualificazione professionale, di riconoscere la necessità di competenze interculturali in tutte le redazioni, di operare per un maggiore coinvolgimento dei giornalisti stranieri nella vita dei giornali delle radio e tv in cui operano al fine di garantire un pluralismo culturale nell’informazione e nei media, di operare un’ampia riflessione sul linguaggio utilizzato nelle notizie sull’immigrazione e i paesi di origine dell’immigrazione di ricorrere maggiormente ad esperti di origine immigrata per l’approfondimento di questioni specifiche inerenti l’immigrazione e i paesi di origine dell’immigrazione e promuovere così il cambiamento dell’immagine stereotipata degli immigrati in Italia, di rimuovere le barriere all’accesso alla professione giornalistica per i cittadini immigrati; di rimuovere il requisito della nazionalità italiana per l’assunzione della carica di direttore responsabile di testata.


© Copyright Redattore Sociale

martedì 19 giugno 2007

Il progetto OSI: una nuova rete informativa per chi si occupa di immigrazione

Presentato alla Consensus Conference 2006, il programma si iscrive in questa logica: permettere a chi si occupa di immigrati di raccogliere dei dati nella maniera più precisa possibile
Obiettivo principale del Progetto è stato quello di sperimentare un modello di rete informativa in grado di connettere le strutture sanitarie pubbliche e del privato sociale che erogano assistenza di primo livello agli immigrati irregolari.
Il coordinamento del Progetto è stato affidato all’Agenzia di Sanità Pubblica del Lazio e ha coinvolto diverse istituzioni e strutture sanitarie a livello nazionale, tra cui l’’AOU Policlinico di Palermo. Il dott. Mario Affronti, direttore del Servizio di Medicina delle migrazioni dell’AOU Policlinico ci racconta : “Nel 1987 quando abbiamo iniziato con il Santa Chiara, il pubblico non si occupava dell’immigrato, l’immigrato per le istituzioni era trasparente. Chi si occupava dell’immigrato era il volontariato. All’inizio non capivamo un bel nulla di quello che facevamo come medici. Era la cosiddetta sindrome di Salgari, poiché non conoscevamo bene il fenomeno ci basavamo su dei preconcetti e pensavamo di trovare delle malattie tropicali.
Il Santa Chiara ha avuto una convenzione con il Prof. Mansueto e con l’Università, così abbiamo organizzato una Consensus Conference sulla medicina delle migrazioni, un incontro fra tutti coloro che in Italia si occupano di immigrazione. La prima Consensus Conference si è tenuta nel 1990 , l’ultima qui a Palermo nel Aprile 2006.
Questa ha rappresentato un momento chiave della nostra esperienza, perché è stato il momento in cui i volontari hanno iniziato ad organizzarsi per avere dati più puliti e scientificamente corretti. Abbiamo proposto una cartella clinica per la gestione degli ambulatori che aderivano al Consensus Conference e abbiamo visto che i dati che ottenevamo erano piuttosto uniformi, sebbene ancora scientificamente imperfetti.
Il progetto Osi, presentato alla Consensus Conference 2006, si iscrive in questa logica: permettere a chi si occupa di immigrati di raccogliere dei dati nella maniera più precisa possibile. Il progetto ci ha visto lavorare per 2 anni, è stata creata una scheda che stiamo utilizzando, non senza difficoltà. La prima parte della scheda riguarda infatti le caratteristiche sociali, culturali, antropologiche dell’immigrato ed è un po’ complicato farla compilare in un ambulatorio, quando ci sono molte persone… proprio per questo dovremo riunirci a breve”.
Anna Laura Casano18/06/2007

lunedì 18 giugno 2007

Promozione sociale, integrazione e intercultura: l'esempio della cooperativa SINNOS

La nascita

Antonio Spinelli è nato il 17 gennaio del 1964. Nel 1990 ha fondato la Sinnos; da allora, fino alla sua morte avvenuta improvvisamente il 13 ottobre del 2005, non ha mai smesso di pensare e progettare idee e libri, con intelligenza, costanza e passione. Per quasi vent’anni ha lavorato con determinazione al nostro progetto editoriale, anima silenziosa e discreta della Sinnos. La sua cooperativa vuole ricordarlo con un progetto che rispecchi il suo impegno e la sua passione per la lettura e che abbia come obiettivo quello di far arrivare tanti libri per ragazzi in luoghi dove normalmente arrivano con difficoltà, per far germogliare il seme della lettura e per far sì che tutti possano esercitare il DIRITTO DI LEGGERE.

È stato quindi istituito un Fondo dedicato al Progetto per la Promozione alla Lettura Antonio Spinelli, Le Biblioteche di Antonio, che ogni anno finanzierà la costituzione o lo sviluppo di una biblioteca scolastica in zone particolarmente svantaggiate, attraverso la donazione di libri di editori indipendenti. Con il Fondo dedicato ogni anno la Sinnos acquisterà, da differenti editori indipendenti per ragazzi, i libri che verranno poi regalati alla Biblioteca.

La Cooperativa sociale SINNOS

E' stata costituita nel 1990 da un gruppo di detenuti della casa di reclusione di Rebibbia con la collaborazione di alcuni volontari esterni: lo scopo era quello di creare opportunità di lavoro per detenuti italiani e stranieri. Il fine ultimo della pena, nel nostro Paese è infatti quello di reinserire la persona che ha sbagliato all’interno della società.

Purtroppo non è facile "rientrare" e non tutti sono disponibili ad accogliere un cittadino detenuto o ex-detenuto. Cooperative come la nostra servono proprio a questo. La Sinnos, in questi 12 anni, è cresciuta e attualmente ha nel suo organico assunti 3 cittadini detenuti che usufruiscono di misure alternative alla detenzione e ha dato vita ad un’altra piccola cooperativa, la Zip Multimedia che ha assunto 2 cittadini detenuti uno in libertà condizionale e l’altro in semilibertà. Oltre a questo ha offerto opportunità di lavoro a soggetti "liberi": cinque donne, di cui una cittadina straniera. La prevalenza femminile della cooperativa, anche ai livelli dirigenziali, è un’altro elemento che ci piace sottolineare.

La Sinnos si è occupata fin da subito di editoria e servizi all’editoria (settore del quale oggi si occupa la Zip Multimedia), oltre che di formazione sull’informatica, la legislazione che riguarda gli immigrati e naturalmente l’editoria e l’imprenditorialità Cooperativa: in questo senso è stato appena approvato un progetto dal Ministero del Lavoro per la creazione di una cooperativa simile alla nostra, nella provincia di Bari.

La Sinnos Cooperativa sociale si sostiene prevalentemente con il proprio lavoro di service all’editoria e di progetti di formazione. Siamo orgogliosi di aver dato vita, partendo da un luogo generalmente rimosso e dimenticato come il carcere, ad una struttura lavorativa propositiva e impegnata alla creazione di una cultura dell’accettazione dell’altro, creando strumenti di conoscenza e di comprensione delle differenze.

La Cooperativa è diretta dal Consiglio di Amministrazione del quale è Presidente Ida Antonella Passarelli e vice presidente Elisa Battaglia, che potete contattare per posta elettronica agli indirizzi: mailto:%20dellapassarelli@sinnoseditrice.com e elisabattaglia@sinnoseditrice.com

Collana I MAPPAMONDI, libri bilingui scritti da immigrati

Autori immigrati scrivono per ragazzi italiani che hanno compagni di scuola stranieri. Ma anche per ragazzi stranieri che hanno compagni di scuola italiani. Libri ponte che collegano storie, lingue, tracce di più culture, e che uniscono diverse generazioni: anche gli adulti possono leggerli ed usarli.

formato 13x19, testo bilingue, illustrazioni in bianco e nero, Mappapagine, con informazioni sui negozi, le associazioni, le scuole e i luoghi di incontro della comunità trattata nel nostro Paese.

I MAPPAMONDI sono libri bilingui scritti da autori immigrati appartenenti alle diverse culture presenti in Italia e residenti nel nostro paese.

I MAPPAMONDI sono rivolti ai ragazzi italiani che hanno compagni di scuola stranieri e a tutti i banmbini e ragazzi immigrati, affinché possano crescere nel nostro paese senza dimenticare la propria cultura e lingua di origine.

I MAPPAMONDI, tutti con testo originale a fronte, trasformano gli immigrati in narratori che raccontano in prima persona di sé, della propria terra e dell'incontro fra culture.

I MAPPAMONDI sono libri ponte, contenenti storie, filastrocche, leggende, indirizzi e notizie sul paese d'origine dell'autore.

Hanno presentato i MAPPAMONDI:

Alessandro Bosi, docente di Sociologia, Università di Parma - Giovanni Campani, docente di Pedagogia Interculturale, Università di Firenze - Stefano Chiarini, giornalista - Duccio Demetrio, docente di Educazione degli Adulti, Università di Milano - Roberto Denti, fondatore della Libreria dei Ragazzi di Milano, scrittore, saggista - Don Luigi Di Liegro, direttore Caritas di Roma - Graziella Favaro, pedagogista, autrice e curatrice di pubblicazioni sulle politiche sociali e sull'immigrazione - Massimo Ghirelli, direttore Archivio dell'Immigrazione - Armando Gnisci, docente di Letterature Comparate, III Università di Roma - Giacoma Limentani, scrittrice - Maria Immacolata Macioti, docente di Sociologia, Università La Sapienza di Roma - Paolo Naso, direttore della rivista Confronti - Moni Ovadia, regista, attore, scrittore - Sandro Portelli, docente di Letteratura Angloamericana, Università La Sapienza di Roma - Alberto Sobrero, docente di Antropologia, Università La Sapienza di Roma - Silvana Sola, Libreria Mel-Giannino Stoppani

da Tullio De Mauro, presentazione a I MAPPAMONDI

Ormai numerose esperienze ci dicono che, la coesistenza di più etnie e lingue diverse in una medesima area pone problemi innanzitutto educativi, scolastici e che, se i paesi si attrezzano per affrontare e risolvere questi in positivo, si attenuano e perfino svaniscono i problemi di natura sociale, produttiva, giuridica, politica. Se invece le scuole si chiudono a riccio verso gli alloglotti, anctichi o nuovi che siano, prima o poi i problemi consecutivi, extrascolastici, esplodono con violenza. Il diritto all'uso e prima ancora il diritto al rispetto della propria lingua è un diritto umano primario e la sua soddisfazione nei fatti è una scomponente decisiva nello sviluppo intellettuale e affettivo della persona. È una mediocre, inefficiente amor di patria quello che ancor oggi, in qualche paese, porta taluni a credere che si debba cercare di celare e cancellare e magari calpestare l'alterità linguistica.

da Vinicio Ongini, Lo scaffare multiculturale, Mondadori, 1999

Il prefisso multi viene usato con molta facilità multietnico, multirazziale, multiculturale. E' diventato quasi un tic linguistico. Ma multi significa appunto molti e quindi allude alla pluralità di appartenenze, alle tante identità, ai bisogni differenziati, alle diverse lingue, ai ritmi, ai tempi diversi di cui è fatto il paesaggio della scuola multiculturale. Allora un criterio generale per allestire scaffali e biblioteche multiculturali a scuola può essere quello della varietà e della pluralità degli strumenti di lettura. I testi e i materiali scelti devono rappresentare un ampio e ricco ventaglio di opportunità, devono poter rispondere alle storie, curiosità e alle domande dei ragazzi immigrati e dei ragazzi italiani nelle diverse fasce d'età. Una scoietà con tante culture e tanti linguaggi deve avere una scuola con tanti strumenti. Un altro criterio è di favorire testi e materiali delle culture e delle lingue d'origine (tradotti in italiano o col testo a fronte e nelle lingue di appartenenza). Il concetto di "tutela della cultura e della lingua d'origine" è sottolineato con chiarezza nella legge sull'immigrazione, ma anche nei documenti internazionali relativi alle biblioteche.

Per scaricare il catalogo cliccare qui

Per leggere il comunicato stampa sull'ultima iniziativa editoriale della SINNOS, Roma TuttoMondo, la prima guida multietnica della capitale, cliccare qui

Intercultura e Didattica della lingua italiana come seconda: stato dell'arte



di Nunzia Latini *

L'insegnamento della lingua italiana come seconda è diventata una nicchia di formazione didattica e linguistica che ha un suo mercato in crescita costante ormai quasi da Trent'anni, grazie al fenomeno immigratorio che ha incrementato la domanda di formazione di italiano come L2 a diversi livelli e ambienti. Questo ha portato la conseguente e necessaria riflessione sulla formazione dei formatori, strutturato e centrato soprattutto in un sistema universitario. Al momento non esiste un albo degli insegnanti di italiano L2, per l'insegnamento del quale, ad oggi e in pratica, non servirebbe nessun titolo. Da un lato ci sono ancora i practitioners, dall'altro coloro che si formano.Da un lato situazioni tampone, dall'altro strategie glottodidattiche specifiche.I primi sono i più numerosi e ancora i più utilizzati in soluzioni mirate a superare i problemi che si presentano, insegnando all'immigrato a cavarsela in un italiano che permetta di sopravvivere; i secondi a padroneggiare realmente la lingua per esprimersi anche ad un primo livello. Nella maggioranza dei casi i docenti che insegnano italiano L2 sono persone che ritengono che per il fatto di essere magari di lettere e madrelingua italiani, sono automaticamente insegnanti di italiano per stranieri. In altri casi, come quelli legati al volontariato, spesso chi insegna italiano L2 è consapevole delle proprie carenze e della scarsa preparazione, ma l'urgenza è tale che in buona fede si ritiene più sensato agire che formarsi.Qui ci si trova di fronte ad un secondo problema: c'è la sensazione che, trattandosi di insegnanti madrelingua italiani, entusiasti, volontari, socialmente impegnati, si sentono trasformati in altrettanto efficaci insegnanti di italiano per stranieri con una semplice pillola glottodidattica. Può darsi. Rispondere però, che proprio la chimera di un posto di lavoro in questo settore, la frammentaria e caleidoscopica realtà di gruppo-classe, l'inesistente classe di concorso, l'ascoltare dopo pochissime ore la produzione orale in italiano dei tuoi studenti e infine, le complesse e interessantissime variabili etniche con cui vieni in contatto, tutto questo, automaticamente e necessariamente, vuole una preparazione sempre più profonda e importante.Infine, chi organizza l'insegnamento dell'italiano L2 raramente si cura della formazione dei docenti, tranne in pochi casi anche privati.Il problema è che spesso, l'insegnamento dell'italiano L2 viene visto come un aspetto del più vasto problema dell'immigrazione e dell'inserimento degli allievi stranieri nelle scuole, la qual cosa può anche essere corretta ma confonde la natura di un corso che mira a creare persone professionalmente adatte ai problemi dell'accoglienza (che è una professionalità fondamentale) con quella di corsi finalizzati a creare insegnanti di italiano L2: si confonde una dimensione pedagogica o andragogica con una dimensione glottodidattica e/o interculturale, dimensioni che sul piano epistemologico e operativo sono nettamente distinte. Gli insegnanti di italiano L2 sono solo parzialmente consapevoli della necessità di essere formati sul piano glottodidattico e del fatto che questa formazione sia diversa rispetto a quella relativa all'immigrazione e all'accoglienza. Risulta quindi necessario stimolare i vari attori coinvolti nella formazione di italiano L2 all'idea che la formazione e l'aggiornamento sono essenziali quanto i corsi di italiano stessi, affinché si abbia un esito corrispondente allo sforzo profuso. Si tratta soprattutto di avere chiaro che la formazione glottodidattica ha solo in parte a che vedere con la formazione alla pedagogia interculturale e poco a che vedere con la formazione relativa ai problemi socioculturali dell'immigrazione, del loro inserimento e della loro accoglienza. Le prime generazioni di immigrati adulti, socialmente inseriti, richiamano pubblicamente e attraverso i media, alla reale convivenza civile e non all'integrazione, con riferimenti ai diritti fondamentali dell'uomo, con cui sono articolate tutte le Dichiarazioni, i Trattati le Convenzioni a livello mondiale. Noi, l'abbiamo sempre detto e fatto in assoluto rispetto. Attesa da un po' di tempo, si può dare il benvenuto all' ADMIS, Ass. dei Diplomati in Master di Italiano a Stranieri, con l'augurio che possa far crescere la richiesta di qualità professionale; essere una opportuna proposta di risorse umane utili per i contesti sempre più multilinguistici, soprattutto tra il 2010 e il 2020, quando le percentuali di presenza delle varie etnie in Italia porranno veramente il problema; proporsi come utile riferimento orientante a chi si avvicina a questa ancora instabile e incerta professione; come fondamentale attività collaborativa e propulsiva attraverso le ITC tra le istituzioni associate; come pronta risposta e attenzione verso gli stranieri coinquilini in una Italia che risponde in lingua italiana; come immagine Interna verso gli Esteri che trainano verso il Welfare! Ma c'è molto ancora da fare e aspettare.

febbraio 2007

* Nunzia Latini

sabato 16 giugno 2007

Cuori migranti

Comunicato stampa

Dopo Sguardi e parole migranti e Sapori incontri fragranze, il Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste (Cacit) si ripropone come editore con Cuori migranti.
In questa raccolta di racconti e poesie curata da Ingrid Stratti e Lorenzo Dugulin, autori migranti ed autoctoni si confrontano sul tema dell'amore nel tentativo di rimuovere i tabù e i pregiudizi che circondano le coppie miste. Negli ultimi anni la società italiana ha subito numerosi cambiamenti non solo sul piano economico ma anche e soprattutto sul piano sociale. Se del riconoscimento delle coppie di fatto si dibatte, l'esistenza delle "coppie miste" passa sotto silenzio a causa di un razzismo latente che impedisce a tutti noi di sentirci noi stessi nell'esprimere sentimenti affettivi nei confronti di qualcuno che viene considerato "altro"/"estraneo" o "straniero". "Invece di essere vissuto come un evento naturale della vita l'incontro dell'amore e della migrazione - sottolineano i curatori - provoca sentimenti contrastanti e confusi. Raccontare e raccontarsi sono i migliori grimaldelli per forzare il tabù e l'alone di sospetto che circondano il tema dell'amore e della migrazione. Attraverso il dialogo reale e concreto tra "autoctoni" e "migranti", che narrano e si narrano in questo volume, abbiamo cercato di sconfiggere, almeno in parte, i pregiudizi e gli stereotipi che generano un'insopportabile stigmatizzazione degli Altri."
Il volume Cuori migranti si compone di contributi in prosa e poesia di venticinque autori ed è edito dal Cacit con il contributo della Provincia di Trieste. Il Cacit è la prima associazione di volontariato gestita da immigrati e da italiani ad essere diventata in Italia casa editrice, avendo già pubblicato le due antologie Sguardi e parole migranti (2005, "Premio Multietnicità 2006") e Sapori incontri fragranze (2006).

http://cuorimigranti.splinder.com/


Cuori migranti (a cura di Ingrid Stratti e Lorenzo Dugulin)
Cacit Editore, Trieste, 2007, p. 144
ISBN-10: 88-902301-9-3 ; ISBN-13: 978-88-902301-9-6

Per ulteriori informazioni: cel. 335 5621208
email: coord-immig-trieste@libero.it

I-solitudine

il logo dei ragazzi del ritaexpress
A volte succedono cose che ti lasciano un po' perplesso, perchè non credi in quella che io chiamo la Magia della vita.
Anche quando quelle cose sembrano in apparenza connotate negativamente, c'è sempre un insegnamento che la vita ti vuol dare. La vita è Maestra in questo!

Qualche settimana fa, ho conosciuto una persona che è nata e cresciuta a Lampedusa. Un'isola nell'Isola, si definisce lei stessa in una sua poesia.

Caterina scrive molto bene: mi piacciono molto le sue "cose", poesie e racconti.

Ieri, è avvenuto un episodio che rientra un pò in questo incontro con Caterina e con Lampedusa, isola su cui non sono mai stata.

Io insegno l’italiano agli stranieri e ieri una mia nuova studentessa, guardando la cartina dell’Italia raffigurata su un libro di testo che stavamo consultando, esclama:

- Ma non si vede l’isola di Lampedusa!

In effetti - e non me n’ero mai accorta prima, io che quel libro lo uso già da diverso tempo - guardando meglio, Lampedusa non c’era proprio! Probabilmente, è troppo in basso per stare dentro la pagina!
Non so: quest’episodio mi ha colpito in modo particolare.
Scriverò alla casa editrice per farlo notare, senza polemizzare naturalmente.
Ma certe cose sono sintomo a volte della scarsa cura che mettiamo nel fare le cose. Il rispetto si impara anche rallentando rispetto ai ritmi frenetici che adottiamo normalmente. E, cosa questa ancora più preziosa, per me che mi occupo di intercultura ma per tutti in generale, abbracciando e accogliendo dentro di noi anche lo sguardo dei cosiddetti altri, che è sempre un po’ meno sporco e indifferente del nostro.

Un caro saluto a tutti.

Tindara

Lingua italiana: trasmissione Permesso di Soggiorno (RAI Radio 1)

La puntata della trasmissione Permesso di Soggiorno di RAI RADIO 1 dedicata alla lingua italiana, sulla rubrica ITINERARI di Carlotta Urbani

La puntata di ogni venerdì è dedicata all'Italia che cambia: come comuni, province e regioni stanno interpretando il fenomeno migratorio. Per segnalare iniziative e progetti scrivete a permessodisoggiorno@rai.it

Quanto è importante la conoscenza della lingua italiana? Secondo il rapporto 2006 del Censis oltre l'82% degli immigrati crede che la conoscenza dell'italiano sia importante per stabilire rapporti con gli italiani, per il 78,6% invece è utile per accedere ai servizi pubblici e per l'86,5% è necessaria per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Tra le nuove iniziative il corso di italiano per donne straniere in Moschea, il progetto voluto dal ministro Ferrero e dal Centro islamico culturale d'Italia, e il test on line per misurare la conoscenza della lingua italiana realizzato dalla Società Dante Alighieri.
Eks&tra
SocietàDanteAlighieri
Per ascoltare la trasmissione cliccare qui (è necessario il programma Real Player; per scaricarlo gratuitamente, cliccare qui)

venerdì 15 giugno 2007

Tratta di esseri umani, l'Europa chiama a raccolta i Governi

Fonte: http://www.redattoresociale.it/


Per contrastare la tratta è necessario che venga adottata dal maggior numero di paesi possibile la Convenzione del Consiglio d'Europa, mantenendo alta la pressione sugli stati. A Bruxelles serie di incontri sotto il patronio dell'Alde BRUXELLES – Per contrastare in maniera efficace la tratta di esseri umani è necessario che venga adottata dal maggior numero di paesi possibile la Convenzione del Consiglio d’Europa (che tra le altre cose dà alle donne vittime trenta giorni di tempo per decidere se collaborare al processo contro i trafficanti), mantenendo contemporaneamente la pressione sui governi affinché implementino fino in fondo le norme esistenti e facendo in modo che queste vengano il più possibile armonizzate a livello europeo.
Sono queste le principali conclusioni della serie di incontri sul tema del trafficking che si sono svolti a Bruxelles tra martedì e giovedì, presso la sede del Parlamento europeo (PE).
Questi lavori – tenuti sotto il patrocinio dell’ALDE, gruppo dei liberali al PE e grazie all’ospitalità del suo membro Patrizia Toia – hanno visto il coinvolgimento dei responsabili di “Tratta No!”, iniziativa italiana che partecipa al progetto cofinanziato dall’Ue “Netwroking Against Human Trafficking” assieme a partner greci, lituani, svedesi.

Lo scopo del progetto biennale è stato quello di promuovere campagne di informazione ed educazione, come fatto efficacemente in Italia da “Tratta No!”, che ha promosso delle linee guida per operatori dei media con la collaborazione dell’Ordine dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa, scambiare buona prassi (e anche qui l’Italia ha dimostrato di avere una legislazione all’avanguardia, che permette alle vittime di avere di avere protezione anche senza denunciare il trafficante), e fare pressione politica nelle varie sedi decisionali.
In particolare nella giornata di martedì, è stata lanciata la raccolta di firme per una dichiarazione scritta del PE che metta formalmente il problema sul tavolo politico dell’UE. Promossa dalle parlamentari Karin Riis-Jorgensen (Danimarca) e Silvia Ciornei (Romania), la dichiarazione ha già raccolto quasi metà delle firme necessarie per essere adottata.

Il traffico di esseri umani, per scopi quali lo sfruttamento sessuale, il lavoro in condizioni di schiavitù, l’espianto di organi, è un affare che è secondo solo al traffico di armi, facendo fruttare alla criminalità organizzata oltre 5 miliardi di sterline all’anno. Si tratta di un fenomeno di cui si è ripresa coscienza soltanto una quindicina di anni fa, credendolo relegato al passato, ma che invece è in costante aumento, alimentato dal crescente gap tra parti povere e ricche del mondo.
In particolare, sottolinea Cioronei, sono sempre di più i bambini a essere vittime dei traffici. Le vittime al mondo sono stimate dall’Onu in un numero tra 600 mila e 4 milioni. Tra questi i bambini sono il 50%. Inoltre l’Ilo stima che l’85% delle vittime siano donne, per lo più sfruttate sessualmente. Le persone vendute in Europa occidentale sono 500 mila all’anno (fonte Iom). Per l’Italia, i dati delle chiamate giunte dal 2000 al numero verde antitratta sono state 500 mila, 45 mila le persone che hanno ricevuto aiuto, e 12 mila quelle inserite in programmi di recupero.
Cioronei aggiunge che “gli Stati membri dell’UE hanno differenti legislazioni, e questo permette ai trafficanti di inserirsi nelle pieghe del sistema. Per questo la Commissione europea deve avere il supporto degli Stati membri per essere messa in grado di progettare leggi coerenti ed efficaci a livello europeo per contrastare questa forma di schiavitù”.

Agli Stati membri viene poi chiesto di implementare la direttiva 2004/81 sui permessi di residenza per le vittime di tratta che collaborano con le autorità nel perseguire le gang criminali di trafficanti. Un contributo in questo senso è la direttiva proposta 15 giorni fa dalla Commissione, per voce di Frattini, che criminalizza i datori di lavoro che impiegano manodopera clandestina.
Per quanto riguarda l’educazione dei media e dei professionisti della comunicazione, è forte l’esigenza di non propagare stereotipi sul trafficking, associandolo grossolanamente con la prostituzione, e dimenticando il resto del dramma. “Tratta NO!” è riuscita, tramite un sistema a rete, a sensibilizzare in Italia 36 mila persone, tramite contatti con gli opinion leader e gli operatori. A settembre è previsto un workshop per i giornalisti, per approfondire ancora di più questi temi.
Un’altra iniziativa per la sensibilizzazione è la mostra itinerante “Trafficking”, con foto sul fenomeno e testimonianze di vittime. E’ anche stato redatto un libro che raccoglie questi racconti drammatici. (matteo manzonetto)

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giovedì 14 giugno 2007

Le "cinque menti del futuro" di Howard Gardner

Fonte: www.ildueblog.it/?p=117#more-117










E’ uscito a gennaio... E’ il nuovo libro di Howard GardnerFive minds for the future” in cui il professore di Harvard suggerisce i cinque approcci mentali decisivi per il nuovo millennio. Sono disciplina, sintesi, creatitività, rispetto ed etica.

Prosegue l’articolo pubblicato su Repubblica 1l 5 aprile 2007:

Nel libro - che da settimane occupa pagine e pagine sulla stampa internazionale e che le più importanti riviste di settore raccomandano ai manager come una delle letture must del 2007 - Gardner sostiene che il 21simo secolo appartiene alle persone che sono in grado di pensare in un certo modo e che chi non è in grado di sviluppare queste capacità è destinato a soccombere - professionalmente e socialmente - in un mondo sovrabbondante di informazioni, dove per fare la scelta giusta occorre farsi guidare da capacità di sintesi o da intuito ben allenato.
Per “sopravvivere”, secondo la teoria di Gardner, occorre essere rigorosi e creativi allo stesso tempo: il primo dei cinque approcci mentali presi in esame dal professore americano è quello della mente disciplinata, la più classica se vogliamo, quella che accoglie i vari input che riceve nel tempo e poi li indirizza e mette in pratica in un campo particolare, che sarà quello dove eccelle. Segue la mente sintetica, essenziale nell’epoca di Internet e dei canali all news: chi ha questo tipo di impostazione raccoglie le informazioni, le seleziona e le sintetizza in maniera originale. La mente creativa è invece quella che coltiva nuove idee e si pone domande insolite, arrivando a risposte inattese.

Seguono poi due approcci che Gardner definisce “non opzioni ma necessità” oggi: la mente rispettosa - il modo di pensare di chi accetta le differenze, si sforza di capire gli altri e di collaborare - e quella etica, quella che valuta i bisogni e i desideri della società globale, cercando di spingersi oltre gli interessi personali. “Sono certo che ci sono altri approcci che è interessante studiare - spiega da Harvard lo studioso - ma questi sono quelli su cui mi pare occorra mettere più enfasi oggi”.
Il motivo, Gardner lo scrive nelle pagine del suo libro: “Il mondo del futuro - con i suoi motori di ricerca, robot e altre potenzialità informatiche - ci chiederà di avere capacità che finora sono state solo opzionali: per rispondere a queste richieste occorre che cominciamo a coltivare sin da ora queste capacità“. Messaggio rivolto in particolare a insegnanti e genitori.
Per approfondimenti (in inglese): qui un articolo di Mike Baker, educational corrispondent della BBC. Qui l’audio di una lecture di Howard Gardner, qui il testo della lecture, qui le slides della presentazione.


Per un approfondimento dell'applicazione della teoria sulle intelligenze multiple di Gardner nell'ambito della didattica delle lingue e dell'italiano come LS e 2, consultare il bollettino del Laboratorio Itals dell' Università di Venezia qui.
Per leggere il comunicato stampa su Reggio Emilia, secondo Gardner, esempio di "comunità etica" in Italia, cliccare qui.



Prima la pace e poi il benessere



"Qualunque cosa facciate, ovunque andiate in questo mondo, ricordatevi che la pace è in cima alla vostra lista interiore. Le altre liste sono influenzate dalla società e dalle mode, e cambiano. Le liste interiori restano sempre le stesse, uguali a quelle che avevate da bambini. Parliamo in modo diverso, abbiamo perfino lingue diverse, ma i veri sentimenti che provengono dal profondo del nostro cuore, non sono così diversi. Se vivete in questo mondo, piccole cose come avere pace nella vostra esistenza, diventano incredibilmente importanti. Questa è la mia opinione. Questo è il mio messaggio. Non posso fare a meno di pensare che siamo tutti motivati dalla stessa aspirazione. Forse il vostro sapere, ciò che avete ottenuto nella vostra vita, sono ad un livello tale che per un contadino indiano risulterebbero addirittura inimmaginabili. Siamo così preoccupati dalle cose che ci differenziano che ci siamo dimenticati le nostre affinità. Mi piacciono le differenze, ma mi piacciono anche le similitudini. Le abbiamo tutti: c’è una lampada che risplende nel cuore di ogni singolo essere umano. E in questa grande e buia ignoranza, dove le persone combattono contro i propri simili, quella lampada deve risplendere il più possibile. Ciò che voglio dire a tutti è che se volete trovare la soluzione, dovete guardate dentro di voi. Cercate le cose che desiderate, ma guardate anche dentro di voi. La gente recepisce l’importanza di questo messaggio, e posso capire il perché: a volte ci dimentichiamo di quelle piccole e semplici cose. Mentre brancoliamo nel buio, forse la soluzione è sempre stata con noi. Aprendo un po’ questo cuore, lasciando filtrare la luce di quella lampada, non inciamperemo negli ostacoli esterni. È sempre stato semplice. La pace, il benessere. Il richiamo che sentite dentro di voi. Lasciate che si realizzi. La pace non è una finzione. La pace è quel fiore che ogni essere umano ha con sé. Questo deve essere la pace."

Maharaji

martedì 5 giugno 2007

Tratta: permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, le associazioni plaudono alla circolare di Amato



L'Art. 18? ''Utilizzato a macchia di leopardo''. L'iniziativa del ministro dell’Interno mira a introdurre un'omogenea applicazione, da parte delle questure, su tutto il territorio nazionale


ROMA - "Nonostante l’estrema efficacia di questo strumento, che tra il 2000 e il 2006 ha consentito l’accesso al programma di assistenza a 11.226 persone vittime di tratta attraverso i progetti realizzati da enti no profit ed enti pubblici coordinati dal Dipartimento per i Diritti e le Pari opportunità e da una apposita Commissione interministeriale, l’articolo 18 è stato sotto utilizzato, soprattutto in maniera disomogenea, a macchia di leopardo”. Per questo l'Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), l'associazione On the Road, le Acli, il Cnca, Save the Children Italia e il Gruppo Abele hanno accolto con apprezzamento la circolare recentemente firmata dal ministro Amato relativa al permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, ma si augurano sia solo il primo passo per rendere sempre più sinergica e incisiva l’azione di tutela delle vittime della tratta. La circolare è infatti intervenuta per introdurre un'omogenea applicazione, da parte delle questure, dell’art. 18 (Dlgs. 286/1998) che prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno alle persone vittime di violenza e grave sfruttamento e la loro partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale.

"Le questure - spiega l'Asgi - in questi anni non hanno interpretato e applicato in maniera univoca la norma e soprattutto hanno mostrato una grande resistenza a concedere il permesso di soggiorno quando la vittima non era in condizione di denunciare il proprio sfruttatore. Proprio qui invece risiede uno dei punti di forza dell’art. 18: prevede, in maniera esplicita, che anche la persona che non sia in condizione di collaborare, ma che comunque sia stata vittima di violenza e grave sfruttamento, abbia diritto al permesso di soggiorno e al programma di assistenza". Accade molto spesso, ad esempio, che le vittime temano ritorsioni dirette o verso i familiari da parte dell’organizzazione criminale. "Il fatto di non costringerle alla denuncia dei propri sfruttatori - aggiunge l'Asgi – porta le vittime a fidarsi e ad affidarsi, superando la diffidenza verso gli altri e riconquistando la fiducia in se stesse. In questo modo non solo vengono tutelati i loro diritti, ma le forze dell’ordine possono utilizzare, per le indagini, le informazioni che le vittime forniscono tramite le associazioni. Nelle questure in cui l’applicazione dell’art. 18 ha funzionato appieno, ha dato eccellenti risultati sia nella protezione delle vittime che nel contrasto alla criminalità".

Quello italiano, infatti, è ritenuto a livello europeo e internazionale il più avanzato sistema di tutela delle vittime della tratta degli esseri umani e delle nuove forme di schiavitù (ha ispirato recenti disposizioni a livello comunitario e la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla tratta del 2005). L'articolo 18, sottolinea ancora l'Agi, non è infatti uno strumento premiale, come nel caso dei pentiti: le persone vittime di tratta sono vittime e non complici della criminalità che le sfrutta; "condizionare la tutela e il permesso di soggiorno alla loro collaborazione – precisa - è non solo illegittimo ma anche inefficace, semplicemente perché le vittime che hanno troppo paura per se stesse o per la propria famiglia comunque (soprattutto all’inizio) non sarebbero disponibili a denunciare". Non solo: secondo l'Asgi occorre che vengano snellite le procedure per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno, che si risolvano le problematiche legate ai provvedimenti di espulsione e che vengano date rapidamente indicazioni sull’iscrizione anagrafica ai Comuni delle persone vittime di tratta appartenenti all’Unione Europea. E, ancora superare i pregiudizi che portano non solo la cittadinanza, ma anche gli operatori delle forze dell’ordine, a vedere “la prostituta”, “l’immigrato clandestino” e non la vittima. "Nonostante il grande lavoro fatto in Italia in questi anni – conclude l’Asgi - solo una minima parte delle vittime di tratta riesce a sottrarsi al circuito dello sfruttamento. Per questo è cruciale che operatori sociali del no profit e del pubblico, forze dell’ordine e magistratura lavorino insieme, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, allo scopo comune della tutela effettiva delle vittime". (en)

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Al Parlamento Europeo dovrebbero sedere 16 membri rom



''In un mondo ideale'': è invece estremamente scarsa la rappresentanza politica nell'Ue di rom e sinti, dice il nuovo rapporto di Enar e di Erio. La prima barriera? I partiti politici

BRUXELLES - "In un mondo ideale, il mondo politico dovrebbe riflettere fedelmente la propria base di rappresentanza. Se così fosse, i dieci milioni di rom presenti in europa dovrebbero godere di una rappresentanza del 2% negli organi decisionali. Ad esempio, al Parlamento Europeo dovrebbero sedere 16 membri rom, ma è una cifra molto lontana dalla realtà”: questo brano, tratto dal 'fact sheet' congiunto di Enar (European Network Against Racism) e di Erio (European Roma Information Office) “Partecipazione politica di rom, nomadi, e sinti”, rende bene l'idea di quanto queste comunità subiscano una spiccata sottorappresentazione, nonostante i regimi democratici vigenti ovunque in Europa. Rom, sinti e nomadi costituiscono la minoranza etnica più numerosa nel Vecchio Continente, in particolare nei paesi dell’Europa centrale e orientale. Dappertutto però il loro livello di rappresentanza è basso.

Le cause di ciò sono molteplici, e inserite in un circolo vizioso costituito da pregiudizi da parte degli organi politici (partiti e istituzioni), povertà e ignoranza da parte di queste minoranze. La partecipazione alle elezioni per queste comunità è molto bassa, indicando un grado elevato di disillusione per ciò che il potere politico può fare per loro. D’altra parte però molti sistemi elettorali alzano verso queste minoranze barriere insormontabili, richiedendo ad esempio una localizzazione geografica per essere iscritti nei registri degli elettori. A questo si deve aggiungere che spesso i membri di questi gruppi etnici sono sprovvisti di uno status civico: molti di loro non hanno nemmeno una carta d’identità, e atti come matrimoni o nascite non sempre vengono fatti registrare. Ma anche nel caso si abbiano questi documenti, capita che non vengano riconosciuti come validi passando da uno Stato all’altro, fatto frequente nel nomadismo.

Venendo al dettaglio dei meccanismi di esclusione, i partiti politici sono la prima barriera individuata nel rapporto all’inclusione dei rom nella vita politica. C’è una generale riluttanza da parte dei partiti più importanti nel fare proprie le istanze di rom, nomadi e sinti, di candidarli nelle proprie liste, o comunque di dimostrare vicinanza a questi gruppi, dato che non sono generalmente ben visti dall’opinione della massa. E quando un rom ce la fa a farsi candidare, ciò avviene sempre in posizioni di lista che lo rendono ineleggibile. Nemmeno la creazione di partiti politici su base etnica aiuta, a causa della scarsa attenzione che i nomadi stessi riservano alla vita politica. Ad esempio in Bulgaria, il paese con la comunità più numerosa, nel 2005 il partito Euroma non ha piazzato nemmeno un eletto. Vi chiaramente sono eccezioni, come le due europarlamentari rom Viktoria Mohacsi e Livia Jaroka, ma nella maggior parte dei casi sui tratta di successi alle elezioni locali. Questo è un ambito più vicino agli interessi diretti di queste minoranze, e a una maggior partecipazione si lega un maggior successo.

Nel documento di Erio e Enar vengono individuate alcune buone pratiche per contrastare questo stato di cose, come lo sono ad esempio gli organismi di autogoverno per i rom ungheresi. Nonostante le critiche a questa iniziativa (mancanza di poteri effettivi, di fondi, di competenze, esclusione dalla vita politica dominante), questi organismi si sono rivelati un’ottima palestra per promuovere la coscienza di comunità e dei propri diritti, incoraggiando una partecipazione politica che può fuoriuscire dai limiti dell’iniziativa. In questo processo, il ruolo delle ONG e le risorse offerte dal loro lavoro vengono visti come preziosissimi, ad esempio incentivando al partecipazione al voto o le candidature. Incontri e tavole rotonde tra politici, amministratori e rappresentanti di questi gruppi offrono un’ulteriore piattaforma di confronto e di partecipazione. Alcuni partiti si sono poi impegnati a includere nei loro ranghi delle minoranze.

Ma tutto questo non basta. A discapito della complessità del problema e del circolo vizioso che lo alimenta, fondamentale resta – sottolineano Erio e Enar – la partecipazione attiva e diffusa i rom, sinti e nomadi alla vita politica. Ai governi e a i partiti invece si chiede di attuare strategie che creino un terreno fertile per un loro coinvolgimento effettivo, cominciando anche ad assumere rom nelle amministrazioni pubbliche, a partire dal livello locale. Un occhio di riguardo viene richiesto poi per l’inclusione di frange marginalizzate nell’emarginazione, come le donne e i giovani. (matteo manzonetto)

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lunedì 4 giugno 2007

Midhina aveva un sogno e il suo sogno era la luna: 2 racconti di Caterina Famularo

Cuori clandestini di Caterina Famularo

[con questo racconto, Caterina Famularo ha vinto il 3° Premio della sezione Racconti del PREMIO INTERNAZIONALE "VOCI DEL SANTA ISABEL" dedicato al Mare, e il 1° Premio assoluto al CONCORSO INTERNAZIONALE DI NARRATIVA "SCIASCIA" bandito dall'Accademia Nazionale di Lettere, Arti e Scienze "Ruggero II di Sicilia". Il suo racconto è stato pubblicato anche sul sito http://www.leluminarie.it/?p=1463]


Lampedusa,
ultima figlia di un’Italia
che, spesso, ti dimentica
e figlia illegittima di un’Africa
alla quale assomigli.
I tuoi occhi hanno rivisto
gli occhi dei tuoi fratelli africani
e li hanno riconosciuti…
La tua terra è sempre terra di passaggio
per uomini senza patria.
Siamo tutti clandestini…


Non c’è attimo in cui l’Africa non si ricordi di noi.
Primavera. Estate. Autunno. Inverno. Non c’è stagione dell’anno in cui non sia possibile avvertire, in ogni cosa, visibile o invisibile, questa simbiosi d’amore e d’affinità tra terre vicine ma lontane, consanguinee ma estranee: una meravigliosa dìade di complicità tra istinto materno e bisogno di protezione, tra lontananza consapevole e distacco indesiderato.
Un’isola è come un bambino abbandonato in un’immensa culla d’acqua. Un’isola è di tutti e non è di nessuno: è di chi la scopre, di chi l’adotta o la vizia; ogni intenzione, però, è sempre passeggera e, alla fine, come tutti i bambini abbandonati, anche l’isola finisce nell’orfanotrofio della solitudine. L’assenza d’ogni madre-terra è incolmabile e insostituibile, ma la sua presenza, pur illusoria e distante, è percepibile ovunque.
Lampedusa è la figlia diletta dell’Africa: è l’orgoglio imbarazzante e sofferente della madre che ne riconosce la straordinaria somiglianza ma non può fare altro che amarla segretamente e riempirla di doni.
Non c’è attimo in cui l’Africa non si ricordi di noi e non occorre che sia festa per aprire magicamente lo scrigno della natura e regalarci il prezioso oro del suo sole, che luccica eternamente tra il topazio e il turchese del mare.
E quando l’oro diventa opaco, come semplice pietra ambrata che si confonde con la terra selvaggia, l’Africa si rammarica di non poterci donare il suo intenso calore solare e umano. Vanitose e capricciose, le perle di nuvole n’approfittano: fingendo di corteggiare il sole, adornano il cielo di una fitta collana, fino a sedurre anche i più timidi raggi di luce. Il cielo cupo diventa lo sguardo triste e offuscato dell’Africa e il vento incessante, tipico di questi giorni soffocanti è il suo respiro affannoso e amoroso che si appiccica sulla pelle, quasi a voler consolare la nostra lontananza e a compensare la carenza d’affetto e contatto. Lo scirocco è il canto malinconico dell’animo africano, che si diffonde per tutta l’isola, accompagnato da violini striduli di voci ed eco: filastrocche quotidiane di pescatori, stanchi, che rientrano nel porto, e versi insistenti di gabbiani che intrecciano danze sul mare, sfiorando l’acqua, quasi invitandola a ballare con il vento.
Era un tardo pomeriggio di scirocco e anche la mia anima vibrava, come una canna che si piega al primo vento della sera. La primavera dipingeva il quadro pittoresco del cielo con i pastelli dei fiori di pesco, di timo, delle margherite dorate, dei cardi spinosi e dei mandorli ancora acerbi, sfumando o contrastando le infinite tonalità del tramonto. Il mare era increspato, come cartapesta modellata disordinatamente.
La sabbia si alzava, lentamente, depositandosi sulle palpebre e imprimendo sul cuore l’ennesimo sigillo d’amore e d’attenzione dell’Africa.
Quel tardo pomeriggio, la clessidra del tempo era veloce, troppo veloce, ed io avrei voluto capovolgerla e riempirla di tutta quella sabbia che mi circondava: almeno per rivivere le piccole gioie della vita o per cancellare i grandi dolori, per recuperare tutto ciò che avevo perduto. Ma la clessidra del tempo non si può rovesciare e noi non possiamo fare altro che osservare il flusso dei granelli di sabbia che scende, ora lentamente, quando l’attesa ci sembra eterna, ora velocemente, quando vorremmo che il tempo si fermasse. E il tempo, quel tardo pomeriggio, sembrava essersi fermato proprio su quella spiaggia, dove mi recavo, spesso, a parlare con il mare, con il vento, con Dio, per poi ricevere solo risposte sibilline dalle conchiglie, raccolte e appoggiate ad un orecchio.
Intanto, i ricordi diventavano sempre più insistenti, come quelle onde impetuose che arrivavano, improvvisamente, sulla riva e poi si asciugavano, ritornando a mescolarsi con il resto del mare e lasciandoci l’illusione di averci portato, anche per un attimo, qualcosa che ci apparteneva.
Onda dopo onda. Acqua su acqua. L’illusione diventava delusione: tutto ciò che è perduto non ritorna e tutto finisce tra i fondali dei rimpianti.
Anche le onde della ragione s’infrangevano contro lo scoglio testardo del cuore, che le rifiutava e le rimandava indietro.
Era il tardo pomeriggio in cui il cuore e la ragione lottavano e tra i due nemici non poteva certo esserci pace: solo il dubbio è una conveniente e fugace tregua ma, prima o poi, l’uno avrebbe sconfitto l’altro, inevitabilmente. Non sapevo cosa desiderare: che vincesse il cuore o la ragione; forse il cuore per continuare ad amare, forse la ragione per smettere di soffrire.
Ogni mio sguardo costruiva una contemplazione o una meditazione, e le mie osservazioni erano come ragni che tessevano lunghe ed intense tele d’emozioni, per intrappolare, come insetti, altre illusioni: ma erano speranze o rassegnazione? Non volevo che quello fosse il tardo pomeriggio della rassegnazione, e il vento caldo dello scirocco mi suggeriva speranze.
Il mare era sempre increspato, come cartapesta disegnata disordinatamente ma, questa volta, la mano invisibile di un artista aveva creato una distrazione al mio sguardo e ai miei pensieri: una microscopica barca, bianca e azzurra, con una striscia centrale gialla, rossa e verde e con una strana incisione, in lingua araba, sul legno invecchiato, si dondolava sull’altalena dell’acqua, ora affiorando ora scomparendo sotto le lunghe onde.
Anche il mio cuore cominciava a sobbalzare, per l’urto della paura e della curiosità, soprattutto quando l’ultima onda aveva scaraventato, con impeto, la barca sulla riva, a pochi passi dai miei occhi increduli.
Qualcosa respirava. Qualcosa sospirava. Qualcosa gemeva.
Chi era quella persona rannicchiata su se stessa, fino a sembrare un fagotto? A chi appartenevano quei respiri, quei sospiri e quei lamenti?
Non sapevo se fuggire, senza voltarmi indietro, o se avvicinarmi con cautela.
Intanto, qualcosa si muoveva.
Il capo, coperto da un fazzoletto con disegni di palme e piantagioni di tabacco, era chinato sulle braccia, incrociate sopra le ginocchia, e si sollevava con timore, lasciando intravedere due occhi tristi e smarriti, misteriosi come la notte: erano gli occhi di Midhina.
Lo scirocco continuava a soffiare come un ventaglio che sventola incoraggiamenti ad ogni stato d’animo preoccupante e sulle ali di quel vento volavano le parole dei pescatori, che tiravano le reti gridando: “Sbarcu ci fu! Navutru sbarcu di clandestini! Dici ca c’era pure na carusa e una ponnu truvari pirchì i scafisti a lassaru a mari supra na varca nica quantu na bagnarola e poi scapparu co peschereccio. A varcuzza era china, tutti scafazzati e abbuccaru a mari. Pi fortuna i sarvaru tutti ma a carusa appi a ristari supra a varcuzza e un si trova! Mischini! Rischiari a vita cu stu malutempu!”.
(Sbarco ci fu! Un altro sbarco di clandestini. Dicono ci sia pure una bambina e non la possono trovare perché gli scafisti l’hanno lasciata in mare su una barca piccola quanto una bacinella e poi sono fuggiti con il peschereccio. La barchetta era piena, tutti ammucchiati e sono caduti in mare. Per fortuna li hanno salvati tutti ma la bambina sarà ancora sulla barca e non si trova. Poveri! Rischiare la vita con questo brutto tempo!).
Non era difficile capire chi era Midhina e da dove arrivava.
Midhina era il più gran dono dell’Africa e ne portava i colori, i sapori, gli aromi e gli umori: aveva i capelli scuri, come il cacao amaro appena setacciato; la pelle, leggermente più chiara e addolcita dalla tenera età, come il cacao zuccherato; i denti come il pregiato avorio; le labbra morbide e lisce come olio d’arachide; gli occhi come giganteschi chicchi di caffè, macinati dalla sofferenza e dalla disperazione. I piedi erano scalzi, come la povertà più nuda. Uno scialle di lana, carico d’umidità, le ricopriva inutilmente le minute spalle. Il vento faceva aderire a quella corporatura esile una veste lunga e larga, bagnata e resa trasparente dall’acqua, lasciando intravedere o immaginare le prime dolci forme femminili.
La natura le aveva regalato un insolito e grosso neo, a forma di goccia, sotto l’occhio sinistro, quasi come previsione delle sue lacrime eterne, della sua sventura e del suo triste destino.
Midhina aveva un sogno e il suo sogno era la luna.
E voleva la luna per chiederle la libertà. Era convinta che nelle notti di plenilunio, la luna piena si trasformasse in una sfera magica per esaudire i desideri degli uomini tristi e soli. In quelle notti, cioè, dovevi lanciare un sassolino o un petalo di fiore proprio nel punto dove il volto della luna si rifletteva sullo specchio ondoso del mare.
Se vedevi un delfino guizzare dall’acqua e recuperare quel sassolino o quel petalo significava che la luna aveva ascoltato le tue richieste e voleva essere generosa con te. Se, invece, il sassolino rimaneva nel fondo del mare o il petalo in superficie, dovevi aspettare un’altra luna piena.
Midhina aveva raccolto tutti i sassi della sua terra e aveva strappato i petali a tutti i fiori dei campi, per chiedere alla luna piena di trasformare il suo cuore prigioniero in cuore libero. Ma, ogni volta, nessun delfino veniva a raccogliere i suoi sogni. Forse in Africa i delfini non esistevano. Forse la luna non ascoltava i desideri dei bambini.
Le avevano fatto credere che in Italia era possibile chiedere in prestito la luna alla Notte e nasconderla, almeno per un giorno, finché la Notte non tornava a cercarla. Solo così Midhina avrebbe potuto implorarla di ricordarsi di lei.
La luna, però, è figlia della notte, e quale madre non ama una figlia così bella e se la lascia rapire? E, poi, è giusto che la libertà sia un sogno? Non dovrebbe essere un diritto di tutti?
In quel tardo pomeriggio, che aveva già dato il benvenuto alla sera, io ero schiava dei miei pensieri, dell’amore, dei ricordi, dei rimpianti. Ero schiava del cuore e della ragione, che mi tenevano chiusa in una torre di sofferenza, inquietudine e confusione. Ma ero libera. Libera di pensare, d’amare, di ricordare, di rimpiangere. Libera di usare il cuore o la ragione. Libera di uscire dalla torre o di rimanerci.
Midhina era solo libera di illudersi che qualcuno non si accorgesse di lei, quella sera. Era solo libera di sperare che qualcuno non la trovasse. Conosceva bene la sua sorte e quella degli altri fratelli africani: o essere rispediti in patria, come lettere rimandate al mittente, o vivere, per sempre, come clandestini.
In quell’attimo anch’io mi sentivo una clandestina: mi nascondevo dentro me stessa e non volevo farmi trovare dalla vergogna che mi perseguitava, per aver sprecato troppo tempo a piangere per piccole sofferenze, per continue lamentele e insoddisfazioni; per essere rimasta dentro quella torre che mi permetteva di vedere il resto del mondo solo attraverso le sbarre della superficialità. Fuori da quella torre c’erano persone che soffrivano più di me.
Midhina era una di quelle persone ma… quella sera, qualcuno si accorse di lei, qualcuno la trovò…
Midhina aveva un sogno e il suo sogno era la luna.
Un giorno, la luna si ricordò di lei, per sbaglio o per pietà, ma in cambio le chiese tutto ciò che le era più caro: Midhina ha venduto i suoi capelli come il cacao amaro, la sua pelle come il cacao zuccherato, i denti come il pregiato avorio, le labbra morbide e lisce come olio d’arachide, gli occhi come chicchi di caffè. Midhina ha venduto il suo corpo, il suo cuore e la sua anima e continua a venderli, in cambio della libertà. Adesso è più schiava di prima. E’ schiava degli uomini.
Quando la vidi, per caso, in quella caotica città, in quello squallido quartiere di baby-prostitute, su quel maledetto marciapiede, pensai ad una terribile coincidenza della vita, ad un terribile scherzo del destino, ad una terribile somiglianza, ma quel grosso neo, a forma di lacrima, sotto l’occhio sinistro, tradì ogni mia illusione. Quella era la disperazione di Midhina. Non potevo sbagliarmi…
Anche oggi è un tardo pomeriggio di scirocco ed io sto aspettando che scenda la sera, per guardare in faccia la luna e rimproverarla di promettere sogni e verità per poi regalare solo delusioni e bugie. Anch’io, come Midhina, ho raccolto tutti i sassi della mia terra, per lanciarli proprio nel punto dove il volto della luna si riflette nel mare, ma su quest’isola ci sono pochi fiori e non voglio strappare petali per false speranze.
Se potessi esprimere un desiderio, in questa promettente sera di luna piena, chiederei la libertà di Midhina. A Lampedusa i delfini esistono.

Siamo tutti clandestini
in una terra che non è mai nostra.
Siamo tutti cuori clandestini
in cerca di una terra promessa.
Ma la terra promessa dov’è?
La terra promessa è solo dove c’è libertà.
E la libertà è solo dentro di noi:
dove niente o nessuno può permettersi di rubarcela.



Iridina e il Mare (Noi e gli altri) di Caterina Famularo

C'era una volta un raggio di sole che era innamorato di una goccia di pioggia. Un pomeriggio d’estate il cielo si oscurò e il sole fu costretto a rimanere nascosto dietro una nuvola. La pioggia cominciò a scendere, goccia dopo goccia.
Il raggio di sole, riconoscendo la goccia di cui era innamorato, decise di uscire allo scoperto e di manifestarle il suo amore.
Allora, la luce e la goccia di pioggia si abbracciarono e dal loro incontro nacque un meraviglioso arcobaleno chiamato Iridina.
Tutte le creature ammiravano quel fascio di strisce colorate e si complimentavano con il cielo che, avendola creata, non poteva essere obiettivo con lei e non poteva giudicare la sua bellezza.
Anche Iridina era curiosa di vedersi e di conoscere la propria immagine ma non aveva uno specchio e non sapeva come guardarsi.
Non vedeva i suoi sette colori così come si mostravano nel cielo, uno accanto all’altro, e non riusciva a capire di che colore fosse veramente la sua anima.
I sette colori si tenevano per mano ma spesso litigavano tra loro per cercare di convincere Iridina: “Sono io che ti rendo così bella, Iridina - esclamò l'indaco - quindi la tua anima deve per forza avere il mio colore”.
No, ti sbagli, sono io che coloro la tua immagine”- ribadì l’arancione.
Ma cosa state dicendo - gridò il rosso - sono io il colore più vivace”.
E così gli altri colori.
Iridina si stancò e volle sapere con certezza qual era il colore della sua anima.
Lei amava l’indaco ed era convinta che la sua anima fosse di quel colore ma senza uno specchio non poteva averne certezza.
Allora, decise di andare in giro per il mondo alla ricerca della sua vera identità finché un giorno incontrò un’onda del mare: “Iridina, cosa cerchi?” - le domandò incuriosita.
Rispose l’arcobaleno: “Non riesco a capire chi sono e come sono. Non ho uno specchio e non posso vedermi”.
Allora il mare rispose: “A cosa ti serve uno specchio? Non hai già deciso tu chi sei? Anche se tu avessi uno specchio vedresti solo la parte di te che vuoi vedere ma il resto rimarrebbe nascosto ai tuoi occhi. Così se sei convinta che il colore della tua anima sia l’indaco, vedrai la tua immagine di quel colore, se invece sei convinta che la tua anima sia arancione la vedrai così”.
Come posso fare, allora, per capire come sono veramente?” -disse Iridina, sconsolata.
Il mare le suggerì: “Noi siamo lo specchio degli altri e gli altri sono il nostro specchio. L’importante è guardare e lasciarsi guardare. E’ da questo sguardo reciproco che ognuno di noi si arricchisce. Lasciati guardare e vedrai come ti vedono gli altri”.
Domandò Iridina: “E se mi accorgessi che la mia anima non ha il colore indaco? O se scoprissi che non ha un solo colore? E se non mi piacessi così come veramente sono?”.
Il mare la rassicurò: “Non bisogna mai temere di mostrarsi agli altri così come siamo, con le nostre debolezze e le nostre paure. Specchiati pure negli altri e parla e chiedi ma lasciali anche parlare e rispondere. Accetta o rifiuta quello che hanno da dirti ma lascia che esprimano le loro opinioni. Incontrati o scontrati, se è necessario, ma rispetta sempre i pensieri che non sono uguali ai tuoi”.
Il mare la mise alla prova e la invitò a specchiarsi in lui.
Iridina si specchiò nell’acqua e rimase delusa. L’onda era in movimento e l’immagine dell’arcobaleno riflessa in quell’acqua appariva deformata.
No, non sono così” - si allarmò Iridina.
Allora il mare la rimproverò: ”Non ti ho forse detto di accettare e rispettare i punti di vista degli altri? E poi, io non ho affermato che sei così. Ti ho fatto vedere come tu appari ai miei occhi. Io sono in movimento e vedo la tua immagine contorta. Se ti specchi in me quando non sono agitato, ti vedrò diversamente. Controlla pure”.
Allora il mare chiese al vento di calmarsi per un istante.
Iridina si specchiò di nuovo nell’acqua e per riflesso guardò meglio se stessa: al posto di quell’immagine deformata vide un meraviglioso arcobaleno e scoprì che la sua anima aveva sette colori diversi.
A volte bisogna avere il coraggio di specchiarsi negli altri con il rischio o la piacevole sorpresa di scoprire colori o forme che non avevamo visto prima o che non sapevamo di avere.

Un grazie di cuore a Caterina Famularo per averci consentito di pubblicare i suoi racconti su questo BLOG. Caterina scrive anche poesie. Per leggerne alcune:

http://www.isoladellapoesia.com/poesie_autore.php?idaut=235

Ne incollo una, una soltanto, su Lampedusa:

I-solitudine

Chiome d’ebano
e aroma di cannella
su pelle ambrata
di roccia nuda
che seduce pure il cielo
tra Sicilia e Africa
scordata la mia terra.

Decantato amore
per quest’isola senza orgoglio
che ama pure chi l’ ignora
e in ciò le rassomiglia
il cuore mio.

Lampedusa,
s’io fossi vento
di te sarei geloso
d’averti mia
solo quando l’estate
non risveglia ancora i tuoi sensi
e solitudine ti getta sconsolata
tra gli occhi gonfi dell’onde.

Mia Lampedusa
di te conosce il vento
ogni palpito e sospiro
e tanto s’accomuna
il tuo destino al mio
che” un’isola nell’Isola” io sono
ora che inquietudine è il mio mare.

Caterina Famularo

La lampada della pace

Fonte: www.paroledipace.it/inspire.htm

La lampada della pace

Io viaggio molto e parlo alle persone della pace. La gente ha tante interpretazioni diverse sulla pace. Paragonandola a una lampada, si potrebbe dire che vorremmo vedere le lampade della pace accese ovunque, ai confini fra India e Pakistan, Beirut, Israele, Palestina. Ma dobbiamo considerare che la pace è qualcosa di più di semplici lampade accese. Una lampada ad olio è fatta di creta, contiene dell’olio e uno stoppino di cotone. Lo stoppino, da solo, brucerà soltanto per alcuni minuti prima di esaurirsi. Se volete che la lampada resti accesa a lungo, avete bisogno di olio. Forse non si vede nemmeno, tuttavia è proprio l’olio che permette allo stoppino di restare acceso e illuminare. C’è una pace che non è solo esteriore, che non è fatta unicamente di idee e presupposti, ma che va ben oltre queste cose. La pace che abbiamo bisogno di percepire, e della quale dovremmo parlare oggi nel mondo, è la pace che vorremmo vedere riflessa ai confini delle nazioni. La pace non è quando le persone non si combattono: questo è solo un riflesso della pace, una conseguenza, ma non l’aspetto reale. Una madre o un padre amano vedere il loro bambino sorridere. È una sensazione meravigliosa. Quindi, cosa dovrebbero fare per farlo sorridere? Tirargli le guance? Mettergli un pezzo di legno fra le labbra? È quello che cerchiamo di fare noi; abbiamo creato una definizione di pace: no alla guerra. Ma “no alla guerra” è la conseguenza di qualcosa, così come la guerra stessa è la conseguenza di qualcosa. La pace si manifesterà quando ognuno di noi potrà percepire questo sentimento di pace dentro di sé. Quando volete illuminare una stanza, accendete una lampada. Ogni essere umano è una lampada. Se volete la pace sulla terra, dovete accendere queste lampade chiamate esseri umani. Abbiamo bisogni fondamentali e, a meno che questi non siano soddisfatti, non importa davvero cosa facciamo. Abbiamo svenduto l’oggi per il domani. Abbiamo trascorso l’oggi a fare piani per il domani. Ma il domani non arriverà mai, se non come oggi. E come lo trascorreremo? A fare programmi per il giorno successivo. Il mondo si è fossilizzato. Abbiamo svenduto la pace per il benessere, quando invece la formula giusta è sempre stata: prima la pace, poi il benessere. Non il contrario. Pensiamo di aver bisogno solo del benessere, che se tutti avessero cibo a sufficienza, tutto andrebbe per il meglio. Ma anche quando una persona è sazia, continua ad avere altre necessità. Ogni civiltà apparsa sulla faccia della terra ha sempre cercato qualcosa. La sete di pace è dentro di voi, come lo è la pace. Cominciate da voi stessi. Cominciate rispettando ciò che l’oggi significa per voi, invece di scambiarlo con il domani. Qual è per voi il significato di questo istante in cui siete vivi? La vostra vita è come una collana di perle: un momento, un altro momento, un altro ancora. Voi siete il primo gradino. La pace inizia da voi, non da qualcun’altro. Per tutta la nostra vita, le cose ci sono sempre arrivate da qualche altra parte, ma il percorso verso la pace inizia da noi. Comincia quando comprendiamo le possibilità che comporta l’essere vivi. Ci sono moltissime cose che catturano la nostra attenzione, ma ce ne dovrebbe essere una in particolare: la possibilità della pace. Ci sono molte cose che ci distraggono, ma forse non dovremmo mai distogliere la nostra attenzione da una cosa: la possibilità che ci regala la vita stessa.Io offro alle persone una possibilità che riguarda loro stessi. Ricordo loro di mettere l’olio in quella lampada. Decorare la terracotta è divertente, e sicuramente vi serve uno stoppino, ma non dimenticatevi dell’olio. Avete tante priorità, tante necessità e responsabilità. Ma iniziate con la semplice formula della pace e del benessere. Questa formula è stata definita molto tempo fa. E la pace comincia da voi.

Maharaji
©The Prem Rawat Foundation

Prem Rawat, conosciuto anche con il titolo onorifico di Maharaji, da più di quarant’anni viaggia in tutto il mondo parlando alle persone della possibilità di conoscere la pace interiore e l'appagamento. Il suo messaggio è semplice e profondo. Per saperne di più: un sito italiano paroledipace ; il sito ufficiale della fondazione Prem Rawat; la brochure in italiano oppure guarda un video in italiano (altro video con traduzione in italiano).

Un video in inglese, intitolato Inner Journey (Viaggio interiore) con l'intervista del giornalista americano Burt Wolf a Prem Rawat, è disponibile a questo link

http://video.google.de/videoplay?docid=8216928018142799291

Inner Journey with Burt Wolf and Prem Rawat, a spirited conversation about self-discovery. During the past 40 years, journalist Burt Wolf has been traveling around the world, reporting on the customs and traditions that give meaning to peoples' lives. During those years, he says, he discovered that the ones that were most valuable to him were the ones that gave him a sense of inner peace and self-knowledge. A few years ago, he told a friend that he was interested in taking a break from traveling around the world and wanted to make a trip to the inside---to find out more about his feelings and how they might relate to the universal themes of life. His friend suggested that he talks to Prem Rawat who, this friend said, talks about the possibility of knowing contentment in our lifetime. Prem Rawat, the friend said, points out that the forces of modern society may stimulate our desires and drive us outward in a search for happiness, but that lasting happiness can only be found within. Burt attended two lectures by Prem Rawat and found his message to be timely, quite significant and very entertaining. Following that experience, and over the course of a year, he proceeded to tape a series of conversations with Prem Rawat. They talked about his life, Burt's life, what is going on in the world today, what makes people happy and what makes us sad and how one can choose to live.

venerdì 1 giugno 2007

Si ricostituisce la Focsi Federazione delle Organizzazioni e Comunità Straniere in Italia

Fonte: www.redattoresociale.it


Comunità straniere, dopo dieci anni si ricostituisce la Focsi

Il presidente Nowfer: ''In trenta anni non vedo che i problemi sono stati risolti, anche se alcuni sono nuovi''. Coundoul: ''Io ho perso la speranza, combatto per i miei figli. In Italia troppi pregiudizi, alimentati dalla politica.''

ROMA - La Focsi è tornata. Dopo un vuoto di più di dieci anni, questa mattina è tornata a riunirsi a Roma la Federazione delle Organizzazioni e Comunità Straniere in Italia, la più vecchia e grande esperienza organizzativa degli immigrati nel nostro paese. Con lo scopo dichiarato di tornare al proprio ruolo e porsi come interlocutore, in rappresentanza di tutte le comunità straniere, senza schierarsi né a destra, né a sinistra, nei confronti della classe politica e di tutte quelle forze che vorranno impegnarsi per la costruzione di una piattaforma comune volta a creare le basi di una convivenza pacifica. Il primo atto è stata l'organizzazione del convegno "Stranieri in Italia: quale futuro?”, a cui erano stati invitati, con scarso esito, numerosi rappresentanti delle istituzioni. E' emerso che secondo alcuni membri, come il medico palestinese Yousef Salman, leader storico della Focsi ed oggi suo segretario generale, “c’è una situazione nuova, vediamo, attraverso la legge delega Amato Ferrero, la volontà seria delle forze politiche di fare qualcosa, e noi vogliamo dare il nostro contributo”. Secondo il presidente Mohideen Nowfer, altro membro storico della federazione, di origini cingalese, che comunque rimane fiducioso, manca invece “la volontà politica per puntare ad una vera integrazione degli immigrati”. E qualcuno invita a diventare “controparte attiva”, senza più indugiare in inutili attese. “Io ho perso la speranza, combatto per i miei figli – ha dichiarato il senegalese Touty Coundoul, già responsabile delle Politiche per l’immigrazione del PRC - . L’Italia è un paese con troppi pregiudizi alimentati dalla classe politica, che non ci concederà diritti se non scenderemo in piazza”. La Focsi nacque nel 1986 in seguito alla “caccia allo straniero” che si era sviluppata all’indomani dell’attacco terroristico all’aeroporto di Fiumicino del dicembre 1985. L’associazione operò in maniera apolitica ed apartitica fino al 1996, collaborando alla stesura della prima legge sull’immigrazione (943/86) e alla seconda (39/90), la cosiddetta legge Martelli. Nei primi anni ’90, il periodo di maggiore attività, giunse a raggruppare 23 associazioni straniere in rappresentanza di 20 paesi, per un totale di 26mila iscritti. Poi la scomparsa dalla scena, ha spiegato Salman, come “atto di protesta nei confronti della classe politica e delle forze sindacali, che non si erano impegnate seriamente nell’affrontare i problemi dell’immigrazione, ma anche perché fattori esterni ci avevano spaccato, mettendoci l’uno contro l’altro per motivi politici: ci criticavano perché volevamo fare da soli, ma noi non abbiamo voluto partecipare al gioco al massacro”. La Focsi riparte oggi in rappresentanza di dieci associazioni delle comunità straniere, ma questo, ha continuato il medico palestinese, “è solo il primo atto del nostro ritorno, il programma comincia ora”. ''In trenta anni non vedo che i problemi sono stati risolti – ha dichiarato Nowfer - , anche se alcuni sono nuovi. Le istituzioni non hanno voluto capire che cos’è l’immigrazione, la nostra è una situazione difficile, soprattutto per i nostri figli che non sono né carne, né pesce. Manca la volontà per una vera politica dell’integrazione”. Il cingalese ha ricordato che in Italia si stava tranquilli, “non c’è stato bisogno di una legge fino all’attentato di Fiumicino, quando in pratica si è sviluppata la “caccia allo straniero”: per la prima volta sono entrati i carri armati dentro la stazione Termini e noi siamo stati costretti a stare dentro casa per settimane. Dopo tre-quattro mesi è stata costituita la nostra Federazione, per dar voce agli immigrati e far capire chi siamo." Secondo lui in Italia si può arrivare “a vivere in tranquillità e pace, e noi vogliamo lavorare con tutti perché questo paese deve crescere, anche economicamente”. “Il tema del convegno di oggi è difficile – ha dichiarato da parte sua il nigeriano Nzaki Stefano, responsabile della Cooperazione internazionale della Focsi – , la parola futuro può significare tutto e niente. Il problema è: come creare le premesse per l’inserimento? L’Italia ha fatto passi da gigante, eppure non è molto, visto che il mondo cambia in continuazione. Bisogna creare una discussione pacifica tra noi e la società che ci accoglie, con l’obiettivo di giungere ad un accordo e capire come evolvere gli strumenti a nostra disposizione, in base al mutare della società”. Secondo l’egiziano Elsandouby Maaty, responsabile Stampa della Focsi, “l’immigrazione non deve più essere l’oggetto di una battaglia politica tra i vari schieramenti, per cui, ogni volta che cambia governo, noi dobbiamo cambiare sistema di vita. Aldilà della bontà o meno di una legge, noi abbiamo bisogno di stabilità come essere umani, non è giusta l’accusa contro di noi secondo cui non ci vogliamo integrare. La legge Amato-Ferrero rappresenta dei passi avanti sotto tanti aspetti, ma nutriamo la piccola speranza che ci sia una discussione con le comunità straniere prima della sua definitiva approvazione”. Molto dure le sue critiche contro i giornalisti, responsabili di non conoscere il fenomeno dell’immigrazione e di creare una paura generalizzata, fornendo dati sbagliati e lanciando l’allarme sicurezza. “Siamo anni luce lontani dall’inizio della convivenza – è intervenuto con vigore Coundoul, responsabile Politica ed Immigrazione della Focsi – . Il problema è che noi, dopo 30 anni siamo ancora qui a parlare di diritti sì, diritti no e non può essere solo colpa nostra. L’Italia è un paese con troppi pregiudizi alimentati dalla classe politica, che non ci concederà diritti se non scenderemo in piazza. I tassisti lo hanno fatto ed hanno bloccato l’Italia e noi non siamo in grado di farlo? Sono forse loro più numerosi di noi? Il problema è che si crea un gioco perverso con l’opinione pubblica, che raccoglie solo ciò che dice la televisione. Sì, è vero, ad esempio, molti sono gli immigrati in carcere, ma la maggior parte è dentro per reati amministrativi”. “Sono stanca – ha ribadito dal canto suo la filippina Irma Tobias, responsabile Politiche del Lavoro - . La Focsi è rinata e deve rompere con gli schemi che ha percorso nel passato e che non hanno prodotto alcun risultato. Bisogna creare un diverso modo di rapportarsi alle istituzioni nazionali e locali, è ora di farsi sentire! Che cosa avrebbe fatto Don Luigi Di Liegro, il nostro simbolo, per ottenere il diritto di voto? Lui, per i malati di Aids, occupò Villa Glori! Incontriamoci con le istituzioni, ma su una piattaforma rivendicativa nostra, diventiamo controparte attiva. Io non sono un’estremista, lo sapete, ma il tempo dell’attesa è passato”. Dello stesso avviso la greca Catarina Giannaki, una delle fondatrici della Focsi, nonché responsabile delle Comunità elleniche in Italia, secondo la quale è “il nostro partecipare o meno che ci permette di essere protagonisti, anche se ciò non vuol dire che vogliamo metterci in conflitto. E’ vero che abbiamo dei doveri, ma meritiamo anche dei diritti, che spesso vengono dimenticati e di cui ci si ricorda solo alla vigilia delle elezioni”.

(vap) 01 giugno 2007

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