Programma Educazione alla Pace presentato da Tindara Ignazzitto - Consulta per la Pace di Palermo

Programma di Educazione alla Pace - TPRF

giovedì 31 maggio 2007

Roma a Tuttomondo: presentata la prima guida multietnica della capitale


Roma a Tuttomondo
La città eterna ''ri-visitata'' e ''ri-definita'' attraverso gli occhi degli immigrati

Presentata la prima guida multietnica della capitale; in 150 pagine sei passeggiate in bianco e nero attraverso i quartieri capitolini con la più alta concentrazione di immigrati, guidate da sei di loro

ROMA – La città eterna “ri-visitata” e “ri-definita” attraverso gli occhi degli immigrati che l’hanno scelta come loro casa e le hanno regalato un nuovo volto. “Roma a tuttoMondo – Guida al mondo che vive in città”, questo il titolo della prima guida multietnica della capitale, presentata oggi in Campidoglio, che è stata scritta da Sarah Klingeberg e Giorgia Rocca, a cura della casa editrice Sinnos, in collaborazione con l’ufficio della Delegata del sindaco per la Multietnicità, Franca Coen. Centocinquanta pagine: sei passeggiate in bianco e nero attraverso i quartieri capitolini Esquilino, Castro Pretorio e Pigneto, quelli con la più alta concentrazione di immigrati, guidate da sei di loro; ma anche una guida dei principali eventi culturali annuali, dei luoghi di culto, dei mercati settimanali. Con lo scopo primario, hanno spiegato le autrici, di “far conoscere a tutti, anche alla gente comune, non solo agli addetti ai lavori, quanta integrazione sia già presente sul territorio, quanto molti immigrati siano già cittadini attivi. Ed anche un modo per dare parola a coloro che vengono solo raccontati e rilegati nelle pagine di cronaca nera, collegati solo a questioni relative alla sicurezza. Per dare loro la possibilità di raccontarsi, spiegare come vivono questi quartieri e li hanno cambiati e ri-significati”.
Le sei passeggiate attraverso i negozi, i ristoranti, i luoghi di culto, i locali notturni e gli spazi d’incontro - concentrate nei primi tre capitoli - sono raccontate dai rappresentanti delle sei comunità straniere più presenti sul territorio, provenienti da Nigeria, India, Cina, Somalia, Etiopia-Eritrea e Senegal. I sei percorsi fotografici sono accompagnati da box di approfondimento sulla situazione dei migranti in Italia, sulla storia dei paesi di origine, su curiosità e tradizioni. Gli altri tre capitoli riguardano i principali eventi culturali annuali, i luoghi di culto, i mercati settimanali. In chiusura l’elenco dei più grandi centri sociali e dei principali giornali e riviste interculturali. La guida sarà in libreria da metà del prossimo mese, in contemporanea con la festosa e più ampia presentazione che si terrà a San Lorenzo il 14 giugno.
Nella guida vengono esaminati molti aspetti dell’immigrazione - ha sottolineato la Coen. Stiamo andando nella direzione in cui Roma vuole andare, dalla tolleranza verso lo straniero alla scoperta del talento che rappresenta, ed è eccezionale che il percorso sia in evoluzione, guai a ciò che è statico”. Secondo la Coen, “la distruzione della Torre di Babele è sempre stata vista come una punizione del Signore per gli uomini che volevano elevarsi al cielo. Invece ha dato loro la possibilità di evolversi orizzontalmente: la città che si evolve verso l’alto, ed usa lo stesso linguaggio, per forza sarà distrutta, perché la gente, pur parlando la stessa lingua, non si comprende. Nella società orizzontale, invece, in cui si usano diverse lingue, bisogna fare lo sforzo di comprendersi”. La guida, a suo parere, “sarà molto importante per compiere una ricerca sull’ubicazione degli stranieri e pianificare la città in maniera oculata, evitando il sorgere di piazze monoetniche, in particolare servirà al Comune per decidere dove intervenire per la costruzione dei luoghi di culto”.
A questo proposito, la consigliera comunale, ha citato una ricerca a livello europeo condotta da parte Istituto Psicanalitico di Ricerche Sociali, i cui risultati devono ancora essere resi noti, ed in cui due quartieri di Londra sono stati paragonati all’Esquilino e al Pigneto. Dalle prime proiezioni sembrerebbe che in questo secondo quartiere l’integrazione sia stata resa più facile proprio dalla presenza di costruzioni estese più in orizzontale che in verticale e dal fatto che qui la gente non vi lavora solo, ma vi abita. La sua speranza è inoltre che presto, con l’approvazione della nuova legge sulla cittadinanza, i figli degli immigrati nati in Italia non siano più considerati stranieri
Sono contenta di questa guida – ha dichiarato Osman Nul, la somala vicepresidente della Consulta per gli stranieri, nonché la proprietaria del negozio che ha fatto da guida attraverso il quartiere di Castro Pretorio - , che rappresenta le figure degli immigrati a Roma e mostra quanto essi siano delle risorse per la città, quanto reddito rechino al governo italiano. Sbagliano gli italiani quando dicono che noi gli portiamo via il lavoro, noi svolgiamo i lavori che essi hanno abbandonato”. Gli stessi negozi dell’Esquilino, ha voluto sottolineare, “non sono stati dati agli immigrati gratuitamente, bensì sono stati venduti profumatamente, li abbiamo comprati grazie alla nostra intelligenza e praticità nel business”. “I miei figli sono nati qui – ha dichiarato da parte sua Nancy Milador, un medico indiano, che ha studiato la medicina tradizionale in Italia e quella ayurvedica nel suo paese di origine, e che è anche proprietaria di un negozio di spezie a piazza Vittorio e di un ristorante - , per loro poteva esserci il problema dell’integrazione, invece uno è rappresentante di classe. Tra i bambini non esiste il razzismo, siamo noi grandi che lo creiamo, dobbiamo stare attenti quando parliamo davanti a loro”.
La speranza - ha concluso Della Passarelli, presidente della casa editrice edizioni Sinnosè che la guida sia comprata dai romani, che possano così “ri-conoscere” la loro città, ma anche dai turisti, che potranno scoprire un volto nuovo di Roma. Mi piacerebbe che venga utilizzata anche nelle scuole e che gli studenti vengano portati a visitare questi quartieri, secondo lo spirito che ci contraddistingue sin dall’inizio che la conoscenza abbatte barriere e pregiudizi”.

(Vanessa Postacchini) 31 maggio 2007

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mercoledì 30 maggio 2007

Bologna: al via il Consiglio Provinciale dei cittadini stranieri e apolidi

Fonte:

Il nuovo organismo consultivo è stato approvato martedì 29 maggio dall’assemblea di palazzo Malvezzi.

Lungo e difficile l’iter di approvazione per l’istituzione del Consiglio provinciale dei cittadini stranieri e apolidi e del relativo regolamento. Dopo la presentazione di oltre centottanta emendamenti da parte di Forza Italia e Alleanza nazionale, 4 dei quali accolti e votati all’unanimità dall’aula, è stata approvata martedì 29 maggio la delibera che istituisce il nuovo organismo consultivo (con 23 voti favorevoli - Ds, Margherita, Rifondazione comunista, Italia dei Valori, Comunisti italiani e Verdi - e 6 contrari - Forza Italia e Alleanza Nazionale). Il prossimo passo saranno le elezioni che, come prevede il regolamento, devono essere indette entro sei mesi dall’approvazione dell’atto.
Grazie all’istituzione di questo organismo, si dà ufficialmente rappresentanza politica agli stranieri residenti nel nostro territorio, così come previsto dalle linee di indirizzo del Consiglio provinciale per i Piani di zona 2005-2007.
Il futuro Consiglio dei cittadini stranieri e apolidi concorrerà alla formazione delle politiche dell’amministrazione esercitando funzioni consultive e propositive per le sua attività; presenterà il proprio parere sulle proposte di deliberazione consiliare del bilancio preventivo provinciale e, successivamente, sulle variazioni relative alla spesa in materia di accoglienza e integrazione. Potrà inoltre esprimere un proprio giudizio qualora gli sia richiesto dal presidente della Provincia e dalla Giunta. Gli sarà consentito inoltre proporre al Consiglio provinciale l’adozione di atti o programmi relativi alle proprie funzioni, e a partecipare tramite il proprio presidente ai lavori del Consiglio provinciale con diritto di parola; parteciperà infine alla Conferenza metropolitana nonché, tramite i propri rappresentanti, all’Assemblea del Circondario di Imola.
Il Consiglio sarà eletto a suffragio universale dai soli cittadini stranieri residenti nel nostro territorio (esclusi quelli che hanno anche la cittadinanza italiana). I collegi elettorali saranno tre, quello di Bologna, dell’imolese e del resto del territorio provinciale. L’Assemblea si riunirà almeno tre volte l’anno in sessione ordinaria, di norma a febbraio, giugno e ottobre.

L’assessore alle Politiche sociali, Giuliano Barigazzi, ha espresso soddisfazione per l’approvazione della delibera che "segna un passo deciso verso l’obiettivo fondamentale di una sempre maggiore integrazione dei cittadini stranieri nella nostra comunità, condizione indispensabile per superare paure e diffidenze, per richiedere doveri e rispetto delle norme che regolano la nostra democrazia, ma anche per assegnare diritti".

lunedì 28 maggio 2007

Il progetto pilota transnazionale Re.La.Te. per una città etica e plurale

cliccare sull'immagine
per guardare il dépliant



Il Progetto City to City (C2C) è un Operazione Quadro Regionale che prevede lo scambio di esperienze sulle metodologie e le attività progettuali in relazione al complesso fenomeno dell'immigrazione e in particolare: sviluppo del dibattito e dello scambio tra regioni e paesi europei sulle politiche migratorie; consolidamento delle politiche migratorie nelle regioni partner, creazione della cooperazione sostenibile Nord-Sud e Est-Ovest; diffusione e promozione di reti transnazionali come modelli di buone pratiche.


In questo contesto si inserisce il Progetto Pilota C2C "Re.La.Te. - Regional Territorial Laboratories" progetto pilota transnazionale finanziato dall'Operazione Quadro Regionale di City to City (PIC INTERREG MI C South Zone). Re.La.Te. prevede la creazione della "Rete dei Laboratori Territoriali" dove tutti i soggetti interessati partecipano attivamente alla progettazione dello spazio urbano, definendo principi, linee guida e interventi finalizzati alla riqualificazione urbana, economica e sociale della città multietnica. Il progetto intende sperimentare nuovi modelli di conoscenza della realtà urbana e di pianificazione urbanistica, utilizzare nuove metodologie di partecipazione, rendere consapevoli dei propri diritti le comunità migranti, promuovere nuove esperienze di pianificazione urbana partecipata in grado di coinvolgere la comunità locale e la comunità migrante presente sul territorio. Le sedi dei Laboratori Territoriali si trovano a Crotone, Palermo, Valencia e Villa San Giovanni.
CENTRO SANT'ANNA PIAZZA KALSA 31 PALERMO
091 6161864 LUN-VEN 09-12
RESPONSABILE LABORATORIO TERRITORIALE



domenica 27 maggio 2007

L'insegnamento della lingua italiana agli stranieri nei corsi E.D.A di Napoli. L'esperienza di un'operatrice scolastica



Clelia Bartoli è insegnante di ruolo di Scuola Statale dal 2000. Siciliana di Palermo, città dove è nata nel 1973, da tre anni si è trasferita a Napoli, dove insegna storia e geografia nei corsi di scuola media per adulti ed italiano agli stranieri, presso il centro di educazione degli adulti (E.d.A.) istituito dal centro territoriale permanente (C.T.P.) dell’Istituto Comprensivo “Casanova” di piazza Cavour. Laureata in Filosofia all’università degli Studi di Firenze, ha conseguito il dottorato in «Diritti dell’Uomo» presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo.E’ docente a contratto presso la cattedra di “Diritti umani” all’Università delle Scienze Giuridiche di Trapani.

Clelia da quanto tempo insegni al Casanova? E da quanto tempo il CTP del Casanova ha istituito l’insegnamento della lingua italiana per stranieri?
Insegno al Casanova da circa due anni. Mentre l’insegnamento della lingua italiana è stato istituito da circa una decina di anni…credo…
Quanti sono gli studenti stranieri qui al Casanova?
C’è una sola classe di italiano L2, gli iscritti in un anno possono anche essere una ottantina, generalmente frequentano per dei periodi circoscritti …ci sono due turni al giorno.
Come sono organizzati i turni?
L’idea iniziale era di dividerli per livello di conoscenza della lingua, poi non è stato possibile perché molti corsisti hanno esigenze di lavoro, o di altro genere… per cui nell’organizzazione dei turni hanno prevalso le esigenze personali dei frequentanti che il livello di conoscenza della lingua, anche se sarebbe stato più opportuno fare diversamente. Poi si è costituito un gruppo di ragazzi sud asiatici che preferiscono stare insieme alle lezioni…
Per sud Asia intendi Sri Lanka e…
…anche Pakisthan, Bangladesh…
I cinesi frequentano i corsi di italiano?
Abbiamo avuto un solo corsista cinese, un insegnante di Thai Chi, parlava già bene l’italiano e frequentava il corso più che altro per il piacere di perfezionare la lingua italiana…
Chi sono i frequentanti del corso di italiano adesso?
Sono persone molto diverse, sia per condizione che per provenienza. Abbiamo iscritti di circa venti nazionalità differenti. Ma principalmente sono lavoratori e ragazzi che hanno appena raggiunto i genitori dopo aver vissuto, anche per anni, con i nonni nel paese d’origine… Spesso alcune mamme dei ragazzi che hanno appena effettuato il ricongiungimento si iscrivono insieme ai figli: sia per inserirli, sia, facendo un’attività insieme, per riguadagnare l’intimità messa in discussione dalla lunga distanza. Questi genitori, pur vivendo in Italia già da molti anni, spesso non parlano ancora bene la lingua, e quasi sempre vengono rapidamente superati dai figli. Abbiamo avuto parecchie coppie di madri e figli…
Per quanto riguarda l’apprendimento della lingua italiana, avete riscontrato approcci diversi in base alla provenienza e alla “cultura”? Che idea vi siete fatti rispetto a ciò?
Si… normalmente chi viene dall’Est Europa ha una grande facilità ad apprendere la lingua italiana…
…e questo come ve lo spiegate?
Mah… sicuramente nei paesi dell’Est hanno delle buone scuole, le lingue straniere sono insegnate bene… inoltre hanno una buona disposizione verso lo studio, direi che la scuola rappresenta spesso per chi viene dall’est Europa un’occasione di preservare la propria autostima, a discapito di impieghi poco gratificanti…
E per quanto riguarda le persone che vengono da altre aree?
…gli studenti che vengono dall’Asia meridionale hanno più difficoltà ad imparare la lingua…ma credo che dipenda dal fatto che hanno pochi rapporti con gli italiani… e meno occasioni per esercitarsi con la lingua locale… e poi credo che ci sia una difficoltà legata anche al fatto che lingue asiatiche sono molto distanti per struttura linguistica…
…e gli studenti arabi e dell’Africa?
…gli studenti arabi che abbiamo qui apprendono molto velocemente la lingua italiana, avendo anche il francese come appoggio. Per quanto riguarda gli studenti africani subsahariani dipende se vengono da aree francofone, anglofone o dove si parla portoghese, come molti nostri frequentanti capoverdiani. Evidentemente chi parla una lingua neolatina è facilitato, lo stesso vale per i corsisti sudamericani. Bisogna dire che però a Napoli il problema dell’integrazione e dell’intercultura comprende anche la popolazione “indigena”, anche per lo stesso apprendimento della lingua italiana. Una cosa divertente che accade molto spesso nelle classi per adulti di scuola media è che i napoletani copiano dagli stranieri, che hanno a volte un italiano migliore dei napoletani. Anche la cultura del napoletano di quartiere è un’alterità rispetto alle istituzioni… .
Spesso a Napoli si vedono i giovani immigrati della seconda generazione parlare in napoletano e gesticolare come i ragazzi dei vicoli dei quartieri popolari. I giovani immigrati che frequentano i vostri corsi di lingua hanno riferimenti culturali simili?
Mah… i ragazzi cingalesi che non sono scolarizzati e che non sono cresciuti in Italia hanno come riferimento la musica Hip Hop, ci sono anche dei gruppi musicali cingalesi napoletani. Quando cammino per Napoli, guardandomi in giro, anch’io noto questa cosa, penso che crescendo insieme per i bambini sia veloce e inevitabile l’impatto con la cultura dominante. Secondo me Napoli, sopratutto nei quartieri popolari, è una specie di nazione a sé stante, che ha una sua cultura, una sua lingua, dei suoi generi artistici. In alcuni zone di Napoli sembra che la cultura italiana venga vissuta come straniera dagli stessi napoletani, un po’ come quella delle istituzioni nei paesi colonizzati, e quindi crescendo in questi quartieri è ovvio che i ragazzini di origine straniera apprendano più facilmente la lingua napoletana che l’italiano, che assumano gli stili e i comportamenti degli altri ragazzini napoletani. Poi capita anche che, rispetto a come viene vissuta l’immigrazione al nord, ci siano dei preconcetti ribaltati, non è raro che i genitori dei bambini stranieri dicano ai loro figli di non giocare con i bambini napoletani.
Che lavori fanno i vostri studenti?
…ci sono i ragazzi più giovani che vanno a scuola o che seguono il corso di lingua italiana per poi iscriversi a scuola, spesso hanno già finito le superiori nel loro paese, vanno dai 15 ai 20 anni, e vogliono recuperare gli anni di studio in Italia, e andare all’università. Gli asiatici adulti e gli africani sono soprattutto venditori ambulanti o commercianti, gli uomini e le donne dell’est badanti, domestici o operai…
Tu trovi una relazione tra il lavoro che fanno ed un’aspettativa che corrisponda ad una preparazione di base, precedente l’ingresso in Italia?
Gli africani hanno titoli di studio più alti, diplomi o lauree, ed quindi è sicuramente una sottoaspettativa quella di fare gli ambulanti. I pakistani che abbiamo conosciuto qui non avevano titoli di studio elevati, anche se si tratta di un dato non generalizzabile. I srilankesi sono molto giovani e non hanno potuto terminare gli studi, spesso proprio perché sono entrati in Italia con i ricongiungimenti familiari. Normalmente sono tutti scolarizzarti oltre l’obbligo. Personalmente non vedo una relazione diretta tra lo sbocco occupazionale che gli immigrati trovano a Napoli e la loro formazione scolastica pregressa, anche se questa, secondo me, è una cosa molto importante, da affrontare. L’altro giorno ascoltavo un dibattito in televisione durante il quale si diceva che bisognerebbe fare entrare solo immigrati con titoli di studio elevato, il problema in realtà però è che ci sono già, sono già quasi tutti in possesso di titoli di studio, semplicemente non è agevolato il percorso per riconoscerli ed utilizzarli. Ci si preoccupa della ‘fuga dei cervelli’ e non si presta attenzione a quanti ne arrivino di ‘cervelli’!
Nel lavoro che fate vi trovate spesso a confronto con i progetti migratori e le aspettative dei migranti che scommettono sull’integrazione, a partire dal desiderio di conoscere la lingua italiana. Nella tua esperienza, trovi che c’è soddisfazione nella condizione di migranti a Napoli?
L’anno scorso abbiamo fatto un’intervista ad un buon numero di studenti sia stranieri che italiani che frequentavano la terza media serale. La cosa più interessante che è venuta fuori è che gli stranieri avevano dei progetti di vita molto più strutturati e più lungimiranti rispetto agli italiani, ovviamente mi riferisco ai cittadini napoletani di ceto basso che frequentano la scuola media per adulti. Ad esempio, l’ultima domanda di questo questionario era: “Cosa faresti con un milione di euro?”, le risposte degli immigrati come quelle dei napoletani menzionavano: beneficenza, acquisto di oggetti per la gratificazione personale, doni ai membri della famiglia, ma a differenza dei napoletani gli immigrati citavano degli investimenti: “apro una attività”, “investo…” , ed altre risposte di questo tipo. I napoletani si dimostravano meno capaci di progettare il futuro. Un’altra differenza interessante era che gli stranieri esprimevano il desiderio di perfezionare le loro capacità (acquistandone di nuove o vedendo riconosciuti i propri titoli in Italia), insomma di concentrarsi su un miglioramento di sé. Per i napoletani, al contrario, nelle risposte si leggeva il desiderio di compensare una soddisfazione non avuta rimandandola ai figli. Per semplificare, i napoletani dicevano: “spero che i miei figli stiano meglio”, gli stranieri: “io voglio stare meglio per far stare meglio i miei figli”. Poi magari accade che gli immigrati siano assolutamente non valorizzati, sottoimpiegati, abbrutiti. A tal fine, secondo me, sarebbe molto utile incentivare la cooperazione, stimolare l’associazionismo per creare una maggiore forza di impatto, un’efficacia progettuale, per superare la debolezza dovuta alla posizione di straniero. Molte delle persone che sono riuscite a realizzare un progetto di migrazione hanno una grande capacità di proiettarsi verso il futuro, un certo istinto imprenditoriale, alcune hanno anche incredibili esperienze umane e professionali acquisite nel loro paese, ma tutto ciò è sprecato e offeso dal fatto di essere stranieri e per il fatto di essere isolati…
Nel percorso formativo, che tu sappia e rispetto agli sbocchi formativo professionale, ritieni adeguata l’offerta formativa o l’attività di orientamento alla formazione professionale? Per esempio voi indirizzate alla formazione professionale?
Qui facciamo orientamento alla formazione, abbiamo giovani che devono completare gli studi o adulti che vogliono proseguire; ma c’è il problema che molti non hanno il permesso, noi accettiamo tutti, mentre nei corsi professionali trovano degli ostacoli a potersi inserire. Una cosa che organizziamo è un corso molto breve e concentrato di circa cinquanta ore che permette l’iscrizione ad altri istituti serali di scuole superiori, non al primo anno ma al terzo se non addirittura al quarto anno, a seconda delle loro competenze. Questo è una buona opportunità sia per gli stranieri che per gli italiani, senza distinzione. Percorsi di inserimento professionale non sono stati sviluppati o almeno io non ne conosco, né generali, né specifici per gli stranieri. Io insegno italiano, storia e geografia nella scuola media e molti di quelli che iniziano la classe di italiano per gli stranieri passano nella scuola media, così almeno hanno un titolo riconosciuto in Italia, ed il titolo può essere utile perché spesso in patria hanno undici anni di scuola riconosciuti e con questo aggiungono il dodicesimo, così possono iscriversi all’università.
I CTP possono presentare progetti agli enti pubblici?
Si. Anzi molte scuole traggono vantaggio dall’avere dei CTP perché possono aspirare a finanziamenti ulteriori…
Per l’insegnamento della lingua italiana, a Napoli, l’offerta formativa viene principalmente dal terzo settore, dalle associazioni, alcune delle quali attivano finanziamenti specifici, anche se spesso non in modo continuativo, e dai CTP attraverso i corsi EDA. Da un punto di vista formale i CTP dovrebbero essere uno per ogni distretto scolastico, e a Napoli ce ne sono 50 di distretti, pochi hanno attivato insegnamenti per la lingua italiana agli stranieri, da questo punto di vista non pensi che sia sottovalutata la potenzialità di queste strutture per costruire una strategia per l’integrazione degli immigrati, a partire dalla lingua italiana?
Sicuramente i CTP rappresentano una potenzialità enorme di intervento, anche perché c’è una libertà che la scuola del mattino non ha, possiamo ad esempio attivare non solo corsi di italiano ma anche costruire percorsi di inclusione sociale, di consulenza, di arte e socializzazione. Si potrebbe fare moltissimo, il problema è che da un lato non si investe sui CTP, dall’altra gli insegnanti non ricevono una formazione specifica, non sono né specializzati per l’insegnamento agli adulti, né per insegnare l’italiano come seconda lingua agli stranieri, mancando non di rado di competenze e sensibilità interculturale. Per cui potrebbe addirittura essere rischioso dare più forza a qualcosa che è intrinsecamente debole. Un altro aspetto da considerare, tanto positivo che negativo, è che ai CTP ci si iscrive volontariamente, quindi le persone che vengono da noi sono estremamente motivate a istruirsi per migliorare la propria vita; molto spesso l’iscrizione coincide con un momento di svolta per la persona, e diventa momento di socializzazione, la sola frequenza è un’occasione di inclusione sociale. Al contrario, in Inghilterra ci sono dei programmi di alfabetizzazione del governo obbligatoriper gli stranieri, altrimenti non perdono alcuni benefici offerti dal wellfare. In questo caso l’intervento è molto più incisivo, diffuso e meglio pianificato, ma accade che venga vissuto come un’ingiusta costrizione

giovedì 24 maggio 2007

Migranti: arriva l’estate, si ripete l’emergenza?



FULVIO VASSALLO PALEOLOGO Università di Palermo
1. Dopo le timide aperture del processo di Barcellona, avviato nel 1995, e le speranze suscitate dai documenti di Tampere nel 1999, da un Consiglio Europeo all’altro, soprattutto a partire dall’11 settembre 2001, le politiche di sbarramento e di militarizzazione delle frontiere hanno condizionato le scelte degli organismi comunitari in materia di immigrazione ed asilo. Intanto l’immigrazione clandestina non è certo diminuita, inserendosi come un fenomeno strutturale in un economa liberista di dimensione globale caratterizzata dalla delocalizzazione su scala internazionale delle attività produttive e da un consistente mercato parallelo del lavoro irregolare, dall’edilizia all’agricoltura, dai servizi ai lavori di cura. Un mercato comune europeo, formidabile attrazione per i lavoratori migranti di tutto il mondo, disposti ad accettare il rischio di una traversata su una “carretta” del mare, la condizione di clandestinità ed una retribuzione irrisoria pur di garantire una minima possibilità di sopravvivenza alle proprie famiglie. Ed è noto a tutti il ruolo crescente delle rimesse degli immigrati nella formazione del prodotto nazionale lordo dei paesi di provenienza e di transito.

2. Di fronte al fallimento delle politiche espulsive praticate a livello nazionale, che hanno ridotto i centri di detenzione amministrativa a luogo di selezione e di espulsione della forza lavoro in eccesso, o di prolungamento della detenzione carceraria, piuttosto che di effettivo allontanamento degli immigrati irregolari presenti nel territorio, i principali paesi europei hanno riscoperto la “cooperazione internazionale”, e le politiche europee di vicinato ( PEV). Piuttosto che uno strumento per praticare una autentica solidarietà con gli abitanti dei paesi più poveri, con iniziative affidate agli enti locali ed alle organizzazioni non governative, si è tentato di imporre ai governi degli stati di transito, soprattutto dei paesi nord-africani, accordi di collaborazione basati sul finanziamento delle politiche di arresto, di detenzione e di espulsione dei migranti irregolari, prima che questi potessero tentare l’ultimo salto, la traversata verso l’Europa. In questa direzione l’Italia e la Spagna hanno offerto gli esempi più eclatanti, nei rapporti, rispettivamente, con la Libia e con il Marocco, concludendo accordi che hanno permesso il blocco e l’arresto di migranti,in molti casi potenziali richiedenti asilo e minori non accompagnati, anche se provenienti da paesi terzi, in cambio di trattamenti preferenziali negli scambi commerciali con i paesi dell’area comunitaria.

3. Snodo essenziale di queste politiche di contenimento, se non di vero e proprio blocco dei movimenti migratori, è costituito dagli accordi di pattugliamento congiunto e dalle attività dell’agenzia FRONTEX istituita nel 2004 dall’Unione Europea per il controllo delle frontiere esterne ed il contrasto dell’immigrazione clandestina. L’effetto deterrente costituito dallo schieramento di unità militari finanziato dall’Unione Europea non ha comunque arrestato i movimenti migratori clandestini, ma ne ha reso più pericolosi gli itinerari, anche per il ricorso ad imbarcazione sempre più piccole per sfuggire ai controlli dei radar e degli aerei ricognitori. Se è diminuito il numero degli immigrati transitati attraverso la Libia ed il Marocco verso l’Italia e la Spagna, è aumentato il numero delle partenze dalla Mauritania, dal Senegal, persino dalla Guinea Conakry, di migranti diretti verso la Spagna, e dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Turchia, attraverso la Grecia, di migranti diretti in Italia, non solo verso la Sicilia, ma anche verso la Sardegna, e di nuovo verso la Puglia. Ancora incalcolabile il numero delle vittime di queste nuove rotte dei forzati dell’immigrazione clandestina, costretti ad intraprendere i viaggi della disperazione in assenza di un riconoscimento effettivo del diritto di asilo nei paesi del nord africa, e di un sostanziale canale di ingresso per lavoro. L’Unione Europea non è riuscita infatti ad adottare una direttiva sugli ingressi per lavoro e le diverse direttive adottate in materia di asilo e protezione umanitaria consentono ancora situazioni molto differenziate tra i diversi paesi e prassi delle autorità amministrative che impediscono generalmente l’accesso effettivo alla procedura di asilo.

4. Negli anni passati l’Italia è stata all’avanguardia in Europa nella pratica delle espulsioni collettive verso i cd. paesi di transito, come la Libia e l’Egitto, paesi dai quali numerosi migranti, tra i quali molti potenziali richiedenti asilo, sono stati respinti verso quegli stessi stati, come l’Eritrea, il Sudan, la Nigeria, il Ghana, il Mali, ma anche il Bangladesh, il Pakistan o lo Sri Lanka, dai quali erano fuggiti. La svolta avveniva a partire dal caso Cap Anamur, nell’estate del 2004, quando la Germania mutava politica, probabilmente anche per ragioni elettorali del governo allora in carica, negando ai naufraghi salvati dalla nave tedesca l’accesso alla procedura di asilo. L’Italia, al fine dichiarato di non creare “un pericoloso precedente”, espelleva sommariamente persino coloro che avevano ottenuto da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo la sospensiva del provvedimento di respingimento. In quella occasione l’intesa tra i ministri degli interni di Italia, Gran Bretagna e Germania, Pisanu, Blunkett e Schily, riuniti il 6 luglio del 2004 a Sheffield, in Inghilterra, aprì la strada alle successive politiche europee centrate sulle espulsioni collettive, sui respingimenti in mare aperto e sulla esternalizzazione dei controlli di frontiera e dei centri di detenzione amministrativa. Come si sperimentò poco tempo dopo a Lampedusa, con le espulsioni collettive verso la Libia, nell’ottobre del 2004 e poi nel marzo del 2005, e poi ancora in altre occasioni nel corso del 2005, dall’Italia verso la Libia e l’Egitto, malgrado le censure del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

5. Dopo la vicenda della Cap Anamur, sulla quale è ancora aperto un processo ad Agrigento, sanzioni penali sempre più severe dissuadono le imbarcazioni da pesca e le navi mercantili dal prestare aiuto ai migranti, come se in alto mare non valessero più le Convenzioni internazionali che prevedono comunque l’obbligo di salvataggio immediato. Come se nelle acque internazionali non fosse più applicabile quella causa di giustificazione umanitaria che invece esclude la sanzione penale per coloro che aiutano senza fine di lucro gli immigrati irregolari nel territorio nazionale. Numerose testimonianze di migranti riferiscono come le navi e le imbarcazioni da pesca ignorino le richieste di soccorso, talvolta senza neppure rilanciare un allarme che potrebbe salvare la vita a decine di persone. Senza l’estensione immediata della esimente umanitaria agli interventi di salvataggio operati da mezzi civili in acque internazionali si corre il rischio che le attività di soccorso siano sempre meno tempestive e che l’elenco dei morti e dei dispersi possa allungarsi ancora di più.

6. Quali garanzie per i diritti fondamentali della persona umana saranno riconosciuti adesso ai migranti di fronte alle nuove frontiere europee ed alle politiche di riammissione?La prima linea di intervento va individuata a livello europeo e consiste nel sostegno a tutte quelle azioni positive poste in essere da enti locali e da ONG, che a livello nazionale ed internazionale, soprattutto nei paesi di transito, si rivolgono alla tutela dei richiedenti asilo e protezione umanitaria.Gli accordi di cooperazione economica dovranno restituire un ruolo progettuale alle organizzazioni non governative ed agli enti locali, anche per diffondere informazioni corrette sulle prospettive dell’emigrazione in Europa e per fornire un sostegno alle famiglie dei candidati all’emigrazione clandestina.

7. Occorre stabilire poi una nuova disciplina degli ingressi legali per lavoro, a livello nazionale, se non sarà possibile trovare una intesa a livello europeo. Se non si introdurranno al più resto forme di regolarizzazione individuale occorrerà ricorrere ad un ennesima sanatoria generalizzata. Va comunque moralizzato il mercato del lavoro. Altrimenti il lavoro informale costituirà una potente attrazione che nessuna nave militare riuscirà ad offuscare.Di fronte alla composizione mista dei flussi migratori occorre un regolamento europeo che superi la Convenzione di Dublino e garantisca la salvaguardia della vita umana a mare e la protezione dei soggetti più vulnerabili come i richiedenti asilo, le donne ed i minori. In particolare si devono depenalizzare al più presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni non militari, in modo da rendere più tempestive le azioni di salvataggio. Le missioni FRONTEX devono essere rimodulate nella prospettiva della salvaguardia assoluta della vita umana e del diritto di asilo. Va quindi modificata la disciplina nazionale delle espulsioni e dei respingimenti, considerandola strumento eccezionale e non metodo ordinario di gestione dell’immigrazione. Di conseguenza devono essere chiusi gli attuali centri di detenzione amministrativa e i centri di identificazione.

8. L’ACNUR dovrebbe dichiarare pubblicamente se e dove è in grado di garantire il diritto di asilo delle persone che si rivolgono agli uffici di questa organizzazione nei paesi di transito come il Marocco e l’Egitto. Gli accordi di riammissione con molti paesi nordafricani sono basati sul presupposto che questi paesi hanno aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Quando poi si va a considerare la dimensione effettiva del diritto di asilo in questi paesi si verifica come tale status venga concesso in poche centinaia di casi. Non si può ritenere sufficiente l’adesione alla Convenzione di Ginevra se poi i singoli stati si comportano in modo da violare i principi essenziali di quella convenzione, e neppure consentono il tempestivo intervento dei funzionari dell’ACNUR In questo quadro, può costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona il coinvolgimento nelle pattuglie FRONTEX di unità navali di paesi che non rispettano i diritti dei richiedenti asilo, come Malta e la Libia.

9. Non si dovranno più verificare espulsioni o respingimenti verso paesi che non garantiscono i diritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto di asilo. Piuttosto che finanziare campi di detenzione amministrativa nei paesi di transito, campi che diventano luoghi di abusi e di traffici di ogni tipo, occorre istituire, anche nei paesi di transito, veri e propri centri di accoglienza per i richiedenti asilo.Deve essere riconsiderata dai Parlamenti nazionali la materia degli accordi di riammissione, sia perché in contrasto con le normative internazionali ed interne in materia di protezione dei diritti fondamentali della persona migrante, sia perché le azioni di polizia attuate sulla base di tali accordi sono sottratte ad ogni effettivo controllo giurisdizionale. Gli accordi già stipulati con i paesi di transito e di provenienza vanno revocati o comunque rinegoziati, ed eventuali accordi futuri, comunque discussi ed approvati dalle assemblee parlamentari, dovranno essere strettamente conformi alle norme internazionali e costituzionali sulla tutela dei diritti fondamentali della persona, a partire dalla Carta di Nizza, che vieta le espulsioni collettive, e dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo, che prevede, in caso di violazione, mezzi immediati di ricorso davanti alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

martedì 22 maggio 2007

Le culture non possono dialogare... le persone sì!

Fonte: www.centrodelleculture.org/allegati/ethnos_n00.pdf


Brano tratto da Ethnos - Etnie in movimento
trimestrale umanista del Centro delle Culture

luglio 2006 - Numero 0


Chi è quel ragazzetto albanese sbarcato a Brindisi su uno zatterone, che sogna di fare il calciatore nel paese dei suoi più grandi “miti”? E quella donna rumena che ogni giorno esce, mostrando il suo documento, dal campo “nomadi”, che di nomadi probabilmente non ne contiene già da svariate generazioni? E chi sono quel marocchino e quel tunisino che lavorano con tuo cugino nella ditta edile, accettando di lavorare anche i fine settimana pur di non perdere il lavoro e non poter più mandare i soldi “al paese”? Chi è quella giovane peruviana, che poi scopri essere laureata in legge o ingegneria, che è così brava a star dietro alle esigenze della nonna novantenne? Chi sono infine quei bimbi e quegli adolescenti mulatti, “meticci”, “mezzo-sangue”, nati dalle numerose coppie miste in cui la unione di intenzioni ha superato la differenza culturale?
Le culture non possono dialogare ma il loro destino positivo è quello di
evolvere, arricchendosi e trasformandosi con le diverse influenze
reciproche, generando nuove civiltà.
Le persone invece possono dialogare
ed il contatto più vero e costruttivo si fa realtà
attraverso lo scambio e la contaminazione
dei codici, attraverso l’ascolto spregiudicato alla ricerca
dell’umano che è nel profondo di tutti,
attraverso l’atteggiamento di curiosità e di incanto
per ciò che è “diverso da me”, che tutti i bambini hanno,
qualunque sia la loro cultura.
Come risvegliare questa capacità di “dialogo” aperto e costruttivo?
Dopo anni di militanza attiva, con i suoi alti e le sue battute di arresto, sento ancora più forte questa esigenza, sento che questo è possibile e necessario ogni giorno di più. Sempre più persone hanno deciso di dare, qui insieme a noi, una risposta concreta ed attiva a questa inquietudine, assumendo il rischio di mettere in discussione anche le proprie certezze. Questa è la voce interna che dice: la diversità è ricchezza, è futuro, è l’unica possibilità evolutiva per l’umanità! Il Centro delle Culture è lo strumento per amplificare questa voce, per trasformare in azione questo desiderio di crescita.


Silvia Nocera
Responsabile Nazionale
del Centro delle Culture

lunedì 21 maggio 2007

Nuovi italiani: il partito rivolto agli immigrati

Fonte: http://metropoli.repubblica.it/homepage/terza.html


di Carlo Moccaldi

A distanza di poche settimane dalla nascita del partito dei romeni in Italia, presente alle elezioni amministrative del 27-28 maggio, un nuovo soggetto politico rivolto agli immigrati si affaccia sulla scena politica nazionale: il partito dei ‘Nuovi Italiani'. La formazione è fortemente ispirata alla multietnicità, al progetto hanno aderito infatti rappresentanti di comunità di straniera con origini e tradizioni diverse. “Siamo un partito progressista, riformista e ambientalista – dichiara il presidente della nuova formazione, Mustapha Mansouri, marocchino – e allo stesso tempo multiculturale e multireligioso, che vuole dare rappresentanza unitaria a italiani e immigrati, armonizzando culture e tradizioni diverse”.
Il segretario nazionale del nuovo partito è Maria Pratsiuk, ucraina, già segretario nazionale del Si.L.E. (il Sindacato Lavoratori d'Europa). Nei vertici di ‘Nuovi Italiani' c'è anche un italiano: è il vicepresidente Marco Angelelli, proveniente dal partito ‘Italia dei Valori'. “Durante l'ultima campagna elettorale la maggioranza dei partiti hanno fatto un uso strumentale dei candidati immigrati – spiega - e molti partiti non hanno mantenuto l'impegno di portare in Parlamento rappresentanti di origine straniera. ‘Nuovi Italiani' nasce proprio per dare rappresentanza a migliaia di elettori esclusi dal circuito democratico”.
La nuova formazione politica non si presenterà alle prossime elezioni amministrative del 27-28 maggio. “Ci stiamo preparando per le elezioni del 2008: se verrà approvato dal Parlamento il disegno di legge sull'immigrazione, tra un anno saranno più di un milione gli elettori di origine straniera ammessi per la prima volta alle urne. E nel nostro partito potranno trovare un interlocutore attento e pronto ad ascoltarli” spiega Mansouri.

18 maggio 2007, articolo apparso su Metropoli di Repubblica

http://www.partitoimmigrati.it/htm/cartavalori.htm

mercoledì 2 maggio 2007

Non è facile essere stranieri in Italia

Fonte: www.internazionale.it/home/primopiano.php?id=15850

Primo piano - Lettera dall'Italia

Mai davvero cittadini


Non è facile essere stranieri in Italia. Si è circondati dalla diffidenza, e spesso giornali e televisioni alimentano i luoghi comuni e i pregiudizi, scrive Irene Mayer. Qualche tempo fa una mia collega italiana, sfogliando i quotidiani all'improvviso mi ha detto: "Odio questi zingari. Non li sopporto". È successo il giorno dopo l'assurda morte di una ragazza romana nella metropolitana. Per i mezzi d'informazione italiani era già chiaro chi fossero le "assassine": due straniere, provenienti dai paesi dell'Est, quasi certamente "zingare". Ma un paio di giorni dopo un giornalista dell'edizione domenicale del quotidiano la Repubblica si fa venire un dubbio: ma una delle donne non ha forse i lineamenti da sudamericana? Dalle immagini molto mosse riprese da una telecamera si vedevano solo due giovani donne dall'abbigliamento moderno, che avrebbero potuto venire dai Parioli, un quartiere chic di Roma, dagli Stati Uniti o dall'Austria. Dopo il loro arresto, per le tv e i giornali era già tutto chiaro: l'assassina e la sua complice erano le due prostitute rumene. Ora, senza voler sminuire questa spaventosa tragedia, mi sembra che i mezzi d'informazione seri dovrebbero rispettare un minimo di deontologia professionale: non dovrebbero emettere sentenze prima del processo e dovrebbero evitare stereotipi e pregiudizi. Sembra quasi che tv e giornali italiani, non sapendo che paesi come Romania e Bulgaria sono recentemente entrati nell'Unione europea, hanno ridisegnato l'atlante geografico a modo loro. Chi viene dall'Europa dell'est è comunque considerato extracomunitario, mentre giapponesi, americani e svizzeri – tanto per fare qualche esempio – sono cittadini occidentali e quindi in qualche modo europei. Ma non sarebbe l'Italia se non ci fosse anche l'altra faccia della medaglia, quella positiva. Nella stessa edizione domenicale di Repubblica, infatti, poche pagine più avanti, c'è un ottimo inserto settimanale interamente dedicato all'immigrazione, che potrebbe essere preso a modello in Europa. È appassionante assistere alla costruzione di un'Italia multiculturale. Temo però che il cammino di questo paese verso il cambiamento sarà lungo e difficile. In Italia, a parte poche eccezioni, le culture straniere sono poco valorizzate. Gli italiani esitano ad aprirsi. Di recente una mia compagna di tai chi, che parla sempre di luce e calore umano, mi ha detto che nel quartiere romano di piazza Vittorio le viene "l'angoscia" perché lì non si sente "a suo agio": ci sono troppi stranieri. Per giunta, molte italiane e italiani della mia età, nonostante i loro studi non parlano nessuna lingua straniera. Basterebbe studiare l'inglese per fare qualche passo avanti. Inoltre le stesse persone che se la prendono con gli stranieri non hanno il minimo scrupolo a prendere – a pochi euro, e naturalmente in nero – una colf, una badante o una babysitter che viene dalla Romania, dall'Ucraina o dalla Moldova. Per non parlare delle imprese agricole del meridione, in cui i lavoratori stranieri sono trattati come bestie e dove c'è una forma moderna di schiavitù. La nuova legge sull'immigrazione che sta per essere approvata contiene elementi positivi per l'integrazione: per esempio, dopo cinque anni gli immigrati avranno diritto di voto alle elezioni comunali. Ma servono anche dei provvedimenti che puniscano chi assume lavoratori in nero. Altrimenti per gli italiani sarà sempre più conveniente sfruttare i clandestini, che sono ricattabili e possono essere licenziati impunemente se provano a ribellarsi alle loro condizioni di lavoro disumane. Per quanto riguarda me personalmente, non avrei mai pensato che in un altro paese dell'Unione europea mi sarei sentita tanto spesso straniera, anche se ci vivo da anni e parlo bene la lingua.

Chi è l'autrice: Irene Mayer è corrispondente della rivista austriaca Extradienst. Nata a Vienna nel 1972, è a Roma dal 2000.
Per scrivere ai giornalisti stranieri: corrispondente@internazionale.it